Storia di una donna che ha imparato a pregare

di Giulia Galeotti

“Com’è strana la mia storia – scriveva nel suo diario Etty Hillesum – la storia della ragazza che aveva imparato a pregare”. Pur con tutte le differenze, queste parole della ventinovenne ebrea olandese uccisa ad Auschwitz costituiscono un riassunto perfetto anche per la storia di Ildegarda, protagonista del nuovo romanzo di Mariapia Veladiano, Il tempo è un dio breve (Torino, Einaudi, 2012, pagine 232, euro 17 sconto 15% online risparmi euro 2,55).  La trama è facile. Abbandonata dal marito con un figlio piccolo, Ildegarda è avviluppata nello sconforto. Per Natale, volendo trovare un rifugio lontano con il piccolo Tommaso, arriva sulle splendide montagne dell’Alto Adige dove fa un incontro che cambierà la sua vita.
Alle prese con questo canovaccio, l’autrice dimostra di essere una scrittrice completa. Superare la prova del secondo romanzo quando il primo (La vita accanto) è stato un grande successo di pubblico e di critica, non è impresa facile. C’è il rischio della fretta, della ripetizione, dell’approssimazione o dello snaturamento. Veladiano, invece, schiva brillantemente tutti i pericoli, offrendoci un nuovo, meraviglioso romanzo. Quel che ritorna, rispetto al precedente, è il senso profondo della storia, che poi è il senso profondo della vita: il dolore esiste, ma la capacità di essere vivi la si acquisisce camminando con gli altri.
Il romanzo comincia con una cappa terribile. Le sabbie mobili indotte da un malessere cupo, totale. Eppure, capire che le cose possono cambiare è possibile. Ildegarda racconta al lettore la sua storia, e lo fa (lei che ha studiato teologia) interrogandosi ininterrottamente. Anzi, interrogandoLo ininterrottamente. La domanda più assillante che questa ragazza rivolge a Dio è la questione più terribile che la vita mette sul piatto: la sofferenza dei bambini. Ildegarda si arrabbia, si dispera, cerca la fede, ringrazia, sorride, si chiede se crede – e Gli chiede se crede. Dialogando con Dio, lo insegue, lo ama, lo rincorre, lo strapazza, si abbandona. È un fluire di domande, asserzioni, suppliche. È un affidarsi. È una grandissima dimostrazione d’amore.
Oltre che per l’impianto generale del romanzo, Veladiano dimostra una cura stupefacente per il contorno, i dettagli. Una cura che è anche un’attestazione di profondo rispetto per il lettore.Lo rivelano la maestria con cui ogni personaggio viene descritto e la scelta di ogni singola parola.
È pieno il racconto di Ildegarda. È un guardare dentro il dolore, ma è un guardare (allo stesso tempo e insieme) la vita negli occhi. Nel fluire di interrogativi, una sola risposta. Affidarsi.
“”Che la sua gioia sia piena, Signore”. Questo pregavo”. È quel che ha imparato Ildegarda.

(©L’Osservatore Romano 24 ottobre 2012)