Serve una rivoluzione epistemica ed educativa

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Sociologi, economisti e politologi a confronto in un webinar dell’Università Cattolica del Sacro Cuore

31 ottobre 2020

Una reale transizione ecologica non è possibile se non si arriva a un’intesa con i poteri istituzionali da una parte e con il popolo dall’altra. Perché fino ad oggi di ecologia hanno parlato soprattutto le élites, mentre ci sono diverse categorie del mondo produttivo che rischiano di essere tagliate fuori dalla rivoluzione “green”. Roberto Zoboli, docente di politica economica all’Università cattolica del Sacro Cuore di Milano, non fa sconti quando parla di ambiente. Intervenendo al webinar promosso dall’ateneo e dedicato al tema scelto per le 49me Settimane Sociali che si terranno a Taranto dal 21 al 24 ottobre 2021, (“Il pianeta che speriamo. Ambiente, lavoro, futuro. #tuttoèconnesso”), l’economista tuttavia parte da una considerazione di fondo condivisa da molti: per cambiare la realtà occorre una rivoluzione culturale. E quindi epistemica. Insomma, il compito degli scienziati, in questa fase, è di fornire strumenti per trasformare le buone intenzioni in processi. Serve «per combattere l’individualismo — ha spiegato il rettore della Cattolica Franco Anelli, aprendo l’incontro —. È necessario un nuovo approccio alla conoscenza, uno dei compiti ai quali le università non possono sottrarsi. L’eco della Laudato si’ e degli stimoli che essa esprime non si è spenta. L’enciclica ci ha insegnato un approccio integrale ai temi di carattere ambientale». Anche la Fratelli tutti — ha spiegato Claudio Giuliodori, assistente ecclesiastico generale della Cattolica —è «in continuità con questi temi, inseriti in uno scenario più ampio. E con il patto educativo: il Papa ha messo in evidenza come tutte queste tematiche possono essere affrontate solo sotto l’aspetto dell’educazione». Anche per l’arcivescovo di Taranto, Filippo Santoro, presidente del comitato Settimane Sociali, è necessaria una rivoluzione culturale. «Ciò che viviamo è sempre il problema del rapporto tra la difesa della salute e dell’ambiente da una parte e la difesa dell’economia e del lavoro dall’altra. Quello che era un problema, per esempio, tarantino, ora in questo momento di pandemia, è diventato un problema italiano. E internazionale. In questa situazione siamo tutti invitati a un passaggio dall’individuo alla comunità. Il grande problema però è come avviene, questo passaggio. È necessario lo sforzo di tutte le istituzioni. Papa Francesco lo dice nell’enciclica Fratelli tutti. La parabola del buon samaritano indica i parametri di riferimento: la persona è persona quando si prende cura delle ferite del prossimo. E se si prende cura, come dice la Laudato si’, delle ferite del creato. Come può avvenire questa conversione? Nell’Instrumentum Laboris delle Settimane sociali il punto di riferimento è la visione contemplativa di Francesco. Perché per avere una dimensione universale occorre qualcosa di più grande, che permetta la soluzione di tutti gli aspetti conflittuali. L’altro tema è quello della gratuità, è lo stesso sguardo contemplativo che presenta la realtà come dono. La rivoluzione culturale deve mettere al centro delle relazioni la gratuità. Al fondo c’è la questione del bene comune che diventa bene comune globale. Infine, la conversione epistemica: se tutto è connesso, bisogna mettere insieme saperi integrati».

