Amoris laetitia: perché è in continuità con l’insegnamento della Chiesa

Amoris Laetitia

vaticannews

“La pubblicazione dell’Esortazione Apostolica Amoris laetitia ha provocato diverse reazioni e dibattiti tra teologi e filosofi, tra pastori e fedeli. La problematica può essere riassunta in una sola questione: questo documento si inscrive nella continuità dell’insegnamento morale e sacramentale della Chiesa oppure costituisce una rottura?”. Inizia così la riflessione – pubblicata oggi dall’Osservatore Romano – della professoressa belga Laetitia Calmeyn, docente di teologia presso il Collège des Bernardins a Parigi, nominata l’anno scorso da Papa Francesco consultore della Congregazione per la Dottrina della Fede.

La nota 351

In particolare, la teologa si sofferma sulla nota 351 del capitolo ottavo del documento pontificio, dove si parla dell’aiuto dei Sacramenti da offrire a persone che si trovano in situazione cosiddetta “irregolare”. Secondo le parole stesse del Papa, «a causa dei condizionamenti o dei fattori attenuanti, è possibile che, entro una situazione oggettiva di peccato – che non sia soggettivamente colpevole o che non lo sia in modo pieno – si possa vivere in grazia di Dio, si possa amare, e si possa anche crescere nella vita di grazia e di carità, ricevendo a tale scopo l’aiuto della Chiesa» (AL, 305). La nota 351 precisa: «In certi casi, potrebbe essere anche l’aiuto dei Sacramenti…».

Fautori del vietato e fautori del permesso

Una certa “focalizzazione” sul capitolo ottavo – spiega la Calmeyn – “non consente di vedere agevolmente in che modo l’insieme del documento offra la possibilità di recepire una comprensione di simile aiuto che sia conforme alla tradizione. Cristallizzandosi sulla questione dell’accesso o meno dei divorziati risposati alla comunione, l’approccio mediatico non ha lasciato emergere l’apporto specifico di Amoris laetitia. I fautori del ‘permesso’ si collocano di conseguenza lungo una pratica vieppiù sprovvista di giudizio morale e di discernimento spirituale. I fautori del ‘vietato’ considerano le esigenze della legge morale isolandole dalla nozione, fondamentale e tradizionale, rappresentata dalla legge di gradualità. Se l’Esortazione non intende rispondere alla questione riguardante l’accesso o no ai sacramenti, ciò è precisamente perché il quadro di riflessione in cui si colloca non è quello del permesso/vietato, quanto piuttosto quello del cammino nel e verso il bene, dunque quello del discernimento, dell’accompagnamento e dell’integrazione delle diverse situazioni. È la nozione classica di ‘cammino nel bene’, altrimenti detta ‘legge di gradualità’, a permetterci di cogliere il reale contributo di Amoris laetitia e il modo in cui il documento si inscrive nella Tradizione”.

La morale cristiana ha la sua fonte nella buona notizia di un Dio che ci ama

“Tutti – sottolinea – facciamo l’esperienza di una tensione reale tra l’esigenza espressa dalla morale evangelica e la situazione concreta delle persone, tra la dimensione assoluta dei comandamenti e il cammino di ciascuno. Simile tensione ci conduce a non considerare i valori morali come fossero un ideale inaccessibile o riservato a una élite, ma come l’espressione stessa della misericordia di Dio che ci offre la sua grazia per entrare, passo dopo passo, nel compimento delle sue esigenze”. “La morale cristiana ha la sua fonte nella buona notizia di un Dio che per amore ha dato la propria vita per noi. La morte e resurrezione di Cristo, la salvezza, ci illumina circa il bene da compiere qui e ora. Come lo ricorda Papa Francesco: «Il Vangelo invita prima di tutto a rispondere al Dio che ci ama e ci salva, riconoscendolo negli altri e uscendo da sé stessi per cercare il bene di tutti. Quest’invito non va oscurato in nessuna circostanza!» (EG, 39). Proprio in questo senso intende mostrare, in Amoris laetitia, come ogni famiglia, per quanto ferita possa essere, sia portatrice di una buona notizia, la buona notizia dell’amore di Dio per lei, quell’amore che si è invitati a contemplare e ad annunciare proprio perché possa crescere”. Quindi, “il bene sembra sempre possibile”.

Veritatis splendor

“Nell’enciclica Veritatis splendor, Giovanni Paolo II descriveva già il modo in cui noi possiamo, perfino nei momenti più bui della nostra storia, contemplare la verità e testimoniare, per mezzo dei nostri atti liberi, lo ‘splendore della Verità’. La verità di cui qui si tratta non ha a che fare né con una certezza intellettuale, né con un sistema di valori in grado di offrire punti di riferimento chiari, ma con l’offerta che Gesù ha compiuto di Lui stesso al Padre (…) È proprio alla luce del dono totale di Cristo che mi sembra potersi comprendere la legge di gradualità, il cui punto centrale consiste nello stabilire qual è il bene accessibile alla tale persona nella tale determinata situazione”.

