Siria pace possibile

«La pressione va concentrata su due fronti: coinvolgere il regime nell’apertura di corridoi umanitari e, con l’avvio del negoziato, ottenere cessate il fuoco che possano attenuare la tragedia in corso». E chiaro il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni sul fatto che la crisi siriana, l’assedio delle città, il dramma della popolazione che non riceve aiuti e muore di fame, siano problemi davanti ai quali la comunità internazionale non può fuggire.

«In queste settimane – dice riferendosi all’attività dell’Italia – abbiamo partecipato alle operazioni quando si sono create le condizioni per aprire corridoi umanitari. È successo in questo inizio d’anno in un paio di occasioni e noi siamo stati tra i Paesi più presenti. Anche se purtroppo, va detto, negli ultimi mesi la disponibilità del regime siriano ad aprire vie d’entrata si è rivelata piuttosto limitata. A Madaya, però, si è riusciti ad arrivare anche grazie alla mediazione della Russia. Il dramma umanitario è però lì, davanti agli occhi di tutti: non solo le vittime e il dramma degli sfollati. Sei anni fa quasi 3 milioni di ragazzi andavano a scuola, oggi c’è una generazione perduta. Quindi il primo imperativo è far crescere l’aiuto umanitario».

Riguardo all’alleggerimento delle sanzioni internazionali aggiunge: «In Siria si muore per la guerra. Le sanzioni possono essere discutibili e noi italiani siamo sempre stati prudenti nel considerarle risolutive. Ma qui stiamo parlando, purtroppo, di una delle guerre più feroci e che infuria da cinque anni, che ha prodotto oltre 100mila morti e milioni di rifugiati. Attenzione quindi a non spostare il bersaglio da chi le responsabilità di questa situazione le ha il regime di Bashar al-Assad, Daesh, al-Nusra, i terroristi». Sul negoziato rinviato a Ginevra di qualche giorno è però fiducioso. Anzi è convinto che «se parte il tavolo del negoziato a Ginevra l’obiettivo di porre fine alla guerra entro quest’anno diventa realistico».

Per quanto riguarda la crisi libica ribadisce invece l’appoggio al nuovo governo libico e la necessità dell’approvazione dell’esecutivo Sarraj da parte dei Parlamento. In caso di fallimento l’Italia però non tollererà un Paese in mano alla criminalità e al terrorismo. Non è concepibile, conclude, «una Somalia a due-trecento chilometri da casa allora l’Italia ha il diritto e il dovere di difendersi e valutare come farlo. Ma non è oggi nella nostra agenda: la comunità internazionale oggi è impegnata per la stabilizzazione del Paese».

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