Sprechiamo sempre più cibo

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Le cifre di uno scandalo e la chiave per superarlo

25 settembre 2020

Su proposta dell’Organizzazione per l’alimentazione e l’agricoltura (Fao), l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha ufficialmente introdotto, con Risoluzione n. 74/209 del 19 dicembre 2019, la Giornata internazionale di consapevolezza sulle perdite e gli sprechi alimentari, che verrà celebrata per la prima volta il prossimo 29 settembre. Essa rappresenterà un chiaro invito per il settore pubblico e privato ad incrementare gli sforzi per ridurre la perdita e lo spreco di cibo, così da garantire la sicurezza alimentare a tutti gli individui, in particolare ai più vulnerabili, colpiti in special modo dalla rapida diffusione del covid-19.

Affrontare la problematica della perdita e dello spreco alimentare risulta infatti essenziale per ripartire nel corso della grave pandemia, affinché attraverso nuove azioni, tese ad accrescere l’efficienza della produzione, della distribuzione e del consumo degli alimenti, sia possibile garantire il cibo per tutti, in modo che il dramma del virus non si trasformi nel dramma della fame.

Secondo i dati contenuti nel Rapporto sullo Stato dell’alimentazione e dell’agricoltura 2019 lanciato dalla Fao, quello dello spreco alimentare è un problema che coinvolge la maggior parte dei Paesi industrializzati nei quali, nel corso di un anno, vengono mandati al macero circa 1.3 miliardi di tonnellate di cibo ancora commestibile, potenzialmente in grado di sfamare milioni di persone che non hanno accesso a risorse nutritive adeguate. Si stima che, a livello mondiale, circa il 14 per cento degli alimenti vada perso o sprecato dopo il raccolto e prima di arrivare alla vendita al dettaglio, così come nel corso delle operazioni di stoccaggio e di trasporto. Lo spreco di cibo, poi, è uno dei fattori che contribuiscono al depauperamento ambientale, accelerando il cambiamento climatico. Inoltre, buttare il cibo significa anche sprecare e consumare le risorse energetiche utilizzate per produrlo, trasportarlo, conservarlo e confezionarlo. Eppure, nonostante il legame tra alimentazione non sostenibile e inquinamento sia noto ormai da decenni, ogni giorno finiscono nella spazzatura enormi quantità di prodotti pienamente commestibili. Il Rapporto sottolinea anche l’importanza di monitorare le perdite in ogni fase della filiera alimentare e la necessità di ridurre gli sprechi causati dalle date di scadenza ravvicinate e dal comportamento dei consumatori, che spesso richiedono prodotti soddisfacenti secondo criteri puramente estetici. Le perdite sono maggiori nei Paesi in via di sviluppo: nell’Africa sub-sahariana ammontano al 14 per cento, nell’Asia meridionale e in Asia centrale al 20,7 per cento; di contro sono più basse nei Paesi sviluppati: in Australia e in Nuova Zelanda, ad esempio, raggiungono soltanto il 5,8 per cento. Nello specifico, nei Paesi a basso reddito, le perdite di frutta e verdura fresche sono attribuite principalmente a infrastrutture carenti, mentre nella maggior parte dei Paesi ad alto reddito, esse avvengono durante lo stoccaggio, per lo più a causa di guasti tecnici, errata gestione delle temperature, dell’umidità o di un eccesso di scorte.

Nel maggio 2015, i ministri dell’agricoltura del g20, ospitato quell’anno dalla Turchia, hanno definito le perdite e gli sprechi alimentari come un problema globale di grande importanza economica, ambientale e sociale incoraggiando tutti i membri del g20 a incrementare gli sforzi per prevenire e ridurre gli sprechi. Tale raccomandazione è stata seguita dall’accordo per la creazione della Piattaforma tecnica sulla misurazione e la riduzione della perdita e dello spreco alimentare tra la Fao e l’Istituto internazionale di ricerca sulle politiche alimentari (Ifpri) che conduce indagini per fornire soluzioni politiche innovative al fine di migliorare la sicurezza alimentare e combattere la povertà. Lanciata a dicembre 2015, la Piattaforma tecnica si basa ed integra le iniziative esistenti della Fao e il Programma del gruppo consultivo per la ricerca agricola internazionale (Cgiar) su politiche, istituzioni e mercati. Lo scorso 29 luglio, la Fao ha organizzato un evento online per presentare tale Piattaforma tecnica che fungerà da risorsa web dinamica di condivisione della conoscenza sulle politiche, le buone pratiche, la misurazione e la riduzione della perdita di cibo e degli sprechi alimentari, oltre a contenere e a diffondere modelli di successo a livello globale che coinvolgono tecnologie e approcci innovativi. Assieme ad iniziative, come la creazione dell’Indice sulla perdita di cibo (Fli) da parte della Fao e dell’Indice sullo spreco alimentare (Fwi) da parte del Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (Unep), anche la Piattaforma tecnica concorre ad attuare l’Obiettivo n. 12 dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite, per mezzo del quale la comunità internazionale mira a garantire modelli di consumo e produzione sostenibili per mezzo di iniziative tese a dimezzare lo spreco alimentare globale pro capite a livello di vendita al dettaglio e dei consumatori e a ridurre le perdite di cibo lungo le catene di produzione e di approvvigionamento, comprese le perdite post-raccolta. Ciò è ancora più importante nell’attuale contesto di pandemia, in cui il problema della fame e della povertà si sta acuendo, manifestando maggiore vulnerabilità e postulando sistemi alimentari più resilienti.

