Svizzera Il vescovo Ayuso Guixot a Ginevra per un convegno organizzato dal World council of Churches. Ponti di dialogo tra sikh e cristiani

L’Osservatore Romano 

Perseguire la pace in un mondo pluralistico è possibile. Ne è convinto il vescovo Miguel Ángel Ayuso Guixot, presidente del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso, che intervenendo venerdì 5 luglio a un convegno al centro ecumenico di Ginevra, ha anche indicato sette strade per raggiungere l’obiettivo.
In sintesi si tratta di vivere ciascuno la propria fede in modo autentico per rimanere radicati nei valori della comprensione reciproca, della fraternità umana e dell’esistenza armoniosa; riconoscere, preservare quanto c’è di buono a livello spirituale, morale e socio-culturale in tutte le religioni, anche imparando da esse; promuovere autentici legami di amicizia, rispettando l’intrinseca dignità e integrità di ciascun essere umano; lavorare insieme per il bene comune, assicurando che la voce degli ultimi sia ascoltata forte e chiara e che i loro legittimi bisogni siano soddisfatti; favorire una cultura di dialogo e di collaborazione tra persone di diverse tradizioni; creare la consapevolezza che le differenze non sono mai una minaccia ma una potenziale fonte di crescita e di arricchimento; pregare e digiunare per la pace. 
Ad ascoltare le sue parole nella città svizzera, una quarantina di leader religiosi e studiosi invitati dal World council of Churches (Wcc), che per la prima volta ha ospitato un convegno per il dialogo tra sikh e cristiani, con l’obiettivo di commemorare il 550° anniversario della nascita di Guru Nanak (1469), il mistico indiano fondatore del sikhismo.
Nonostante le differenze, anch’essa è una tradizione di fede monoteista che ha scritture al centro della vita spirituale e rituale. L’accomuna al cristianesimo anche l’idea dell’ospitalità, che si riflette attraverso la pratica della condivisione dei pasti, che nel primo caso rimanda all’Eucaristia e nel sikhismo allaLangar. Ciò si è riflesso negli ultimi anni in un grande sforzo di proteggere e servire alcune delle persone più vulnerabili coinvolte nei conflitti in diverse parti del mondo: le organizzazioni di soccorso sikh hanno infatti risposto ai bisogni dei rifugiati Rohingya al confine tra Bangladesh e Myanmar, così come a quelli dei profughi siriani. Va inoltre ricordato che Tegh Bahadur (1621-75), il nono guru dei sikh, fu martirizzato per aver difeso la libertà religiosa anche di quanti erano al di fuori della tradizione sikh. E questa applicazione pratica della “regola d’oro” nella solidarietà radicale rimanda alla comprensione cristiana della diakonia(servizio) e della koinonia (fraternità). 
Augurando ai sikh di «continuare a rimanere ispirati dall’esempio del fondatore in modo da diventare sempre più autentici uomini e donne impegnati a costruire la pace e a diffondere la gioia nel mondo», monsignor Ayuso — che era accompagnato da monsignor Michael Santiago, officiale del dicastero — ha citato il messaggio di Paolo VI per la Giornata mondiale della pace del 1976. Essa, scriveva Montini «è opera di una continua terapia»; perciò, ha aggiunto il relatore, «tutti devono continuare a lavorare per la pace con pazienza e perseveranza. Nell’attuale contesto di crescente intolleranza, discriminazione, conflitti, tensioni e violenze, a causa dell’aumento allarmante dell’estremismo, del fanatismo, del fondamentalismo e del nazionalismo populista» — ha denunciato il vescovo — è necessario che gli uomini si impegnino per la pace ovunque. Imbarcarsi, quindi, in iniziative per la ricerca della pace è un’esigenza globale e un invito urgente agli uomini e alle donne di tutte le fedi.
Del resto, ha aggiunto il presule comboniano, «sulla scia di eventi sconvolgenti che riguardano i paesi in cui viviamo come cittadini o residenti» e persino «nei nostri quartieri, il ruolo dei credenti diventa vitale», perché vivendo con gli insegnamenti delle religioni — come affermava Giovanni Paolo II nel messaggio per la Giornata mondiale della pace del 1992 — non si «può non produrre frutti di pace e di fraternità»; infatti «è nella natura della religione promuovere un vincolo sempre più stretto con la divinità e favorire un rapporto sempre più solidale tra gli uomini». Di conseguenza, ha concluso Ayuso, «abbiamo una responsabilità come credenti e come leader delle nostre rispettive comunità»: quella di «diventare costruttori di fraternità e di pace». E in proposito, ha rilanciato il documento sullaFratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune firmato ad Abu Dhabi il 4 febbraio scorso dal Papa e dal Grande imam di Al-Azhar, raccomandandone lo studio. Infatti, sebbene si riferisca alle relazioni tra cristiani e musulmani, contiene un messaggio di portata universale.
L’Osservatore Romano, 6-7 luglio 2019