Senza diritti. Salvati 1.172 nuovi schiavi. Italia, record di sfruttatori

Tra le poche graduatorie europee nelle quali l’Italia svetta vi è quella delle nuove schiavitù: prostituzione, caporalato, sfruttamento nei lavori domestici e nella logistica. Donne, uomini, centinaia di bambini. L’ultimo “Global slavery index“, stima 129 mila “nuovi schiavi” nella Penisola, al 49esimo posto mondiale, ma primi nel Vecchio Continente, nella classifica dell’Indice globale della schiavitù. Seguono Germania (al 117esimo posto con 14.500 persone), Francia (124esima con 12.000 schiavi), Gran Bretagna (127esima con 11.700) e Spagna (al 134esimo con 8.400).
Secondo i riscontri del Dipartimento per le Pari Opportunità, nell’intero 2016 le vittime di tratta inserite nei circuiti di protezione sono state complessivamente 1.172, di cui 107 uomini, 954 donne e 111 minori. Casi, dunque, emersi grazie alle denunce e alle indagini. Ma si tratta della punta dell’iceberg. Tra i minorenni, le ragazze sono la netta maggioranza: circa l’84% dei casi (93 femmine e 18 maschi). Il 50% è vittima di sfruttamento sessuale, l’1% ha subito matrimoni forzati, il 3,6% era stato costretto all’accattonaggio, il 5% veniva schiavizzato sul lavoro, peraltro illegale vista l’età e il 10% veniva impiegato nelle “economie illegali”, come lo spaccio di stupefacenti.
«Nel nostro paese – ha affermato Raffaella Maioni, responsabile nazionale Acli Colf, commentando gli ultimi dati – già dal 1974 ci sono delle forme di garanzia previste dal contratto collettivo nazionale di lavoro domestico. Di fatto però il lavoro domestico risulta ancora poco tutelato, e in particolare i sostegni alle famiglie che assistono i propri anziani in casa, sono troppo deboli». Quello che le organizzazioni sul territorio stanno registrando «un aumento del lavoro nero e forti differenziazioni territoriali tra Sud e Nord Italia in merito alle retribuzioni. Sicuramente – osservano dalle Acli – solitudine e fragilità sono il male peggiore di questo rapporto di lavoro».
Se la prostituzione e il traffico di droga sono caso a sé, poiché ritenuti un comparto che non influenza direttamente il sistema di economia legale, è nelle campagne chi si registrano quelli che non possono più essere annoverati tra gli episodi. Meno di due settimane fa sono stati condannati a pene da 3 a 11 anni di reclusione, 12 persone ritenute responsabili di associazione a delinquere e riduzione in schiavitù di migranti impegnati nella raccolta di angurie nelle campagne di Nardò. I caporali e le loro vittime erano tutti stranieri, ma per anni gli schiavi avevano sgobbato nell’interesse di proprietari agricoli italiani. Come italiani sono gli sfruttatori nelle serre del ragusano, laddove proprio la presenza di coltivazioni all’interno dei grandi hangar ricoperti di teloni di plastica, rende ancora più impenetrabile la cortina di silenzi e complicità. E non di rado gli inquirenti hanno scoperto che le schiave, pagate poco più di 10 euro al giorno, dall’alba devono prendersi cura degli ortaggi, e di notte vengono abusate dai “padroni”.
La necessità di sfamare i propri cari non fa differenza tra italiani e stranieri. Lo sanno bene in Puglia dove sono stati i diari delle braccianti a svelare che il loro schiavista aveva arruolato circa 600 lavoratrici pugliesi. Quel che è peggio è che si trattava di un’agenzia di lavoro interinale di Noicattaro, alle porte di Bari. La stessa agenzia che aveva reclutato la 49enne tarantina Paola Clemente, stroncata da un infarto mentre lavorava all’acinellatura dell’uva sotto un telone nelle campagne di Andria. Era il 13 luglio del 2015.
In questa orribile gara tra cerberi, spesso sono gli stessi immigrati a sottomettere i propri conterranei, replicando i metodi dei paesi d’origine. È il caso di una coppia originaria del Bangladesh che dopo anni di fatiche era riuscita ad acquistare alcuni terreni nel veneziano, diventando imprenditori agricoli. Il 7 maggio sono stati arrestati dai carabinieri per riduzione in schiavitù di loro connazionali costretti a lavorare per oltre 12 ore al giorno nei campi, sette giorni su sette senza mai un giorno di pausa e senza alcuna retribuzione. Trattandosi di irregolari, gli schiavi venivano minacciati di essere rimpatriati, così in cambio di un giaciglio e un pasto, venivano costretti a sottostare.
Ma la schiavitù ha molti volti. Nel caso della criminalità organizzata, la sottomissione di un essere umano ha un valore simbolico. Un supplizio che deve essere esemplare. Poche settimane fa i carabinieri del Ros hanno sequestrato beni per un valore di due milioni di euro ad un presunto affiliato alla ’ndrangheta che per punire una testimone di giustizia l’aveva platealmente resa sua schiava.

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