Troppi casi di coma etilico. Giovani che bevono troppo, genitori senza risposte

A spaventare è l’età. Tutti al di sotto dei vent’anni, alcuni addirittura non arrivano ai quindici. Giovani e adolescenti, quindi. Ragazzini, verrebbe da dire. Ragazzini che la notte di San Silvestro si sono ubriacati al punto da finire in coma etilico. All’ospedale Cardarelli di Napoli ne sono giunti una ventina. Altri, in codice rosso, sono stati trasportati in altri nosocomi. Eravamo preparati, entrati nell’anno nuovo, ad ascoltare le dolorose notizie di persone rimaste ferite dai botti o da qualche colpo di pistola che qualcuno si ostina a definire “vagante”.

I feriti ci sono stati anche quest’ anno. Nel Napoletano a un giovane sono stati amputate tre dita di una mano; un bambino rischia di perdere un occhio; un dodicenne è stato ferito da un colpo di pistola sul balcone di casa. Ma non è su questo dramma che vogliamo soffermare la nostra attenzione, bensì sui giovanissimi finiti in coma etilico. Come etilico vuol dire che questi ragazzi si sono ubriacati al punto che il loro organismo non ce l’ha fatta a sopportare una tale quantità di alcol e ha ceduto.

Coma etilico vuol dire che questi nostri ingenui figli non sono stati capaci di gestire l’euforia di una serata come quella di san Silvestro. Coma etilico vuol dire che essi necessitano dell’aiuto degli adulti. Adulti che in questo momento, invasi dal dolore e dai sensi di colpa, si stanno facendo mille domande cui non riescono a dare una risposta. «Dove abbiamo sbagliato? Che cosa sta accadendo e che non riusciamo a vedere? Che cosa possiamo fare? Da dove dobbiamo cominciare? Chi ci deve aiutare?» si chiedono spesso i genitori.

I ragazzi non li ascoltano, anzi, sovente, mostrano verso di loro segni di insofferenza. Occorre andarci piano, soprattutto quando minacciano di scappare via di casa o commettere qualcosa di peggio. In genere sono inseriti in qualche gruppo che detta loro le linee guida cui si adeguano volentieri. Dicono di voler andare controcorrente, di essere anticonformisti, di non tenere in alcun conto i giudizi altrui e non si accorgono di allinearsi meglio di un plotone di soldati. Così intruppati, emettono ed eseguono ordini; inventano neologismi e gesti propri, si chiamano “fratelli”, si baciano come fanno i fidanzati. Anche l’ acconciatura dei capelli, i disegni dei tatuaggi, gli orecchini, i pantaloni strappati che vorrebbero imitare quelli degli straccioni, ma che costano somme esorbitanti, servono a fare di loro un gruppo. Quel gruppo. La pena prevista per chi non si adegua è essere emarginato. E l’ emarginazione li spaventa.

Bevono i ragazzi. Tanto. Troppo. Perché? A qualcuno certamente l’ alcol piace, lo eccita, gli fa dimenticare i problemi, lo sbarazza della timidezza. E gli altri? Gli altri lo fanno perché così fan tutti. E bevono, anche controvoglia, bevono. Per darsi delle arie, per non rimanere indietro, per non essere isolati, bevono. Anche quando il loro organismo si ribella e chiede aiuto, bevono. Bere diventa un modo di essere, una sfida. A se stessi, agli altri, alla società. Una sorta di manifestazione di potenza, di forza, di grandezza, di menefreghismo. Sono caduti in trappola ma non se ne sono accorti. Hanno bisogno di essere aiutati ma non lo sanno. Occorre metterli in guardia; insegnare loro, a scuola, a casa, in chiesa, che cos’è l’ alcol, che cosa sono le varie droghe, come funzionano, quali effetti hanno sui loro organi interni. A quali danni, a volte irreparabili, può portare l’ alcolismo o l’assunzione di una droga.

Occorre convincerli che certe cattive abitudini come fumare, drogarsi, bere, giocare di azzardo, una volta radicate sono faticosissime da essere estirpate. Meglio tenersene alla larga prima. E rimanere liberi. Prevenire è meglio che curare. Aiutiamo i nostri giovani. Diamo loro testimonianza di una vita vissuta all’ insegna della serenità, della gioia, della sobrietà, della condivisione. E per chi crede, della fede. Vederli in ospedale in coma etilico, a Capodanno o ogni sabato notte, fa veramente tanto male al cuore.

da Avvenire

Sottosegretaria Boschi. «Contro droga e alcol un patto con gli studenti»

Contro le droghe serve un patto tra studenti, insegnanti e famiglie. «Ci siamo dati tempi molto stretti: per attuare questo protocollo lavoreremo anche ad agosto. Non dobbiamo sprecare l’occasione del prossimo anno scolastico, ma essere operativi già in autunno, anche se il piano è su tre anni». Il Dipartimento delle politiche antidroga parla di 90mila adolescenti a rischio. Per questo Maria Elena Boschi è convinta che bisogna partire da un’informazione accurata e scientificamente corretta. L’obiettivo del protocollo, che la sottosegretaria alla Presidenza del Consiglio ha appena sottoscritto col Miur, è ampio e ambizioso.