Humanae vitae

La teologa belga illustra, quindi, il concetto della “legge di gradualità”. La nozione fa la sua comparsa nel pontificato di Giovanni Paolo II, ma l’idea di una gradualità è già presente nell’enciclica Humanae vitae (1968): “Al numero 14, Paolo VI, trattando di morale coniugale, afferma che poteva essere talvolta lecito tollerare un male minore, a condizione di non volerlo positivamente (cf. n. 14). Proprio allorché sottolinea la necessità di insegnare e di esplicitare la verità, senza ambiguità e con pazienza, l’enciclica invita infatti ad adottare un atteggiamento di attenzione alle debolezze dell’uomo, mostrando compassione per il peccatore (cf. nn. 28-29). Perché è la vita di fede radicata nei sacramenti quella che permette ai coniugi cristiani di camminare nel bene (cf. n. 25)”.

Paolo VI precisa le condizioni della gradualità

In un Discorso del 4 maggio 1970 rivolto alle Équipes Notre Dame, “Paolo VI precisa le condizioni di tale cammino (cf. nn. 13-16). Una certa gradualità può essere ammessa in rapporto ai mezzi. Ma occorre che la volontà sia orientata al vero bene, così da riconoscere, «attraverso i rischi dell’esistenza», i mezzi adeguati da adottare”. Il cammino di perfezione della vita cristiana necessita del ricorso ai mezzi di grazia, allo Spirito Santo stesso: «tutte le risorse di grazia della Chiesa sono a disposizione per aiutare [i coniugi] ad incamminarsi verso la perfezione dell’amore».

Familiaris consortio

Nel Discorso di chiusura del Sinodo sulla famiglia, il 25 ottobre 1980, Giovanni Paolo II chiamava esplicitamente in causa la “legge di gradualità”, considerata come uno dei principali apporti scaturiti dai lavori assembleari. “La verità morale è praticabile, per quanto ciò richieda del tempo, un combattimento paziente e l’aiuto della grazia. L’esortazione post-sinodale Familiaris consortio(1981) precisa che l’essere umano «conosce ama e compie il bene morale secondo tappe di crescita» (FC, 34). Non si tratta di ‘gradualità della legge’, ma di una gradualità nel compimento prudente di atti liberi che si vive grazie alla «progressiva integrazione dei doni di Dio e delle esigenze del suo amore definitivo ed assoluto nell’intera vita personale e sociale dell’uomo» (FC, 9)”.

Cristo ci ha redenti

Nell’enciclica Veritatis splendor (1993) – osserva la Calmeyn – Giovanni Paolo II ricorda che «la presentazione limpida e vigorosa della verità morale non può mai prescindere da un profondo e sincero rispetto, animato da amore paziente e fiducioso, di cui ha sempre bisogno l’uomo nel suo cammino morale, spesso reso faticoso da difficoltà, debolezze e situazioni dolorose» (VS, 95). Per precisare poi che «solo nel mistero della Redenzione di Cristo stanno le “concrete” possibilità dell’uomo. […] Ma quali sono le “concrete possibilità dell’uomo”? E di quale uomo si parla? Dell’uomo dominato dalla concupiscenza o dell’uomo redento da Cristo? Poiché è di questo che si tratta: della realtà della redenzione di Cristo. Cristo ci ha redenti! Ciò significa: Egli ci ha donato la possibilità di realizzare l’intera verità del nostro essere; Egli ha liberato la nostra libertà dal dominio della concupiscenza. […] Il comandamento di Dio è certamente proporzionato alle capacità dell’uomo: ma alle capacità dell’uomo a cui è donato lo Spirito Santo; dell’uomo che, se caduto nel peccato, può sempre ottenere il perdono e godere della presenza dello Spirito» (VS, 103).

Una pedagogia pasquale

Infatti – afferma la teologa – solo l’azione della grazia libera dal peccato e permette di «rinascere dall’alto». “La gradualità acquista il proprio significato alla luce della pedagogia divina. La sua fonte si radica nella grazia della sequela di Cristo, nella logica sacramentale dell’identificazione a Cristo, Colui «che Dio trattò da peccato in nostro favore» (2Cor 5, 21) – nel quale dunque noi siamo morti al peccato –, e che è risuscitato per la nostra vita. Si tratta perciò di una pedagogia propriamente pasquale”.

Non chiudere la via della grazia dividendo tutto in bianco e nero 

“È unendoci perciò sempre più alla morte e alla risurrezione di Cristo, nella testimonianza del nostro battesimo, che arriviamo a discernere la salvezza di Dio all’opera nelle situazioni. Ciò suppone che il discernimento, il giudizio, l’accompagnamento, s’inscrivano in una dinamica di fede, di carità e di speranza; altrimenti detto, d’intercessione e di ringraziamento. Qual è il germe di bene che intravedo in questa situazione? Come farlo crescere? Papa Francesco così si esprime in Amoris laetitia: «Un Pastore non può sentirsi soddisfatto solo applicando leggi morali». Non si tratta in effetti di applicare la legge dall’esterno, ciò che porterebbe allo scoraggiamento delle persone nel loro cammino. È Cristo che ci offre la luce per discernere: «Il discernimento deve aiutare a trovare le strade possibili di risposta a Dio e di crescita attraverso i limiti. Credendo che tutto sia bianco o nero, a volte chiudiamo la via della grazia e della crescita e scoraggiamo percorsi di santificazione che danno gloria a Dio. Ricordiamo che ‘un piccolo passo, in mezzo a grandi limiti umani, può essere più gradito a Dio della vita esteriormente corretta di chi trascorre i suoi giorni senza fronteggiare importanti difficoltà’ (cf. Evangelii gaudium, 44). La pastorale concreta dei ministri e delle comunità non può mancare di fare propria questa realtà». «In qualunque circostanza, davanti a quanti hanno difficoltà a vivere pienamente la legge divina, deve risuonare l’invito a percorrere la via caritatis. La carità fraterna è la prima legge dei cristiani» (cf.AL, 305-306)”.

