Sport. Calcio e migranti, un gol per Jannacci

“El me indiriss Ortles69” la squadra dei senza dimora della Casa di accoglienza milanese, prima a essere iscritta al torneo Csi. Presidente e vice sono donne: «Noi in campo per l’inclusione concreta»

La formazione di “El me indiriss Ortles69», la squadra dei senza dimora della Casa di accoglienza milanese

La formazione di “El me indiriss Ortles69», la squadra dei senza dimora della Casa di accoglienza milanese

Dialogo surreale ma non troppo, specie di questi tempi di follia collettiva, dilagante. Se Enzo Jannacci fosse ancora qui tra noi, in via Ortles, al civico 69, direbbe al suo amico fraterno BeppeViola, gran cantore del pallone: «Si potrebbe andare tutti a vedere la partita…». E il Beppe domanderebbe stupito: «Chi gioca?» «Ma come chi gioca… “El me indiriss Ortles 69” no!», la risposta quasi scontata dell’Enzo. Il titolo di una sua canzone, El me indiriss, ora è anche la squadra di calcio del centro di accoglienza Enzo Jannacci. Via Ortles 69, cuore di una Milano che pulsa, costruisce e produce ossessivamente, ma che conserva ancora il suo bello spirito d’accoglienza.

Nella struttura diretta da Massimo Gottardi si accolgono fino a 457 senzatetto. Tanti sono i letti e con l’emergenza freddo, specie in questo inverno che pare interminabile, se ne aggiungono anche di più. La casa di via Ortles è dotata di tutti i servizi necessari per ospitare quel popolo di uomini in fuga dagli orrori della guerra e dai morsi altrettanto assassini della fame. Un letto, una doccia, un pasto caldo, un medico, un assistente sociale, un educatore con cui parlare ed essere capiti, qui si trovano a tutte le ore. E adesso c’è anche il pallone e gli allenamenti con il mister, Rocco. Non quel Rocco (Nereo) il “Paròn” che tanto piaceva a Jannacci (che amava alla follia «quel Rivera lì» anche quando non gli segnava più) ma Rocco Romano, 55enne di Nicotera, segretario amministrativo del Centro Jannacci e allenatore. «Sono un calabrese, come Rino Gattuso, salito a Milano quando avevo 33 anni: perciò so che significa lasciare casa, abbandonare tutto… come questi miei ragazzi della “El me indiriss Ortles69”.

Il mister, ex «centrocampista metodista» con trascorsi da dilettante, ne ha selezionati diciotto, di ragazzi. E dopo Pasqua la squadra parteciperà a un campionato Csi di calcio a 7. «È la prima volta che ai campionati Csi si iscrive una formazione interamente formata da ragazzi senza dimora e ne siamo orgogliosissimi, perché l’obiettivo è far giocare tutti, specie coloro che arrivano dalle periferie del mondo e hanno bisogno del nostro aiuto», dice il presidente del Csi Milano Massimo Achini. E per arrivare preparati al debutto i ragazzi ogni lunedì sera si allenano al campo della Fortes in Fide, nel vicino Centro di ascolto Caritas parrocchiale San Luigi Ognissanti. «All’inizio è stata dura – racconta mister Rocco –. Al primo allenamento, a novembre, tutti che correvano come matti dietro al pallone senza uno straccio di senso tattico. Adesso, con tanta applicazione e altrettanta buona volontà, stanno crescendo. La cosa bella è lo spirito di gruppo che siamo riusciti a creare».

Un gruppo «fatto da anime buone», unito, nonostante le tante differenze culturali e le provenienze più disparate. Una squadra che per sedici diciottesimi è formata da calciatori di colore. «Gli “stranieri”, i “bianchi” siamo in tre: io e i due afghani Asif e Waid», dice divertito mister Rocco, sposato a una donna della Costa d’Avorio, terra da dove provengono diversi elementi della squadra che annovera anche etiopi, eritrei, marocchini, senegalesi e togolesi. «Samson è del Gambia, suo fratello ha allenato alla Pro Vercelli. Anche lui aveva fatto un provino ma non è andata bene e così per anni ha vagato in lungo e largo, fino ad arrivare alla casa di via Ortles ». Storia comune a quasi tutti gli ospiti del Centro d’accoglienza, in cui si può sostare al massimo fino ad un anno, salvo progetti speciali. E questo della squadra di calcio è un progetto assolutamente speciale.