Insomma, dopo l’invenzione del cannocchiale e del microscopio, ha suggerito il sociologo Mauro Magatti, segretario del Comitato scientifico e organizzatore delle Settimane Sociali, «dobbiamo inventare un “macroscopio”, uno strumento che ci consenta di guardare alle cose del mondo attraverso una visione più ampia, che è propria dello sguardo cattolico. «La Laudato si’ — ha osservato Magatti — ha lo stesso significato per la nostra epoca di quello che la Rerum Novarum, alla fine dell’800, ha avuto per la questione sociale e del lavoro. L’enciclica ci parla di un mondo che ancora deve arrivare, a cui la radice cattolica, universitaria, ecclesiale è chiamata dare il proprio contributo. Così come allora, non si tratta di mettere delle “pezze”. Siamo interpellati nelle università dalla necessità di una rivoluzione epistemica. Transizione ecologica significa avviare processi concreti di cambiamento, anche sfidando, dove necessario, i poteri costituiti. I ceti più svantaggiati sembrano i meno interessati alla questione ecologica, mentre la transizione deve essere di popolo, di tutti». Tanto più che oggi, ha osservato Guido Merzoni, preside della facoltà di Scienze politiche e sociali, «non si tratta di limitare, come in passato, il potere dei monopoli che cercano di imporre i prezzi. Oggi i monopoli impongono i valori. Per affrontare questa sfida bisogna trovare un linguaggio che usi parole nuove: la scienza sociale contemporanea non sembra avere gli strumenti adatti».

Una lettura che chiarisce il senso dei punti critici individuati da Zoboli: «Nell’Instrumentum laboris si afferma che bisogna chiedersi chi vogliamo essere e dove vogliamo andare e si punta sui processi che partono dal basso, mentre mi sembra invece meno marcato l’aspetto dell’interlocuzione con la politica. Bisogna considerare che di economia circolare, per esempio, si è cominciato a parlare già a metà del 1970 e in generale i processi politico-istituzionali sono stati a lungo guidati dalle élites, che si sono spesso scontrate con il mondo produttivo. Il momento attuale ci mostra un consenso diffuso nella popolazione, se si fa eccezione di alcuni paesi dove l’opinione pubblica è chiaramente condizionata. Ma avremo una scarsa efficacia in termini di transizione ecologica senza l’appoggio delle istituzioni. L’interazione è fondamentale. In questo dialogo bisogna tenere conto di diversi rischi. Il primo è quello legato alla selettività dei processi e alla distribuzione di costi e benefici. Qualcuno rischia di perdere le sue posizioni di partenza. Molte piccole e medie imprese rischiano di rimanere fuori, con tutte le conseguenze immaginabili sulle loro comunità di riferimento. Il tema è quello della riconversione, ecologica, del mondo produttivo. Lo European Green Deal prevede forme di sostegno. Ma è troppo poco. Inoltre: come facciamo a partecipare ai benefici, per dire, dell’economia circolare? È il compito delle politiche ma anche nostro, come scienziati sociali. Poi ci sono i rischi legati al conformismo e alla verità dell’informazione. C’è una grande confusione comunicativa, e c’è il rischio di delusione, a volte alimentata anche dalla scienza. E, ancora, il tema delle nuove generazioni. L’Instrumentum laboris fa ampio riferimento ai giovani. Noi forse stiamo andando verso l’identificazione di “nativi green”, dopo quella dei “nativi digitali”. Ma il problema è che le nostre popolazioni sono anziane. E se non nascono bambini, come facciamo a dare equilibrio alla sostenibilità della nostra economia? Infine, noi, al momento, stiamo trasferendo su altri il nostro impatto ambientale, per effetto della divisione del lavoro. Bisogna guardare anche verso la cooperazione allo sviluppo. Dobbiamo stare attenti a non fare conversione ecologica solo in casa nostra ma a livello internazionale, globale. Come dice la Laudato si’».

Tensioni. Criticità. Conflitti che secondo Simona Beretta, docente di politiche economiche internazionali alla Cattolica, possono essere ricondotti in un orizzonte unitario a patto che si torni a interrogarsi come esseri umani, «in questo mondo che è una casa comune. Che è un dono. E chi nella vita ha ricevuto in dono una casa sa quale ne è l’importanza. La casa non solo è un luogo ma è fatta di relazioni ed ha una dimensione simbolica: mi dà il senso di chi sono. La Fratelli tutti riprende in maniera esplicita ed estesa il principio della destinazione universale dei beni, che è un gioiello antico con un suo splendore nel presente. Insomma, citando la Laudato si’, “Abbiamo troppi mezzi per scarsi e rachitici fini”. Bisogna pensare in grande. Per dirla con Dostoijevsky, “alla bellezza che “salva il mondo. Alla bellezza in tempore pestis. (ma.be.)