Droghe del sabato sera e molto alcol. Per ‘divertirsi’, socializzare, superare fragilità. Come convincere i giovani che i rischi sono troppi?

Il progetto è anche contro l’abuso di alcol, dramma forse più diffuso ma meno avvertito. Come Presidenza del Consiglio abbiamo finanziato questi progetti con tre milioni di euro perché è fondamentale partire dalla scuola: oltre agli studenti, vogliamo coinvolgere le famiglie, che devono svolgere un ruolo di sostegno. Senza dimenticare che l’abuso di stupefacenti o di alcol è collegato, in alcuni casi, a un disagio familiare.

La novità è anche la formazione dei docenti.

Sì, è un progetto a 360 gradi. E un punto rilevante è la sensibilizzazione sulle nuove droghe: c’è una forte accelerazione, provocata da una commercializzazione sul web e dall’introduzione continua sul mercato di nuove sostanze a costi bassi. L’Osservatorio Europeo delle droghe ci dice che dal 2013 ne sono state individuate altre 300. Alcune sono anche difficili da individuare: penso alle cosiddette ‘droghe da stupro’ diffuse soprattutto nelle discoteche per allentare i freni inibitori delle vittime, che in molti casi non le assumono consapevolmente, ma miscelate nei drink. Gli insegnanti devono essere aiutati ad aggiornarsi.

Per molti il drogato è ancora l’eroinomane, il ‘tossico’ che si emargina. Ma oggi il problema è più insidioso perché chi abusa conduce una vita normale.

Purtroppo a volte è così. Pensiamo a quante vittime abbiamo pianto per incidenti stradali causati da persone apparentemente ‘normali’ che guidavano sotto l’effetto di alcol e droghe. Con il governo Renzi abbiamo dato un giro di vite alzando le pene per l’omicidio stradale causato in stato di ebbrezza o sotto stupefacenti con l’obiettivo della deterrenza. E come Dipartimento abbiamo approfondito l’abuso di stupefacenti delle donne, che sono meno a rischio degli uomini, ma sempre più spesso abusano di medicinali e psicofarmaci. L’ennesimo caso di tossicodipendenza nascosta, che richiede una grande azione culturale preventiva. Anche il Papa ha ribadito che le droghe inducono a una condizione di schiavitù. E vogliamo partire dalle scuole per far capire ai giovani che con l’acquisto finanziano la criminalità organizzata. Ma che prima di ogni altra cosa mettono a rischio la loro salute e la loro autonomia. Dicendo con chiarezza che nemmeno l’uso sporadico va sottovalutato: spesso parte da lì la dipendenza, anche se alcuni pensano di smettere quando vogliono, mentendo a se stessi.

avvenire

Disagi e problemi della società moderna. Alcol e famiglia

Insieme a Chiesa e scuola, la famiglia è il luogo dell’educazione dell’individuo. Formazione integrale della persona e retto uso della libertà si concretizzano in un corretto uso dell’alcol.

La famiglia è sempre stata considerata la cellula d’ogni società1 e la principale istituzione in cui il patrimonio personale di un individuo viene formato; insieme ad altre istituzioni, come Chiesa e scuola, deve essere luogo di vera educazione (cf Codice di diritto canonico 795). Formazione integrale della persona e retto uso della libertà si devono concretizzare in un corretto uso dell’alcol, in modo che non sia l’uomo schiavo dell’alcol, ma l’alcol sia un elemento usato dall’uomo, utilizzo che può avere anche valenze positive. Molteplici sono i valori che si possono attribuire all’alcol – alimentare, socializzante, farmacologico, tossicologico – e la famiglia è per l’appunto il luogo principale dove questi valori possono essere trasmessi alle nuove generazioni

Le foto del servizio sono solamente simboliche; rappresentano delle realtà "normali", come feste in famiglia o per una laurea. Anche se... (foto M. SETTIME)

Le foto del servizio sono solamente simboliche; rappresentano delle realtà “normali”, come feste in famiglia o per una laurea. Anche se… (foto M. SETTIME)