A cominciare dalla dirigenza. Due donne al vertice: la “presidentessa”, l’educatrice Sandra Di Quinzio e la vicepresidente, l’assistente sociale Loredana Colombo. «La squadra è un progetto di inclusione concreta e il riconoscimento di due donne come massimi dirigenti da parte di ragazzi provenienti da paesi in cui alle donne non vengono ancora garantiti gli stessi diritti degli uomini è un messaggio molto importante, uno dei tanti che vogliamo lanciare», spiega la “presidentessa” che è pronta ad assistere dagli spalti alla prima partita di Susso e compagni. «Susso è il capitano, 25enne, laterale del Mali – sottolinea mister Rocco –. Se lo vede Gattuso è facile che se lo porta a Milanello… – sorride – C’ha una “lecca” (tradotto: un tiro potente) da fuori area che fa paura. E poi, come un po’ tutti i suoi compagni, possiede quattro polmoni e una resistenza fisica incredibile: questi ragazzi, dopo 90 minuti giocati su un campo fangoso, al limite della praticabilità, al mattino dopo sono già freschi e riposati per ricominciare daccapo… Mi creda, i ragazzi italiani non sono così». I nostri ragazzi del torneo Csi presto impareranno a conoscere le doti da «gatto» di Issa. «È arrivato dal centro di accoglienza di via Padova presentandosi come difensore, ma poi giocando abbiamo scoperto che Issa è un portiere nato. Un Ricky Albertosi per intenderci». Si esalta mister Rocco, anche quando parla del cucciolo nigeriano, Soly, il più giovane della squadra con i suoi 18 anni e «una corsa da far paura» o di Adam «del Mali anche lui. Dall’alto dei suoi 2 metri e 2 centimetri è il “gigante buono”, il nostro Materazzi».

Una rosa completa, dove il trait-d’union è lo spirito solidale, la voglia di giocare e di «essere felici, ma insieme», anche per cancellare quella che mister Rocco chiama «la reclusione… Ad accomunarli sono anche le tante sofferenze patite, specie in Libia. Spesso quando si confidano sono racconti che scorticano dentro. Abbiamo pianto a volte, ripercorrendo l’odissea personale che li ha portati fin qui». Ma adesso, ogni singolo elemento della “El me indiriss Ortles69” – compreso l’egiziano Emad, il magazziniere – vuole ridere, divertirsi e divertire. Vuole essere una squadra scanzonata, come il suo nume tutelare Jannacci che, con il fraterno Giorgio Gaber, veniva spesso a fare visita agli ospiti della casa. I ragazzi di mister Rocco vogliono sentirsi parte integrante del Paese in cui si stanno giocando la loro seconda possibilità. «Sognano di rimanere in Italia. Di fare una vita normale con un lavoro, una famiglia… – interviene il direttore Gottardi –. Il calcio per loro è già un passo in avanti verso la normalità. Sanno che non sarà facile, che la sfida è lunga e difficile. Ma il campo insegna a lottare e a far fronte anche a chi gioca sporco, a chi non ha rispetto per il colore della pelle. L’importante è non cadere nelle provocazioni. Crescere ogni giorno imparando un mestiere – con le Borse lavoro – e la nostra lingua per diventare dei cittadini a pieno diritto di Milano e dell’Italia».

Le maglie di “El me indiriss Ortles69” sono biancorossse, come i colori della città di Milano: «Le hanno donate una squadra di ragazzi del Csi – dice mister Rocco – Chiunque voglia darci una mano può farlo “adottando” la squadra (contattare indirizzo mail pss.festacasajannacci@ comune.milano.it). Per esempio servono scarpini da calcio, anzi “scarponi”, c’è chi ha il 45 di piede». Intanto si va avanti con quello che c’è. Tutti in posa, con Jannacci e il Beppe che scattano la fotografia a sta « banda de ses fiö ». Anzi no, corregga con la biro, sono diciotto fiö, quelli che… “El me indiriss Ortles69”.

da Avvenire