La Santa Sede ha sempre mostrato particolare attenzione a questa tematica, considerandola non solo come questione morale, ma anche come fenomeno dannoso per l’intero Pianeta, a causa delle emissioni di gas serra, dello spreco dell’acqua e dei terreni utilizzati per produrre questi alimenti, fattori che si ripercuotono soprattutto sulle popolazioni più povere, il cui lavoro e i cui mezzi di sostentamento vengono compromessi. Si comprende facilmente perché lo spreco di cibo nient’altro è dunque che spreco di vite umane nella consapevolezza che, nel mondo attuale, c’è cibo per tutti, ma, purtroppo, non tutti possono mangiare, mentre quotidianamente assistiamo ad uno spreco spropositato e al consumo eccessivo di alimenti per altri fini. È questo il paradosso dell’abbondanza”, dai rischi del quale san Giovanni Paolo II metteva in guardia: «Dovete sentire le grida di dolore di milioni di persone di fronte allo scandalo provocato dal “paradosso dell’abbondanza” che costituisce il principale ostacolo alla soluzione del problema della nutrizione dell’umanità. La produzione alimentare mondiale — lo sapete bene — è sufficientemente abbondante per soddisfare pienamente le necessità di una popolazione anche in aumento, a condizione che le risorse che possono consentire una nutrizione adeguata siano suddivise in funzione delle necessità reali» (Allocuzione ai partecipanti alla Conferenza internazionale sulla nutrizione, 5 dicembre 1992).

Anche Sua Santità Benedetto XVI, nel visitare la sede dell’Organizzazione il 16 novembre 2009, in occasione della 36ª sessione della Conferenza generale della Fao, aveva definito la fame come «il segno più crudele e concreto della povertà». Pertanto: «Non è possibile continuare ad accettare opulenza e spreco, quando il dramma della fame assume dimensioni sempre maggiori. Da parte della Chiesa cattolica ci sarà sempre attenzione verso gli sforzi per sconfiggere la fame; ci sarà l’impegno a sostenere, con la parola e con le opere, l’azione solidale — programmata, responsabile e regolata — che tutte le componenti della Comunità internazionale saranno chiamate ad intraprendere».

Papa Francesco, durante il suo pontificato, ha ripetutamente denunciato la cultura dello spreco che porta a scartare anche le persone e ha lanciato numerosi appelli, chiedendo di prendere sul serio l’impegno per eliminare questo flagello, per instaurare un’ecologia autentica, anche della persona. A tale proposito, appare significativo l’avvertimento del Successore di Pietro: «Lottare contro la piaga terribile della fame vuol dire anche combattere lo spreco. Lo spreco manifesta disinteresse per le cose e indifferenza per chi ne è privo. Lo spreco è l’espressione più cruda dello scarto. […] Scartare cibo significa scartare persone. E oggi è scandaloso non accorgersi di quanto il cibo sia un bene prezioso e di come tanto bene vada a finire male» (Discorso ai membri della Federazione europea dei Banchi alimentari, 18 maggio 2019). Sfortunatamente, non si è ancora riusciti ad adottare su vasta scala un modello di produttività circolare che assicuri a tutti le risorse necessarie limitando l’uso di risorse non rinnovabili. Soltanto l’attuazione dell’approccio ridurre, riutilizzare, riciclare, insieme alla diffusione di uno stile di vita etico e responsabile, permetterebbe di raggiungere il fine di un autentico sviluppo umano, sostenibile e integrale. Perciò, «un’economia circolare non è più rimandabile. Lo spreco non può essere l’ultima parola lasciata in eredità dai pochi benestanti, mentre la gran parte dell’umanità rimane zitta» (Ibidem). Infine, appare estremamente importante evidenziare come la lotta contro la fame non avrà fine finché, nel prevalere della logica del profitto, il cibo verrà ridotto esclusivamente a prodotto di commercio. La prima preoccupazione quindi deve continuare a rimanere la persona umana, soprattutto quanti sono privi del cibo quotidiano, senza mai dimenticare che «ciò che accumuliamo e sprechiamo è il pane dei poveri» (Messaggio del Santo Padre Francesco per la Giornata mondiale dell’alimentazione 2019, 16 ottobre 2019).

di Fernando Chica Arellano
Osservatore permanente della Santa Sede presso la Fao

osservatore romano