Meloni è in Albania per una visita informale

Il presidente del Consiglio ha lasciato la Puglia, dove sta trascorrendo le vacanze, con un traghetto di linea. Previsto un incontro con l’omologo Edi Rama

meloni in albania edi rama

AGI – Giorgia Meloni ha raggiunto stamane l’Albania, a bordo di un traghetto di linea partito da Brindisi, per una breve visita che, a quanto si apprende, dovrebbe comprendere un incontro informale con l’omologo del Paese delle Aquile, Edi Rama.

Il presidente del Consiglio sta trascorrendo un periodo di vacanze in Puglia, in una struttura a Ceglie Messapica, insieme ad alcuni familiari.

Meloni, informano i media locali, è arrivata a Valona nel pomeriggio. Accompagnata, tra gli altri, dal compagno e dalla figlia, la presidente del Consiglio, sempre secondo le stesse fonti, dovrebbe trattenersi in Albania almeno fino a domani.

Non sarebbe peraltro da escludere che la breve trasferta sull’altra sponda dell’Adriatico possa avere un’ulteriore ‘coda’.

Lo scrittore. Shpëtim Selmani: «Il mio Kosovo in lotta per la pace»

Si definisce «figlio della guerra» e nel suo ultimo romanzo “Ballata dello scarafaggio” intreccia vita quotidiana e violenza della storia
Lo scrittore e attore kosovaro Shpëtim Selmani

Lo scrittore e attore kosovaro Shpëtim Selmani – Blerta Hoçia/Crocetti

Quello dei Balcani è un passato che sembra non passare mai. Mentre non si sono ancora spenti gli echi del conflitto in Kosovo, che chiuse nel modo peggiore il XX secolo, c’è chi con quel terribile fardello è stato costretto a crescere e a diventare adulto. Lo scrittore e attore kosovaro Shpëtim Selmani si definisce «un figlio di quella guerra», che iniziò quando lui aveva appena dodici anni. Crescendo ha cercato di rielaborare quell’esperienza anche con l’aiuto della letteratura e del teatro. Ma ammette di non esserci riuscito. «Non ho ancora fatto pace con il mio passato. Spero di potermi almeno riconciliare con il futuro», confessa in questa intervista che ci ha rilasciato in occasione dell’uscita di Ballata dello scarafaggio (traduzione di Fatjona Lamce, Crocetti, pagine 160, euro 17,00), un libro in cui intreccia il suo quotidiano di scrittore, attore, padre e marito con la violenza della storia.

Nato a Pristina nel 1986, vincitore del premio dell’Unione Europea per la letteratura nel 2020, Selmani è autore di opere in prosa e in poesia già tradotte in molte lingue, nelle quali ha cercato di riflettere sul dolore e sull’umiliazione subita durante la guerra dalla sua famiglia e dal suo popolo. È lui lo scarafaggio del titolo, «piccolo ma carico di orgoglio e con una profonda dignità», tiene a precisare, sostenendo che «tutti i conflitti scoppiano laddove non c’è conoscenza, né comprensione nei confronti delle piccole nazioni». Con una lingua cruda e spigolosa che a tratti dà spazio a lirismi improvvisi (e può ricordare quella di un altro scrittore di origini balcaniche, il bosniaco Aleksandar Hemon), Selmani ricostruisce il proprio vissuto, le emozioni che ha provato in questi anni e il suo punto di vista sulla vita attraverso una serie di brevi paragrafi autobiografici.

Elenca storie, ricordi e aneddoti come pezzi di un mosaico, nel tentativo di ricomporre la sua anima violata e di confrontarsi con il proprio passato. I suoi traumi personali, le difficoltà del dopoguerra, la ricostruzione del suo Paese. Fino ad arrivare alla realtà odierna di un Paese che vede ancora divisioni profonde tra serbi e albanesi, politici corrotti e uomini d’affari senza scrupoli. La letteratura, però, può essere un antidoto a tanti mali, come spiega in una parte centrale del libro, dedicata al suo incontro con una giovane scrittrice serba intenta a negare il genocidio di Srebrenica.

La letteratura può essere anche uno strumento per combattere il negazionismo e il revisionismo?

Direi proprio di sì. Anzi penso che dovrebbe essere una delle ragioni principali della sua esistenza. Una vera letteratura deve essere raffinata, originale, autentica. E servire sempre il bene. Non può e non deve avere bisogno di mentire, di diffondere odio o propaganda. Potrebbe davvero essere il rimedio contro tanti mali del mondo, ad esempio favorendo una riflessione sulle identità collettive, anche se viviamo dentro una grande scatola politica nella quale la letteratura è come un luogo perduto, alla ricerca della propria vera funzione. In un’epoca come quella attuale, in cui le identità personali possono anche essere fluide, l’identità nazionale è sempre più forte. E da questo derivano molti dei problemi del mondo. La vera letteratura è fatta invece da identità universali ed è proprio per questo che spesso la politica si scontra con la letteratura. Penso inoltre che ci sia una linea molto sottile tra la letteratura e la vita. Poiché tutto ciò che è vissuto è letteratura.

Quali sono i principali elementi di ispirazione per le sue opere?