Amoris laetitia iscritta nella Grande Tradizione fondata sul kerygma

Laetitia Calmeyn conclude: “Tale approccio al bene praticabile non impedisce che ci siano dei mali da tollerare perché non imputabili alla persona, in quanto causati, per esempio, «dall’ignoranza, dall’inavvertenza, dalla violenza, dalle abitudini, dagli affetti smodati e da altri fattori psichici oppure sociali» (CCC, 1735). Occorre precisare che tali mali non giustificano mai l’eccezione, quasi che qualcuno possa essere dispensato dal compiere il bene che può fare, che gli è consentito di compiere. Perché è sempre per la relazione al Bene, al Bene sommo che è la misericordia di Dio, che siamo progressivamente liberati dal male. Comprendiamo dunque perché i mali che ci affliggono non ci esonerano dal volgerci a Cristo, a Colui nel quale osserviamo i comandamenti, ricordandoci che il solo modo di non uccidere è quello di donare la vita, il solo modo di non commettere adulterio è quello di essere fedele, il solo modo di non rubare è quello di condividere e donare i propri beni, il solo modo di non dire falsa testimonianza è quello di rendere testimonianza alla verità, il solo modo di non bramare con cupidigia è quello di rendere grazie. Simile dimensione positiva dei comandamenti è sempre accessibile. La si vive passo dopo passo. Essa offre alla legge di gradualità il suo vero contenuto. Tale cammino nel e verso il bene ci consente di percepire come Amoris laetitia si inscriva nella Tradizione, la grande Tradizione che ha il suo fondamento nel kerygma. Associandoci alla morte e alla risurrezione del Signore, nell’intercessione e nel ringraziamento, giungiamo a riconoscere che il bene è più profondo del male, che la vita zampilla più profondamente della morte, perché è la vita del Risorto”.

“Amoris Laetitia” mette in luce la bellezza della famiglia

L’Esortazione post sinodale di Papa Francesco “Amore Laetitia” mette in luce la bellezza della famiglia e le fa riscoprire il suo grande valore. Ne è convinta Anna Friso appartenente al Movimento Famiglie Nuove del Movimento dei Focolari e, insieme al marito Alberto, membro del Pontificio Consiglio per la Famiglia.

R. – Anche in noi c’era molta attesa, perché ci aspettavamo veramente un pronunciamento sulla famiglia e sulle sue ferite. Allora, la nostra sorpresa è stata quando abbiamo sentito che c’era tutto un approfondimento sull’amore: sull’amore coniugale, sull’amore familiare. Perché per promuovere la famiglia, per dare alla famiglia la sua dignità, c’è bisogno di raccontarla e di spiegare anche a lei stessa – alla famiglia – quanto sia importante vivere l’amore, quell’amore che ne è il fondamento costitutivo. Noi, fra l’altro, abbiamo un’esperienza lunghissima di famiglia – festeggiamo quest’anno i nostri “primi” 50 anni di matrimonio – e sappiamo quanto valore abbia l’amore nella famiglia, che non è guidato da nessun altro interesse che non il bene dell’altro, che non la felicità dell’altro. E allora, in questa dimensione trovano spazio tutte le componenti dell’amore: a livello psicologico, a livello sentimentale, ma anche erotico. Questa è una specificità dell’amore coniugale che va ricordata e che non dovrà essere considerata più quel male accettato, ma un bene: quel regalo meraviglioso – come ha detto il Papa – che è dato agli sposi in corredo al loro “sì” per sempre.

D. – Ci sono poi nel documento i capitoli in cui si affrontano le situazioni di difficoltà, le ferite della famiglia. Emergono parole come “misericordia”, “discernimento”, “integrazione”. Vi aspettavate qualcosa di diverso?

R. – Mi sembra che sia stata fatta veramente la scelta giusta: dare spazio a tutti. La misericordia è il lasciapassare, cioè, è la porta spalancata per tutti, proprio nella soggettività di ciascuno. Non dimentichiamoci che in ogni storia di separazione, in ogni storia di un amore che finisce, di un sogno che si infrange, c’è sempre tanto dolore. Quindi, intanto, il dolore ha un’azione purificatrice molto grande e poi, in ogni scelta successiva, c’è pure la difficoltà di mettersi ancora in gioco. Io credo che con questa apertura possiamo veramente accogliere e sentirci accolti dalla Chiesa madre, ma soprattutto da Dio, che non smette di amare ciascuno di noi nel suo modo, che è quello infinito, quello che apre a tutti.

