Sessanta modi per dire Natale

«A ndarono, senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia. E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro. Tutti quelli che udivano si stupivano delle cose dette loro dai pastori» (Luca 2, 16-18). Fin dai primi secoli dell’era cristiana, in prossimità della festa di Natale scrittori di ogni estrazione etnica e culturale, poeti e narratori, mossi dalla fede o dal dubbio, non hanno mai cessato di mescolarsi idealmente alla processione dei pastori per raggiungere la grotta della Natività, contemplare il Frutto della divina Incarnazione e tornare a “riferire”, in versi o in pagine di prosa, le loro emozioni, suggestioni, riflessioni. Per poi condividerle, grazie al proprio talento letterario, con platee più o meno vaste di lettori, suscitando uno “stupore” simile a quello di coloro «che udivano le cose dette dai pastori». Il lungo pellegrinaggio di scrittori-pastori diretti alla Betlemme dei Vangeli di Matteo e Luca non si è interrotto neppure nel Novecento delle guerre mondiali, dei genocidi e della secolarizzazione, neppure in questo primo scorcio del Terzo Millennio inaugurato da una galoppante globalizzazione messa attualmente in crisi dal covid-19.

Del fascino irresistibile sprigionato dall’evento della nascita di Cristo, capace di fecondare menti e cuori di tanti intellettuali, danno testimonianza varie e variegate iniziative editoriali. Per limitarci al solo panorama nazionale, esiste addirittura, presso la casa editrice novarese Interlinea, un’intera collana, Nativitas, dedicata al Natale «tra letteratura, arte e spiritualità», che annovera un centinaio di titoli contrassegnati da firme prestigiose, culminanti con quella di Jorge Mario Bergoglio. L’editrice cattolica Àncora non manca mai all’appuntamento augurale con i suoi autori e collaboratori omaggiandoli con plaquettes di brani in poesia o in prosa dall’intensa fragranza natalizia. Tra il 1999 e il 2004 le Edizioni San Paolo pubblicarono sei consecutive strenne di narrativa breve, da Concerto di Natale a Misteri di Natale, con il contributo di decine tra i maggiori scrittori italiani. Infine, si parva licet componere magnis, anche chi scrive ha calcato le orme dei pastori evangelici, raccogliendo un nucleo di poemetti d’ispirazione natalizia in Sarai raggiante (Ladolfi, 2013). E via “nataleggiando”, come direbbe un geniale scrittore milanese, Luigi Santucci (1918-1999), talmente innamorato del Natale in ogni sua dimensione, più sacra che profana, da professarsi «natalizio e presepiaro per favore del Cielo».

In questa già copiosa corrente di autori credenti, oranti, o anche solo iscritti alla categoria — cara al cardinal Martini — dei pensanti dinanzi al Mistero del Dio incarnato, viene ora a inalvearsi una pregevole antologia curata dal giornalista, narratore e saggista Alessandro Zaccuri: Parole nella notte. Poesie per l’attesa, la festa, la nascita (Cinisello Balsamo, San Paolo, 2020, pagine 288, euro 18). Principale connotato distintivo è la divaricazione del compasso cronologico: la sua punta iniziale si spinge fino a toccare l’estremo del primo secolo avanti Cristo, accogliendo la quarta Bucolica di Virgilio, dal Medioevo e da Dante stesso interpretata come profezia della nascita di un divino puer-Messia; al polo opposto, la punta protesa verso la contemporaneità oltrepassa la soglia del ventunesimo secolo, senza però — forse per un distacco imparziale rispetto a lavori ancora bisognosi di decantazione critica — offrire ospitalità ad alcun poeta vivente.

La ricerca e la scelta di Zaccuri sembrano ispirate a un criterio “democratico”. Nel senso che sul palcoscenico degli “eletti” sfilano a pari dignità sia immortali giganti della Weltliteratur (Melville, Rimbaud, Pessoa, Dickinson, Borges, Chesterton, il Manzoni del Natale del 1833, persino Joyce), sia figure di sublime santità (Teresa d’Avila e Teresa di Lisieux in compagnia di Elisabetta della Trinità), sia esponenti della recente poesia nostrana (da Betocchi a Raboni, da Caproni a Luzi, da Turoldo a Bertolucci, da Maria Luisa Spaziani a Testori). Né mancano sorprendenti rivelazioni (Valsecchi, Benedetti, Bobrowski) e preziosi recuperi, tra Occidente medievale (Alfano di Salerno, Anonimo irlandese, Maestro di Wakefield) e Oriente ortodosso (l’Inno Acatisto, l’Anonimo bizantino del “megalinario”, Romano il Melode con il suo “contacio”). Non si tratta, tuttavia, di un mero accumulo per progressione diacronica. I sessanta testi prescelti, che Zaccuri inquadra mediante calibrati “cappelli” introduttivi, si dispongono — secondo un libero ma non arbitrario moto di flusso e riflusso nel tempo — lungo le tre direttrici concettuali enunciate nel sottotitolo: attesa, festa, nascita. Entro ciascuna di queste tre sezioni i brani poetici figurano giustapposti in base ad affinità identitarie o tematiche, ora esplicite ora allusive.

Tra i molteplici leitmotiv pre-natalizi e natalizi risaltano: l’Annunciazione, incentrata da Margherita Guidacci sulla «giovinetta chiusa nell’ascolto» che, «con ignota dolcezza e ignota pena», «sente stormire in sé i giorni futuri»; il presepio, che Elio Fiore rappresenta modellato «con pochi scarti di lamiere forate»; il dischiudersi del gelido cielo invernale sulla Notte Santa, in cui Diego Valeri coglie «un respiro immenso di porte / che s’aprono mute lassù» e un tripudio «d’ali che calano giù»; i favolosi echi di campane evocati da Hugo von Hofmannsthal e Alfonso Gatto; e ancora, immancabili, l’Epifania (Mario Luzi) e il viaggio dei Magi (André Frénaud).

All’interno di una simile policromia di spunti e prospettive, di sensibilità e stili, è possibile individuare una nota dominante, trasversale, caratterizzante? A segnalare la presenza di un minimo comun denominatore è lo stesso Zaccuri: la bellezza di ogni Natale — argomenta il curatore del florilegio — consiste nell’imprevedibile alternanza, e talora coesistenza, di un cammino segnato dal pianto e di una «corsa entusiastica, a perdifiato». Al cospetto del Bambino Gesù i poeti si scoprono e ci sorprendono «pazienti nella prova, impazienti nella felicità». Sofferenza e gioia fuori da ogni retorica, nel solco dell’umiltà. Mai come quest’anno ci sentiamo lontani da certo trionfalismo artistico, folclorico e musicale, da certa enfasi popolare d’antan.

Ecco perché queste Parole nella notte risuonano come le più intonate al clima purtroppo pandemico del Natale 2020: un Natale spiritualmente integro ma socialmente ferito, da vivere con maggiore interiorità individuale e maggiore intimità collettiva. «Con ignota dolcezza e ignota pena». Ma anche con indomita speranza.

di Marco Beck / Osservatore