Ne ho molti, a partire dalla mia vita, dal luogo in cui vivo. E anche dalle nostre identità. Molte cose della vita sono in armonia nel loro caos e talvolta è difficile comprenderle. I popoli, ad esempio, sono entità molto complesse. Non mi piace affatto che le persone siano felici a causa del loro potere. Un tema molto importante nel mio lavoro letterario è anche l’amore. Ma la vita mi fornisce molti spunti dei quali sono pronto a parlare con sincerità, per quello che posso.

Neanche con l’aiuto della letteratura è riuscito a far pace con il suo passato?

Purtroppo no. L’esperienza della guerra, che ho vissuto da bambino, ha determinato molte delle mie percezioni di adulto. Stiamo ancora lottando per trovare la pace ma pare ancora molto difficile, perché siamo un piccolo stato e siamo manipolati dal potere politico. Non possiamo costruire il nostro futuro senza il sostegno di Stati potenti. Certe narrazioni politiche hanno ricominciato a parlare della guerra ed è davvero assurdo che gli esseri umani possano ancora contemplare l’esistenza di qualcosa che è profondamente primitivo e stupido. Io posso riuscire a fare la pace almeno con il futuro. Questo, sì, credo sia fondamentale.
Cosa significa, per lei, resistere alla guerra? Essere un fanatico della pace. Odiare i confini. Amare gli esseri umani. Per rispettarli. Per proteggere l’amore. Pensare al mondo come a casa nostra. Comprendere gli altri e osteggiare sempre quei leader politici che sono capaci di solo di distruggere.

Lei è anche poeta e drammaturgo. Cos’è la scrittura per lei?

È stata un modo per rimanere in vita. Ma trovo molta difficoltà a spiegare cosa sia davvero per me. Scrivere è sempre stato un modo di comunicare con me stesso. È un modo per tenermi sotto controllo, di capire me stesso. Continuo a non capire perché lo faccio. È come una specie di autoriparazione. Ma anche una malattia, un impulso infantile, qualcosa di cui ho bisogno.

Quali sono i suoi sentimenti nel vedere i recenti scontri nel nord del Kosovo? È una sorta di storia che non finisce mai?

Un senso di incredulità. È pazzesco che dopo tanti anni esista ancora tutto questo odio. La storia non ci ha insegnato niente. Ma la gente comune è davvero molto stanca e non ne può proprio più del patriottismo, della propaganda, delle minacce, del sangue. Dobbiamo dare tutti il nostro contributo per creare un futuro privo di odio.

avvenire.it

 

Sarà una Pasqua indimenticabile per il cardinale Ernest Simoni, 94 anni, sacerdote perseguitato dal regime comunista albanese

Simoni ormai da anni è stato adottato da Firenze, città che gli ha fatto dono del Sigillo della pace. Domenica mattina sarà con Papa Francesco affacciato alla loggia di San Pietro per la benedizione Urbi et Orbi, alla città e al mondo. “E’ già una grande emozione aver appreso la notizia di accompagnare il Santo Padre per la benedizione Urbi et Orbi come cardinale diacono – sorride il cardinale – figuriamoci nella domenica della Santa Pasqua stare su quel balcone dal quale nella storia della Chiesa tanti Pontefici hanno rivolto preghiere e benedizioni”.
E’ un’esperienza che l’anziano prelato, creato cardinale dal Papa venuto dalla fine del mondo, proprio per la testimonianza di fede resa durante 28 anni di prigionia e lavori forzati dal 1963 al 1991, come “nemico del popolo“ con l’accusa di aver celebrato messe in suffragio del presidente John Fitzgerald Kenney, assassinato a Dallas nel ’63, come indicato da Papa Paolo VI e in più perché aveva predicato che valeva la pena, all’occorrenza, dare la vita per Gesù .

“Quando ero in prigione – ricorda – all’alba non sapevamo se avremmo rivisto il tramontare del sole dopo giornate scandite da torture, vessazioni, violenze ed interrogatori – dove i carcerieri volevano addirittura che rivelassimo il contenuto delle confessioni -. – prosegue il cardinale – Durante la detenzione nei campi di lavoro, nelle miniere dove estraevamo rame e pirite se una sola pietra si fosse staccata nei cunicoli, cadendoci addosso saremmo volati in Cielo tutti, visto le condizioni precarie nelle quali lavoravamo senza nessuna sicurezza e protezione”.
Eppure non ha mai perso la speranza: “Mai avrei creduto dopo i tanti calci presi, l’atroce dolore delle catene che mi stringevano tremendamente i polsi, dopo avermi privato della libertà sopratutto senza poter esercitare il ministero di sacerdote senza poter servire il popolo ed annunciare la salvifica Buona Novella, vivere ora dei giorni così belli, ricchi di doni spirituali a servizio dei fedeli per la salvezza delle anime. Mai avrei creduto di ricevere la berretta cardinalizia grande dono inaspettato, veramente un grande dono di cui mai smetterò con tutto il cuore di ringraziare Papa Francesco; preghiamo per il Santo Padre affinché il Signore possa donargli forza e salute nel suo universale ministero petrino”.

lanazione.it

Staffetta missionaria per l’Albania

Al via un progetto d’accompagnamento per sostenere la missione in Albania. Non sarà inviato un sacerdote, ma cinque unità pastorali si alterneranno per conoscere e camminare insieme alla Diocesi di Sapë e la Casa della Carità di Laç Vau-Dejës.

laliberta.info