D. – Diciamo quindi che la Dottrina della Chiesa in questi casi, nel caso dei divorziati,  non cambia. Eppure cambia molto lo sguardo, l’atteggiamento; la pastorale cambierà…

R. – La Dottrina, infatti, l’abbiamo ritrovata intatta e questo è molto importante per noi, perché abbiamo un fondamento che conferma una vita e che ci aiuta a porgere a tutti una verità che non può tramontare: la bellezza della famiglia stabile, che si riedifica ogni giorno con l’amore, in vista di una indissolubilità che gli è congeniale, proprio perché l’amore – l’amore coniugale, l’amore umano – ha questo dna. Però, appunto, nel gestire – diciamo così – le varie situazioni, ci sembra che sia stata usata veramente la chiave giusta, per trovare per ciascuno la strada di una riconciliazione con la grazia di Dio, che si manifesta in tanti modi.

Radio Vaticana

Documento Amoris laetitia, sull’amore nella famiglia. La sintesi dell’Esortazione del Papa

da Avvenire

“Amoris laetitia” (AL – “La gioia dell’amore”), l’Esortazione apostolica post-sinodale “sull’amore nella famiglia”, datata non a caso 19 marzo, Solennità di San Giuseppe, raccoglie i risultati di due Sinodi sulla famiglia indetti da Papa Francesco nel 2014 e nel 2015, le cui Relazioni conclusive sono largamente citate, insieme a documenti e insegnamenti dei suoi Predecessori e alle numerose catechesi sulla famiglia dello stesso Papa Francesco. Tuttavia, come già accaduto per altri documenti magisteriali, il Papa si avvale anche dei contributi di diverse Conferenze episcopali del mondo (Kenya, Australia, Argentina…) e di citazioni di personalità significative come Martin Luther King o Erich Fromm. Particolare una citazione dal film “Il pranzo di Babette”, che il Papa ricorda per spiegare il concetto di gratuità.

Premessa
L’Esortazione apostolica colpisce per ampiezza e articolazione. Essa è suddivisa in nove capitoli e oltre 300 paragrafi. Ma si apre con setteparagrafi introduttivi che mettono in piena luce la consapevolezza della complessità del tema e l’approfondimento che richiede. Si afferma che gli interventi dei Padri al Sinodo hanno composto un «prezioso poliedro» (AL 4) che va preservato. In questo senso il Papa scrive che «non tutte le discussioni dottrinali, morali o pastorali devono essere risolte con interventi del magistero». Dunque per alcune questioni «in ogni paese o regione si possono cercare soluzioni più inculturate, attente alle tradizioni e alle sfide locali. Infatti, “le culture sono molto diverse tra loro e ogni principio generale […] ha bisogno di essere inculturato, se vuole essere osservato e applicato”» (AL 3). Questo principio di inculturazione risulta davvero importante persino nel modo di impostare e comprendere i problemi che, aldilà delle questioni dogmatiche ben definite dal Magistero della Chiesa, non può essere «globalizzato».

Ma soprattutto il Papa afferma subito e con chiarezza che bisogna uscire dalla sterile contrapposizione tra ansia di cambiamento e applicazione pura e semplice di norme astratte. Scrive: «I dibattiti che si trovano nei mezzi di comunicazione o nelle pubblicazioni e perfino tra i ministri della Chiesa vanno da un desiderio sfrenato di cambiare tutto senza sufficiente riflessione o fondamento, all’atteggiamento che pretende di risolvere tutto applicando normative generali o traendo conclusioni eccessive da alcune riflessioni teologiche» (AL 2).

Capitolo primo: “Alla luce della Parola”
Poste queste premesse, il Papa articola la sua riflessione a partire dalle Sacre Scritture con il primo capitolo, che si sviluppa come una meditazione sul Salmo 128, caratteristico della liturgia nuziale ebraica come di quella cristiana. La Bibbia «è popolata da famiglie, da generazioni, da storie di amore e di crisi familiari» (AL 8) e a partire da questo dato si può meditare come la famiglia non sia un ideale astratto, ma un «compito “artigianale”» (AL 16) che si esprime con tenerezza (AL 28) ma che si è confrontato anche con il peccato sin dall’inizio, quando la relazione d’amore si è trasformata in dominio (cfr AL 19). Allora la Parola di Dio «non si mostra come una 2 sequenza di tesi astratte, bensì come una compagna di viaggio anche per le famiglie che sono in crisi o attraversano qualche dolore, e indica loro la meta del cammino» (AL 22).

Capitolo secondo: “La realtà e le sfide delle famiglie”
A partire dal terreno biblico nel secondo capitolo il Papa considera la situazione attuale delle famiglie, tenendo «i piedi per terra» (AL 6), attingendo ampiamente alle Relazioni conclusive dei due Sinodi e affrontando numerose sfide, dal fenomeno migratorio alla negazione ideologica della differenza di sesso (“ideologia del gender”); dalla cultura del provvisorio alla mentalità antinatalista e all’impatto delle biotecnologie nel campo della procreazione; dalla mancanza di casa e di lavoro alla pornografia e all’abuso dei minori; dall’attenzione alle persone con disabilità, al rispetto degli anziani; dalla decostruzione giuridica della famiglia, alla violenza nei confronti delle donne. Il Papa insiste sulla concretezza, che è una cifra fondamentale dell’Esortazione. E sono la concretezza e il realismo che pongono una sostanziale differenza tra «teorie» di interpretazione della realtà e «ideologie».

