Silenzio e parola, quale confronto?

Da oggi a sabato all’Augustinianum antichisti e teologi di varia provenienza si confrontano su un tema rilevante già ai tempi della Patristica

DI VITTORINO GROSSI  – AVVENIRE

Incontro di studiosi del­l’Antichità cristiana dedica, nel­la sede dell’Augustinianum, una tre giorni di studio interdisciplina­re (da oggi a sabato 8 maggio) al te­ma del rapporto tra «Silenzio e Pa­rola » nella patristica. Il tema, tipi­camente moderno, trovò spazio nell’evo patristico sia all’interno del cristianesimo sia nel contesto cul­turale della tardantichità. In ambito moderno il lin­guista svizzero Ferdinand De Saussure, nel suo Corso di linguistica generale, in­trodusse la distinzione tra lingua e parola, dando alla lingua il campo del sociale e alla parola l’ambito indi­viduale. Il regista Carl Th. Dreyer, un decennio dopo la seconda guerra mondia­le (nel 1955), portò sullo schermo il film La parola ( Ordet in danese, rielabora­zione dell’omonimo dram­ma di Kay Munk), facendo riemergere la parola come creatività rispetto alle paro- le di consumo: «Dammi la parola… la parola che risuscita i morti», gri­da a Cristo il folle Johannes, chie­dendogli di risuscitare Inger mor­ta il giorno prima del parto. E lei, chiudendo la scena del film, si ri­svegliò. Quanto al ‘silenzio’, le fi­losofie d’intonazione positivista hanno voluto confinarlo nel cam­po dell’irrazionale, opponendo mi­to e logos, esperienza religiosa vi­sionaria e logica razionale e scien­tifica. La ‘parola’ nella religione ebraico­cristiana è legata alla rivelazione di Dio nella parola e nella parola in­carnata (Gesù Cristo). Tale conna­turalità produsse nel cristianesimo antico testi letterari di ogni tipo: sermoni per la predicazione, com­menti esegetici, opere teologiche, testi per le riunioni liturgiche. Il ‘si­lenzio’ dal canto suo è connatura­le alla ‘parola’ cristiana perché questa ha coscienza di non essere in grado di dire più di tanto di Dio e del Verbo incarnato. La parola cri­stiana, circoscritta e finita, indica perciò il proprio limite proprio col silenzio (chiamato dai greci apofa­tismo, vale a dire stare davanti a Dio senza parola). Gli autori cristiani del periodo patristico si servirono pertanto del rapporto ‘parola- si­lenzio’ come chiave di lettura del­la loro religione facendone una funzione irrinunciabile: dal narra­re il silenzio primordiale di Dio da cui scaturì la parola, cioè il Logos, attraverso il quale Dio, ‘dicendo’, chiamò all’essere il cosmo; alla pa­rola rivolta ai patriarchi di Israele e a Mosè sul monte Sinai; alla Paro­la che, uscita dal seno del Padre, si è fatta carne (il Verbo incarnato); alla parola della rivelazione divina consegnata alla Chiesa, ovvero al­le prime comunità cristiane che, nel predicarla e nello sforzo di ca­pirla, la fecero letteralmente e­splodere in un fenomeno letterario divenuto popolare e a noi rimasto come ‘testimonianze patristiche’. Gli interventi al convegno di cri­stianistica quest’anno non saran­no pochi, tra i quali quelli di Salva­tore Lilla (Biblioteca Vaticana) su ‘Il silenzio nella filosofia greca’; Jean-Noel Guinot (Lyon) su ‘Dai si­lenzi delle sacre Scritture al silen­zio dell’esegeta’; Thomas Grau­mann (Cambridge) su ‘Il silenzio negli Atti dei concili della Chiesa antica’; Renate Pillinger ( Wien) su ‘Parola e silenzio nell’arte paleo­cristiana’; Grazia Crepaldi (Pado­va) su ‘Il silenzio dell’intelletto’.