Sean, Gigi, Pier Paolo e il poliedro

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Lettere dal direttore

02 novembre 2020

Quarantacinque anni fa sul lido di Ostia moriva brutalmente assassinato Pier Paolo Pasolini. L’altro ieri è morto nel sonno a 90 anni Sean Connery e oggi, nel giorno del suo 80° compleanno, anche Gigi Proietti ha lasciato la scena di questo mondo. Tre personalità note al grande pubblico, molto diverse tra loro che probabilmente non si sono mai incontrate di persona ma che rivelano un aspetto in comune, se le si osserva più da vicino. E questo aspetto è quello dell’identità, identità culturale, popolare, etnica, che poi è il grande tema sociale e politico degli ultimi trent’anni, il macigno posto nel “salotto” dell’attuale scenario mondiale.

Gigi Proietti, ovvero Roma. La sua romanità era la sua cifra artistica, la sua forza e in fondo il suo limite. Sean Connery, ovvero la Scozia. Sin da giovane si era fatto tatuare sul braccio la frase Scotland forever, e con il suo marcato accento non ha mai smesso di difendere anche a livello politico la “causa scozzese”. Pasolini è stato lo strenuo difensore delle identità culturali che lui avvertiva, profeticamente, sotto attacco a causa dell’esplosione della società dei consumi.

Il mondo rurale, contadino che dall’antica Grecia (da lui raccontato in alcuni film come Medea, Edipo Re) era sopravvissuto per millenni fino agli anni ’50, ora rischiava di essere spazzato dall’avvento del boom economico e da quello che quarant’anni dopo Papa Francesco avrebbe definito come la “globalizzazione dell’indifferenza”. Nel momento in cui il mondo globalizzato appare come una “sfera”, sempre per usare una terminologia bergogliana, cioè come qualcosa che non porta all’unità ma all’uniformità, all’appiattimento e all’omologazione, ecco che nascono inevitabilmente le reazioni che rischiano facilmente di degenerare nell’eccesso opposto: il localismo, il particolarismo, l’identità trasformata in ideologia e usata come un randello, il populismo e infine il sovranismo. Da qui la predicazione del Papa che propone invece la figura del “poliedro”, capace di tenere insieme e in armonia l’esigenza dell’unità con il rispetto della diversità e la valorizzazione della peculiarità di ogni soggetto. È questo equilibrio, sottile e sempre da rinegoziare, che costituisce un popolo e impedisce ad una sana politica popolare di degradare a populismo.

Questa è stata la forza, scomoda e scandalosa, di Pasolini, poeta visionario ad un tempo profetico e popolare, così come sono stati popolari i due grandi attori scomparsi nelle ultime ore; con il loro fare sornione e il sorriso accattivante, entrambi piacevano al grande pubblico perché avevano una consistenza, uno spessore, in una parola una storia, delle radici forti dalle quali provenivano e grazie alle quali potevano parlare a tutti i popoli, perché questa è l’arte, il punto di congiunzione tra il particolare e l’universale.

A.M.

da Osservatore Romano (Lettere al Direttore)