Citando la Familiaris consortio Francesco afferma che «è sano prestare attenzione alla realtà concreta, perché “le richieste e gli appelli dello Spirito risuonano anche negli stessi avvenimenti della storia”, attraverso i quali “la Chiesa può essere guidata ad una intelligenza più profonda dell’inesauribile mistero del matrimonio e della famiglia”» (AL 31). Senza ascoltare la realtà non è possibile comprendere né le esigenze del presente né gli appelli dello Spirito, dunque. Il Papa nota che l’individualismo esasperato rende difficile oggi donarsi a un’altra persona in maniera generosa (cfr AL 33). Ecco una interessante fotografia della situazione: «Si teme la solitudine, si desidera uno spazio di protezione e di fedeltà, ma nello stesso tempo cresce il timore di essere catturati da una relazione che possa rimandare il soddisfacimento delle aspirazioni personali» (AL 34).

L’umiltà del realismo aiuta a non presentare «un ideale teologico del matrimonio troppo astratto, quasi artificiosamente costruito, lontano dalla situazione concreta e dalle effettive possibilità delle famiglie così come sono» (AL 36). L’idealismo allontana dal considerare il matrimonio quel che è, cioè un «cammino dinamico di crescita e realizzazione». Per questo non bisogna neanche credere che le famiglie si sostengano «solamente insistendo su questioni dottrinali, bioetiche e morali, senza motivare l’apertura alla grazia» (AL 37). Invitando a una certa “autocritica” di una presentazione non adeguata della realtà matrimoniale e familiare, il Papa insiste che è necessario dare spazio alla formazione della coscienza dei fedeli: “Siamo chiamati a formare le coscienze, non a pretendere di sostituirle” (AL37). Gesù proponeva un ideale esigente ma «non perdeva mai la vicinanza compassionevole alle persone fragili come la samaritana o la donna adultera» (AL 38).

Capitolo terzo: “Lo sguardo rivolto a Gesù: la vocazione della famiglia”
Il terzo capitolo è dedicato ad alcuni elementi essenziali dell’insegnamento della Chiesa circa il matrimonio e la famiglia. La presenza di questo capitolo è importante perché illustra in maniera sintetica in 30 paragrafi la vocazione alla famiglia secondo il Vangelo così come è stata recepita dalla Chiesa nel tempo, soprattutto sul tema della indissolubilità, della sacramentalità del matrimonio, della trasmissione della vita e della educazione dei figli. Vengono ampiamente citate la Gaudium et spes del Vaticano II, la Humanae vitae di Paolo VI, la Familiaris consortio di Giovanni Paolo II.

Lo sguardo è ampio e include anche le «situazioni imperfette». Leggiamo infatti: «”Il discernimento della presenza dei “semina Verbi” nelle altre culture (cfr Ad gentes, 11) può essere applicato anche alla realtà matrimoniale e familiare. Oltre al vero matrimonio naturale ci sono elementi positivi presenti nelle forme matrimoniali di altre tradizioni religiose”, benché non manchino neppure le ombre” (AL 77). La riflessione include anche le «famiglie ferite» di fronte alle quali il Papa afferma — citando la Relatio finalis del Sinodo del 2015 — «occorre sempre ricordare un principio generale: “Sappiano i pastori che, per amore della verità, sono obbligati a ben discernere le situazioni” (Familiaris consortio, 84). Il grado di responsabilità non è uguale in tutti i 3 casi, e possono esistere fattori che limitano la capacità di decisione. Perciò, mentre va espressa con chiarezza la dottrina, sono da evitare giudizi che non tengono conto della complessità delle diverse situazioni, ed è necessario essere attenti al modo in cui le persone vivono e soffrono a motivo della loro condizione» (AL 79).

Capitolo quarto: “L’amore nel matrimonio”
Il quarto capitolo tratta dell’amore nel matrimonio, e lo illustra a partire dall’”inno all’amore” di San Paolo in 1 Cor 13, 4-7. Il capitolo è una vera e propria esegesi attenta, puntuale, ispirata e poetica del testo paolino. Potremmo dire che si tratta di una collezione di frammenti di un discorso amoroso che è attento a descrivere l’amore umano in termini assolutamente concreti. Si resta colpiti dalla capacità di introspezione psicologica che segna questa esegesi. L’approfondimento psicologico entra nel mondo delle emozioni dei coniugi — positive e negative — e nella dimensione erotica dell’amore. Si tratta di un contributo estremamente ricco e prezioso per la vita cristiana dei coniugi, che non aveva finora paragone in precedenti documenti papali.