Adolescenza, adulti e cultura della società moderna Nel momento in cui in una famiglia si fa un uso appropriato dell’alcol e vengono trasmessi i giusti valori che possono avere tali bevande – come abbiamo visto sopra –, i ragazzi avranno meno possibilità di cadere in problemi di alcolismo rispetto a una famiglia che ne fa un uso “problematico” trasmettendo valori di tipo farmacologico e tossicologico, altamente pericolosi per una corretta formazione della persona. Un aspetto importante, che fa parte della formazione integrale della persona e che può avere, a mio avviso, un forte peso rispetto all’uso di alcol, è – sempre all’interno delle relazioni famigliari – l’impegno dell’adulto a far sì che l’adolescente sia valorizzato e apprezzato, in modo che possa sentire di valere come persona. Questo è un processo lungo che trova le sue radici fin dai primi anni di vita del giovane, in modo che acquisti una giusta stima di sé e fiducia nelle sue capacità, per poter affrontare le sfide che il mondo gli presenterà, capace di vivere le tensioni che ogni scelta porta in sé (cf Familiaris consortio 37).

Se ciò non accade, il ragazzo non sarà in grado di guardare con la giusta serenità il domani, consapevole delle proprie capacità e delle reali difficoltà da affrontare, e cercherà di compensare le proprie paure, i timori di un domani incerto, utilizzando espedienti capaci di dargli la forza che gli manca – si chiamino alcol o droga – e che potranno compromettere seriamente lo sviluppo integrale della persona, anche a livello intellettivo/volitivo. Inoltre, tutto viene reso ancora più difficile da altri due fattori: l’adolescenza e la cultura della società odierna. L’adolescenza è in sé stessa un periodo problematico e conflittuale; il ragazzo si ritrova con un corpo in via di sviluppo con il quale deve ancora prendere confidenza; i rapporti con i genitori diventano difficili.

Una famiglia a tavola (foto © TROY HOUSE / CORBIS).

(foto © TROY HOUSE / CORBIS).

L’adolescente si trova in uno status non ben definito: non più bambino, ma nemmeno adulto; proiettato verso un futuro che però non dà sicurezza né certezze, in una società che chiede molto ed è altamente concorrenziale. L’adolescente è attratto da tutto ciò, ma nello stesso tempo sente la mancanza dell’età infantile, caratterizzata da sicurezze e certezze . Quindi da una parte c’è il desiderio d’essere grande e la paura di fallire, dall’altra il desiderio segreto di essere ancora bambino e la voglia di crescere, tensioni che sono fonte di timori e solitudini e possono avere come epilogo il ricorso all’alcol, visto come mezzo utile per vincere le proprie debolezze e fronteggiare la vita.

Dal connubio tra il periodo adolescenziale, problematico in sé, in cui i giovani cercano una loro connotazione sia nella famiglia che nella società, periodo caratterizzato da comportamenti impropri, devianti e trasgressivi, e una società non capace di dar loro uno status con certezze e sicurezze per il loro futuro, le possibilità di arrivare a un abuso di alcol sono maggiori.

A quest’incapacità da parte della società di dare uno status ai giovani sopperisce il gruppo di amici, gruppo che «si pone come un’agenzia di socializzazione in grado di rispondere alla richiesta d’identità da parte dell’adolescente il quale, assumendo un determinato ruolo, trova un’identità già predisposta con il suo corredo di norme, valori, sanzioni, credenze, ragioni e modelli d’azione»

La ricerca di uno status richiede di conformarsi al comportamento del gruppo, assumendo determinati atteggiamenti e comportamenti condivisi, che da una parte fanno sentire parte del gruppo e dall’altra differenziano da quanti non fanno parte del gruppo.

Atteggiamenti e comportamenti che trovano nel consumo di alcol e di sigarette un forte alleato, capace di essere punto di coesione e fonte di divertimento; capace di dimostrare che non si è più bambini ma adulti; capace di far vincere le proprie paure e timidezze e dare quel senso di “onnipotenza” che rende capaci di compiere qualsiasi azione pensando di essere assolutamente indenni da ogni negativa conseguenza, e tutto ciò senza rendersi conto dei rischi che si possono correre. Atteggiamenti e comportamenti che, se anche non conducono a un bere “patologico” con tutte le sue conseguenze, sono espressione di un disagio e di un problema che tocca intimamente i giovani, ponendo la società di fronte alle sue responsabilità. Società che mancando «della qualità di struttura ragionevolmente stabile e integrata» fa sì che il ragazzo che matura si rivolga «esclusivamente ai suoi coetanei allontanandosi da quella struttura sociale extrafamiliare senza la quale è più difficile mantenere la sua integrità psichica»

Fa riflettere lo spettacolo desolante di giovani in preda all'alcol, incidenti del sabato sera

Fa riflettere lo spettacolo desolante di giovani in preda all’alcol, incidenti del sabato sera (foto ROSSETTI / PSP).

