Svolta riformista in Marocco


di GIUSEPPE M.PETRONE

Dalla tradizionale Hiba – parola araba che significa sacro rispetto per un sovrano assoluto che comanda su tutto – a una monarchia moderna dove il re divide i suoi poteri con il Parlamento, il Governo e gli organismi giudiziari. È questo il senso della riforma costituzionale, proposta da re Mohammed VI (diciottesimo sovrano della dinastia alawita salito al trono il 30 luglio del 1999, succedendo a suo padre Hassan II) e approvata il 1° luglio, in un referendum popolare, che ha riscosso oltre il 98 per cento dei sì. Un plebiscito visto che più del 72 per cento dei 13 milioni di marocchini chiamati alle urne ha votato, malgrado il caldo torrido, gli inviti al boicottaggio di una parte del Movimento del 20 febbraio, della sinistra e degli islamisti. Per rimarcare la considerevole affluenza basta ricordare che nelle legislative del 2007 solo il 37 per cento degli elettori si era recato ai seggi.
Spesso si fa coincidere il Marocco (terzo Paese più popoloso d'Africa dopo Nigeria e Sudan) con la vasta regione del Maghreb (anche se quest'utima ha un'estensione più ampia) il cui nome deriva dall'arabo, Al Mamlaka Al Maghribya ("il regno d'occidente"), ma il termine Marocco proviene dalla latinizzazione del nome Marrakech che a sua volta deriva dalla parola berbera Mur-Akhus ("terra di Dio"). A partire dalla seconda metà del XVII secolo, ascese al potere la dinastia degli alawiti alla quale appartengono i moderni sovrani marocchini.
Con una mossa fulminea e giocando d'anticipo sul vento del cambiamento della cosiddetta primavera araba, che ha soffiato dalla Tunisia all'Egitto, dalla Libia allo Yemen, re Mohammed VI ha intrapreso la strada della modernizzazione del Paese, con un sogno nel cassetto: diventare un giorno membro dell'Unione europea. Il sovrano ha presentato, in un discorso alla Nazione, la profonda riforma della Carta affidata a una commissione presieduta dal costituzionalista Abelatif Mennouni. Mohammed VI ha sostanzialmente comunicato di voler rinforzare la democrazia. Una svolta per il Marocco, il Paese più occidentale del Nordafrica, a cavallo tra Oceano e Mediterraneo, con una storia che si mescola a quella europea e una cultura che parla di berberi, spagnoli, francesi e arabi.
La nuova Carta apre ai partiti, ridimensiona il ruolo del sovrano che diventa rappresentante dello Stato (ma mantiene un ruolo di controllo e non sarà una figura puramente rappresentativa e simbolica, come accade per la Corona spagnola o britannica), avvia delle riforme sostanziali: il potere legislativo spetta al Parlamento, quello esecutivo al capo del Governo che sarà designato dal monarca, sulla base però del partito o della coalizione che vince le elezioni legislative. Nella prima parte, la Costituzione cita i diritti e le libertà fondamentali garantiti ai cittadini marocchini, tra cui la libertà di stampa, di pensiero e di manifestare pacificamente. La nuova Costituzione garantisce anche l'indipendenza dei magistrati da ogni interferenza esterna.
Nella prima Costituzione (1962, e da allora a più riprese emendata, l'ultima volta nel 1996), spettava al re il potere di nominare, senza alcun vincolo, il premier e i magistrati e, in qualità di sovrano di presiedere il Governo e il consiglio dei magistrati. Altro punto importante sul quale Mohammed VI ha dimostrato grande attenzione, espressa già con altre riforme come per esempio la Mudawana (Codice islamico-sunnita della famiglia che garantisce molti diritti fondamentali, senza venire meno alla tradizione musulmana), è la condizione delle donne. Per loro verrà stabilita una quota al consiglio superiore della magistratura. Un gradino che si aggiunge agli altri, per dare il giusto valore alla presenza femminile. Inoltre, la Carta riconosce il berbero, cultura a cui appartiene la maggioranza della popolazione marocchina, come lingua ufficiale del Paese insieme all'arabo.
Il Movimento 20 febbraio – formato inizialmente da giovani attraverso Facebook e che ha promosso alcune manifestazioni di piazza – e parte dell'opposizione hanno giudicato insufficiente la riforma costituzionale annunciando nuove forme di protesta. Tuttavia, il movimento appare meno compatto che nei mesi precedenti, perché diversi suoi esponenti di spicco hanno deciso di partecipare al referendum, spaventati anche dalla massiccia presenza degli islamisti che ha connotato l'ultima fase delle proteste.
Con una crescita annua che oscilla intorno al 7 per cento, il Marocco sta procedendo con passi da gigante, tanto da essere tra le economie africane più fiorenti. Senza dimenticare il turismo, gran parte della ricchezza proviene dall'indotto legato all'estrazione di polifosfati. Ma, nonostante le riforme, la liberalizzazione del mercato e il conseguente ingresso di capitali stranieri, circa il 20 per cento della popolazione vive ancora sotto la soglia minima di povertà.
Il Marocco ha però dato una risposta seria al desiderio di democrazia espresso dalla popolazione: altri Governi o regimi hanno tentato di bloccare il rinnovamento e ne sono stati travolti. Per rispondere alle sfide che il Paese dovrà affrontare servono comunque energie nuove e un ricambio della classe dirigente, competente e onesta. Per molti analisti – lo ha sottolineato anche il presidente russo, Dmitri Medvedev – i cambiamenti che si sono verificati nel mondo arabo hanno un carattere storico e possono aprire la strada a trasformazioni comparabili a quelle che hanno avuto luogo in Europa centrale con la caduta (il 9 novembre del 1989) del Muro di Berlino. Ma bisogna essere realisti: la democrazia non si costruisce in un giorno, necessita di un processo graduale, guidato con saggezza e senza ingerenze esterne.
Le elezioni si svolgeranno dopo l'estate e il nuovo Parlamento marocchino avrà poteri legislativi enormi rispetto a quelli che detiene oggi e sarà necessario che sia composto da gente in grado di guidare la delicata fase di transizione democratica da una monarchia assoluta a una monarchia costituzionale.

(©L'Osservatore Romano 16 luglio 2011)