A suo modo questo capitolo costituisce un trattatello dentro la trattazione più ampia, pienamente consapevole della quotidianità dell’amore che è nemica di ogni idealismo: «non si deve gettare sopra due persone limitate — scrive il Pontefice — il tremendo peso di dover riprodurre in maniera perfetta l’unione che esiste tra Cristo e la sua Chiesa, perché il matrimonio come segno implica “un processo dinamico, che avanza gradualmente con la progressiva integrazione dei doni di Dio”» (AL 122). Ma d’altra parte il Papa insiste in maniera forte e decisa sul fatto che «nella stessa natura dell’amore coniugale vi è l’apertura al definitivo» (AL 123), proprio all’interno di quella «combinazione di gioie e di fatiche, di tensioni e di riposo, di sofferenze e di liberazioni, di soddisfazioni e di ricerche, di fastidi e di piaceri» (Al 126) che è appunto il matrimonio.

Il capitolo si conclude con una riflessione molto importante sulla «trasformazione dell’amore» perché «il prolungarsi della vita fa sì che si verifichi qualcosa che non era comune in altri tempi: la relazione intima e la reciproca appartenenza devono conservarsi per quattro, cinque o sei decenni, e questo comporta la necessità di ritornare a scegliersi a più riprese» (AL 163). L’aspetto fisico muta e l’attrazione amorosa non viene meno ma cambia: il desiderio sessuale col tempo si può trasformare in desiderio di intimità e “complicità”. «Non possiamo prometterci di avere gli stessi sentimenti per tutta la vita. Ma possiamo certamente avere un progetto comune stabile, impegnarci ad amarci e a vivere uniti finché la morte non ci separi, e vivere sempre una ricca intimità» (AL 163).

Capitolo quinto: “L’amore che diventa fecondo”
Il quinto capitolo è tutto concentrato sulla fecondità e la generatività dell’amore. Si parla in maniera spiritualmente e psicologicamente profonda dell’accogliere una nuova vita, dell’attesa propria della gravidanza, dell’amore di madre e di padre. Ma anche della fecondità allargata, dell’adozione, dell’accoglienza del contributo delle famiglie a promuovere una “cultura dell’incontro”, della vita nella famiglia in senso ampio, con la presenza di zii, cugini, parenti dei parenti, amici. L’Amoris laetitia non prende in considerazione la famiglia «mononucleare», perché è ben consapevole della famiglia come rete di relazioni ampie. La stessa mistica del sacramento del matrimonio ha un profondo carattere sociale (cfr AL 186). E all’interno di questa dimensione sociale il Papa sottolinea in particolare sia il ruolo specifico del rapporto tra giovani e anziani, sia la relazione tra fratelli e sorelle come tirocinio di crescita nella relazione con gli altri.

Capitolo sesto: “Alcune prospettive pastorali”
Nel sesto capitolo il Papa affronta alcune vie pastorali che orientano a costruire famiglie solide e feconde secondo il piano di Dio. In questa parte l’Esortazione fa largo ricorso alle Relazioni conclusive dei due Sinodi e alle catechesi di Papa Francesco e di Giovanni Paolo II. Si ribadisce che le famiglie sono soggetto e non solamente oggetto di evangelizzazione. Il Papa rileva «che ai ministri ordinati manca spesso una formazione adeguata per trattare i complessi problemi 4 attuali delle famiglie» (AL 202). Se da una parte bisogna migliorare la formazione psico-affettiva dei seminaristi e coinvolgere di più la famiglia nella formazione al ministero (cfr AL 203), dall’altra «può essere utile (…) anche l’esperienza della lunga tradizione orientale dei sacerdoti sposati» (AL 202).

Quindi il Papa affronta il tema del guidare i fidanzati nel cammino di preparazione al matrimonio, dell’accompagnare gli sposi nei primi anni della vita matrimoniale (compreso il tema della paternità responsabile), ma anche in alcune situazioni complesse e in particolare nelle crisi, sapendo che «ogni crisi nasconde una buona notizia che occorre saper ascoltare affinando l’udito del cuore» (AL 232). Si analizzano alcune cause di crisi, tra cui una maturazione affettiva ritardata (cfr AL 239).

Inoltre si parla anche dell’accompagnamento delle persone abbandonate, separate o divorziate e si sottolinea l’importanza della recente riforma dei procedimenti per il riconoscimento dei casi di nullità matrimoniale. Si mette in rilievo la sofferenza dei figli nelle situazioni conflittuali e si conclude: “Il divorzio è un male, ed è molto preoccupante la crescita del numero dei divorzi. Per questo, senza dubbio, il nostro compito pastorale più importante riguardo alle famiglie è rafforzare l’amore e aiutare a sanare le ferite, in modo che possiamo prevenire l’estendersi di questo dramma nella nostra epoca” (AL 246). Si toccano poi le situazioni dei matrimoni misti e di quelli con disparità di culto, e la situazione delle famiglie che hanno al loro interno persone con tendenza omosessuale, ribadendo il rispetto nei loro confronti e il rifiuto di ogni ingiusta discriminazione e di ogni forma di aggressione o violenza. Pastoralmente preziosa è la parte finale del capitolo: “Quando la morte pianta il suo pungiglione”, sul tema della perdita delle persone care e della vedovanza.