La vera libertà non è libertinismo

Inoltre la nostra società ha una grossa difficoltà a offrire ai ragazzi una formazione sociale e morale; essa si traduce in un «malessere che comprende la sindrome amotivazionale con la tendenza a vivere alla superficie di sé stessi, che da alcuni è stato definito “sindrome etica”, cioè un tale livello di fragilità della formazione socio-morale da tradursi in una “malattia” sociale»6. Malattia sociale in quanto la società di oggi difficilmente riesce a dare una giusta scala di valori, che abbia come base, non dico il diritto rivelato, ma almeno quello naturale, nel rispetto di quel concetto tanto caro ai nostri governanti di laicità dello Stato, che sovente si rivela essere laicismo. Società in cui il relativismo etico ha il sopravvento, ognuno si fa una sua morale a uso e consumo proprio e ogni morale va bene, purché rispetti la libertà dell’altro. Libertà intesa nel senso di far ciò che ti senti, ciò che ti è più comodo: questa non è libertà, ma libertinismo.

La vera libertà deve avere il suo fondamento nell’essere a immagine e somiglianza di Dio e da «una correlazione fra diritti e doveri, con cui ogni persona è chiamata ad assumersi la propria responsabilità delle proprie scelte, fatte in conseguenza dell’entrata in rapporto con gli altri».

Risultato di questa società malata, incapace di far fronte alla crisi di valori che la corrode dal di dentro, sono sovente i giovani – ma non solo – che «presentano scarsa tolleranza alla fatica e frustrazione, orientamento a vivere il presente come un tempo assoluto, ridotto senso di responsabilità e di autonomia, legami affettivi labili e inconsistenti».

Tutto questo, unito a una grossa difficoltà comunicativa da parte dei giovani che è frutto di una società individualizzante, può essere il triste presupposto per problemi alcolici. Bisogna ancora sottolineare come il bere nei giovani sia sovente una fase di passaggio, una delle multiformi manifestazioni dell’adolescenza con le sue problematicità, destinata a evolversi in età adulta in un consumo di alcol equilibrato e ragionevole. Fase questa decisamente delicata, come sopra esposto, ma che non necessariamente porta in età adulta a uno stato di dipendenza alcolica. È certo invece che può portare a immediate e sgradite conseguenze, come ad esempio gli incidenti automobilistici. Nelle famiglie, in cui si fa un uso “problematico” dell’alcol, le difficoltà per uno sviluppo integrale e completo del ragazzo aumentano notevolmente, e ancor di più nel caso di alcolismo conclamato da parte di una o entrambe le figure genitoriali. In queste situazioni si hanno conseguenze gravi per l’equilibrio familiare, con gravi perdite della funzione biologica della coppia; il desiderio sessuale diminuisce con minori rapporti intimi; ci possono essere casi d’impotenza; allontanamento del coniuge non alcolista… Ne risente anche il fattore economico: la scarsa efficienza e inaffidabilità lavorativa causano eventuali perdite di lavoro e conseguenti difficoltà economiche. Infine, si nota una perdita della funzione psico- sociale; l’attenzione della coppia viene assorbita dalla problematica del bere, mettendo in crisi quel luogo in cui vengono trasmessi ai figli valori e regole di vita.

Sovente vengono effettuate anche violenze a carico sia del coniuge non affetto dal problema dell’alcol – soprattutto nel caso della donna – sia dei figli, che si trovano a essere vittime e spettatori inermi e indifesi del degrado psicofisico di una figura che dovrebbe essere per loro punto di riferimento e tutela.

Figli che crescono in un ambiente in cui, invece di trovare un clima di confronto sereno e di dialogo, necessari ad «acquisire una giusta stima di sé e una solida fiducia in sé stessi, entrambe essenziali per un equilibrato sviluppo […] si trovano a dover crescere in un clima dove per la maggior parte del tempo, l’autorità, l’abbandono o la violenza tengono il posto della comunicazione»11. Si può quindi ben capire come tutto questo possa incidere profondamente nello sviluppo psichico dei giovani, che negli ambienti con grande criticità «non hanno imparato ad amare, ma a ribellarsi; non hanno imparato a essere amati, ma a essere abbandonati; non hanno imparato che è possibile essere felici, ma piuttosto che la vita è un campo minato nel quale bisogna combattere per farsi posto. Inevitabilmente, hanno ripetuto ciò che è stato loro inculcato».

Giuliano Albertinelli – vita pastorale dicembre 2012