Capitolo settimo: “Rafforzare l’educazione dei figli”
Il settimo capitolo è tutto dedicato all’educazione dei figli: la loro formazione etica, il valore della sanzione come stimolo, il paziente realismo, l’educazione sessuale, la trasmissione della fede, e più in generale la vita familiare come contesto educativo. Interessante la saggezza pratica che traspare a ogni paragrafo e soprattutto l’attenzione alla gradualità e ai piccoli passi «che possano essere compresi, accettati e apprezzati» (AL 271).

Vi è un paragrafo particolarmente significativo e pedagogicamente fondamentale nel quale Francesco afferma chiaramente che «l’ossessione non è educativa, e non si può avere un controllo di tutte le situazioni in cui un figlio potrebbe trovarsi a passare (…). Se un genitore è ossessionato di sapere dove si trova suo figlio e controllare tutti i suoi movimenti, cercherà solo di dominare il suo spazio. In questo modo non lo educherà, non lo rafforzerà, non lo preparerà ad affrontare le sfide. Quello che interessa principalmente è generare nel figlio, con molto amore, processi di maturazione della sua libertà, di preparazione, di crescita integrale, di coltivazione dell’autentica autonomia» (AL 261).

Notevole è la sezione dedicata all’educazione sessuale, intitolata molto espressivamente: “Sì all’educazione sessuale”. Si sostiene la sua necessità e ci si domanda “se le nostre istituzioni educative hanno assunto questa sfida (…) in un’epoca in cui si tende a banalizzare e impoverire la sessualità”. Essa va realizzata “nel quadro di un’educazione all’amore, alla reciproca donazione” (AL 280). Si mette in guardia dall’espressione “sesso sicuro”, perché trasmette “un atteggiamento negativo verso la naturale finalità procreativa della sessualità, come se un eventuale figlio fosse un nemico dal quale doversi proteggere. Così si promuove l’aggressività narcisistica invece dell’accoglienza” (AL 283).

Capitolo ottavo: “Accompagnare, discernere e integrare la fragilità”
Il capitolo ottavo costituisce un invito alla misericordia e al discernimento pastorale davanti a situazioni che non rispondono pienamente a quello che il Signore propone. Il Papa qui scrive usa tre verbi molto importanti: “accompagnare, discernere e integrare” che sono fondamentali nell’affrontare situazioni di fragilità, complesse o irregolari. Quindi il Papa presenta la necessaria 5 gradualità nella pastorale, l’importanza del discernimento, le norme e circostanze attenuanti nel discernimento pastorale, e infine quella che egli definisce la «logica della misericordia pastorale».

Il capitolo ottavo è molto delicato. Per leggerlo si deve ricordare che «spesso il lavoro della Chiesa assomiglia a quello di un ospedale da campo» (AL 291). Qui il Pontefice assume ciò che è stato frutto della riflessione del Sinodo su tematiche controverse. Si ribadisce che cos’è il matrimonio cristiano e si aggiunge che «altre forme di unione contraddicono radicalmente questo ideale, mentre alcune lo realizzano almeno in modo parziale e analogo». La Chiesa dunque «non manca di valorizzare gli “elementi costruttivi in quelle situazioni che non corrispondono ancora o non più” al suo insegnamento sul matrimonio» (AL 292).

Per quanto riguarda il “discernimento” circa le situazioni “irregolari” il Papa osserva: “sono da evitare giudizi che non tengono conto della complessità delle diverse situazioni, ed è necessario essere attenti al modo in cui le persone vivono e soffrono a motivo della loro condizione” (AL 296). E continua: “Si tratta di integrare tutti, si deve aiutare ciascuno a trovare il proprio modo di partecipare alla comunità ecclesiale, perché si senta oggetto di una misericordia ‘immeritata, incondizionata e gratuita’”(AL 297). Ancora: “I divorziati che vivono una nuova unione, per esempio, possono trovarsi in situazioni molto diverse, che non devono essere catalogate o rinchiuse in affermazioni troppo rigide senza lasciare spazio a un adeguato discernimento personale e pastorale” (AL 298).

In questa linea, accogliendo le osservazioni di molti Padri sinodali, il Papa afferma che “i battezzati che sono divorziati e risposati civilmente devono essere più integrati nelle comunità cristiane nei diversi modi possibili, evitando ogni forma di scandalo”. “La loro partecipazione può esprimersi in diversi servizi ecclesiali (…) Essi non devono sentirsi scomunicati, ma possono vivere e maturare come membra vive della Chiesa (…) Questa integrazione è necessaria pure per la cura e l’educazione cristiana dei loro figli” (AL 299).

Più in generale il Papa fa una affermazione estremamente importante per comprendere l’orientamento e il senso dell’Esortazione: “Se si tiene conto dell’innumerevole varietà di situazioni concrete (…) è comprensibile che non ci si dovesse aspettare dal Sinodo o da questa Esortazione una nuova normativa generale di tipo canonico, applicabile a tutti i casi. E’ possibile soltanto un nuovo incoraggiamento ad un responsabile discernimento personale e pastorale dei casi particolari, che dovrebbe riconoscere che, poiché il ‘grado di responsabilità non è uguale in tutti i casi’, le conseguenze o gli effetti di una norma non necessariamente devono essere sempre gli stessi” (AL 300). Il Papa sviluppa in modo approfondito esigenze e caratteristiche del cammino di accompagnamento e discernimento in dialogo approfondito fra i fedeli e i pastori. A questo fine richiama la riflessione della Chiesa “su condizionamenti e circostanze attenuanti” per quanto riguarda la imputabilità e la responsabilità delle azioni e, appoggiandosi a San Tommaso d’Aquino, si sofferma sul rapporto fra “le norme e il discernimento” affermando: “E’ vero che le norme generali presentano un bene che non si deve mai disattendere né trascurare, ma nella loro formulazione non possono abbracciare assolutamente tutte le situazioni particolari. Nello stesso tempo occorre dire che, proprio per questa ragione, ciò che fa parte di un discernimento pratico davanti a una situazione particolare non può essere elevato al livello di una norma” (AL 304).

Nell’ultima sezione del capitolo: “La logica della misericordia pastorale”, Papa Francesco, per evitare equivoci, ribadisce con forza: “Comprendere le situazioni eccezionali non implica mai nascondere la luce dell’ideale più pieno né proporre meno di quanto Gesù offre all’essere umano. Oggi, più importante di una pastorale dei fallimenti è lo sforzo pastorale per consolidare i matrimoni e così prevenire le rotture” (AL 307). Ma il senso complessivo del capitolo e dello spirito che Papa Francesco intende imprimere alla pastorale della Chiesa è ben riassunto nelle parole finali: “Invito i fedeli che stanno vivendo situazioni complesse ad accostarsi con fiducia a un colloquio con i loro pastori o con laici che vivono dediti al Signore. Non sempre troveranno in essi una conferma delle proprie idee e dei propri desideri, ma sicuramente riceveranno una luce che permetterà loro di comprendere meglio quello che sta succedendo e potranno scoprire un cammino di maturazione personale. E invito i pastori ad ascoltare con affetto e serenità, con il desiderio 6 sincero di entrare nel cuore del dramma delle persone e di comprendere il loro punto di vista, per aiutarle a vivere meglio e a riconoscere il loro posto nella Chiesa” (AL 312). Sulla “logica della misericordia pastorale” Papa Francesco afferma con forza: «A volte ci costa molto dare spazio nella pastorale all’amore incondizionato di Dio. Poniamo tante condizioni alla misericordia che la svuotiamo di senso concreto e di significato reale, e questo è il modo peggiore di annacquare il Vangelo» (AL 311).

Capitolo nono: “Spiritualità coniugale e familiare”
Il nono capitolo è dedicato alla spiritualità coniugale e familiare, «fatta di migliaia di gesti reali e concreti» (AL 315). Con chiarezza si dice che «coloro che hanno desideri spirituali profondi non devono sentire che la famiglia li allontana dalla crescita nella vita dello Spirito, ma che è un percorso che il Signore utilizza per portarli ai vertici dell’unione mistica» (AL 316). Tutto, «i momenti di gioia, il riposo o la festa, e anche la sessualità, si sperimentano come una partecipazione alla vita piena della sua Risurrezione» (AL 317). Si parla quindi della preghiera alla luce della Pasqua, della spiritualità dell’amore esclusivo e libero nella sfida e nell’anelito di invecchiare e consumarsi insieme, riflettendo la fedeltà di Dio (cfr AL 319). E infine la spiritualità «della cura, della consolazione e dello stimolo». «Tutta la vita della famiglia è un “pascolo” misericordioso. Ognuno, con cura, dipinge e scrive nella vita dell’altro» (AL 322), scrive il Papa. È profonda «esperienza spirituale contemplare ogni persona cara con gli occhi di Dio e riconoscere Cristo in lei» (AL 323).

Nel paragrafo conclusivo il Papa afferma: “Nessuna famiglia è una realtà perfetta e confezionata una volta per sempre, ma richiede un graduale sviluppo della propria capacità di amare (…). Tutti siamo chiamati a tenere viva la tensione verso qualcosa che va oltre noi stessi e i nostri limiti, e ogni famiglia deve vivere in questo stimolo costante. Camminiamo, famiglie, continuiamo a camminare ! (…). Non perdiamo la speranza a causa dei nostri limiti, ma neppure rinunciamo a cercare la pienezza di amore e di comunione che ci è stata promessa” (AL 325).

L’Esortazione apostolica si conclude con una Preghiera alla Santa Famiglia (AL 325).

* * * Come è possibile comprendere già da un rapido esame dei suoi contenuti, L’Esortazione apostolica Amoris laetitia intende ribadire con forza non l’«ideale» della famiglia, ma la sua realtà ricca e complessa. Vi è nelle sue pagine uno sguardo aperto, profondamente positivo, che si nutre non di astrazioni o proiezioni ideali, ma di un’attenzione pastorale alla realtà. Il documento è una lettura densa di spunti spirituali e di sapienza pratica utile ad ogni coppia umana o a persone che desiderano costruire una famiglia. Si vede soprattutto che è stata frutto di esperienza concreta con persone che sanno per esperienza che cosa sia la famiglia e il vivere insieme per molti anni. L’Esortazione parla infatti il linguaggio dell’esperienza.