Scuola, fuga dal sostegno. Il Nord senza insegnanti

anca un mese e mezzo all’inizio delle prove, ma già si sa che anche il settimo ciclo del Tfa per il sostegno non porterà in cattedra tutti gli insegnanti abilitati di cui le scuole, soprattutto quelle del Nord, avrebbero bisogno. Basta leggere i numeri dei posti messi a disposizione dalle università, deputate alla formazione di questa categoria di docenti, per rendersi conto che, anche il prossimo anno scolastico, migliaia di alunni disabili si troveranno un insegnante di sostegno precario e, nella maggioranza dei casi, pure non abilitato a svolgere questa delicatissima e decisiva funzione per una vera inclusione e non discriminazione di questa parte di popolazione scolastica che, complessiva-mente, è composta da quasi 278mila bambini, ragazzi e adolescenti, dall’infanzia alle superiori.

Sulla base delle risorse messe a disposizione dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, nel triennio 2021-2024 saranno formati in tutto 90mila insegnanti di sostegno, 25.874 dei quali con i corsi del VII ciclo di Tfa ( Tirocinio formativo attivo), i cui test preselettivi si svolgeranno tra il 24 e il 27 maggio a seconda dell’ordine e del grado scolastico. Un numero ampiamente sufficiente a coprire il fabbisogno di posti di sostegno vacanti in organico (16.574, secondo le ultime stime della Cisl Scuola). Se non fosse che sono così mal distribuiti, da creare delle vere e proprie emergenze nelle regioni settentrionali. Dove le università hanno attivato un numero di posti in formazione del tutto inadeguato a soddisfare la domanda delle scuole, pur avendolo aumentato di oltre un migliaio rispetto al precedente ciclo di TM fa. E questo, nonostante il Ministero dell’Università e della Ricerca, in una circolare di metà dicembre 2021, avesse chiesto «un’ampia partecipazione volta a coprire il fabbisogno dei docenti specializzati sul sostegno didattico ». Ma così, al Nord, non sarà. Nonostante, è sempre la Cisl a sottolinearlo, quest’anno i posti vacanti destinati al ruolo fossero il 63% del totale, e di questi ne siano stati coperti appena il 20%.

In Lombardia, per esempio, a fronte di 5.700 posti vacanti, saranno attivati 1.240 posti di Tfa (il 21,75%), mentre in Piemonte l’offerta di formazione delle università è di 450 posti, il 17,23% dei 2.611 posti vacanti. Va un po’ meglio in Veneto, dove i 920 posti di Tfa arriveranno a coprire il 42,89% delle 2.145 cattedre scoperte, mentre in Liguria ed Emilia Romagna si arriverà rispettivamente al 47,28% e al 47,31% grazie a 330 e 800 posti di Tfa, rispetto ai 698 e 1.691 posti vacanti.

Al Sud, invece, la situazione è rovesciata. Così, per esempio, in Calabria, a fronte di 73 cattedre di sostegno scoperte, le università regionali attiveranno 2.070 posti di Tfa (il 2.835,62% in più) e lo stesso vale per la Sicilia: 184 posti scoperti e 5mila posti di Tfa (2.717,39% in più). È un caso anche la Basilicata, che ha poco meno dei posti di Tfa del Piemonte (400 contro 450), ma, con appena 23 cattedre vacanti, arriverà a superare del 1.739,13% il fabbisogno di insegnanti di sostegno delle scuole del territorio. E si potrebbe continuare con l’Abruzzo, la Puglia e la Campania che hanno un’offerta di posti in formazione di oltre il mille per cento superiore alla domanda di insegnanti di sostegno degli istituti scolastici.

«Perché le università del Nord non riescono ad attivare i posti necessari?», chiede Ivana Barbacci, segretaria

generale della Cisl Scuola, sindacato che ha (nuovamente) sollevato la questione. «Da anni denunciamo questa situazione sempre più insostenibile – ricorda la leader sindacale –. Finora nulla è cambiato, quindi il tema va nuovamente posto all’attenzione di tutti affinché nei prossimi due anni, che vedranno l’attivazione di altri 64mila Tfa, si possa raggiungere una distribuzione dei percorsi più equa e rispondente ai bisogni di tutti gli alunni del Paese». La soluzione potrebbe essere quella indicata dal rettore dell’Università di Foggia e coordinatore della Commissione Crui sulla formazione degli insegnanti, Pierpaolo Limone. «Ho passato la vita a formare insegnanti di sostegno – ricorda –. È una professione molto difficile, che necessita di una preparazione specifica e accurata. Che, però, al Nord incontra una domanda di formazione inferiore rispetto al Sud e, di conseguenza, anche le università adeguano la propria proposta formativa. Per invertire la tendenza si deve rendere più attraente questa professione, che senz’altro merita un riconoscimento, sociale ma anche economico, migliore. Insomma: rispetto alla specializzazione richiesta loro e alle responsabilità che sono chiamati ad assumersi, gli insegnanti di sostegno sono malpagati. Questo vale per l’intera categoria degli insegnanti, ma è ancora più evidente per i docenti di sostegno». Il cui fabbisogno, ricordano dal Ministero dell’Università e della Ricerca, «è calcolato su base nazionale » ed è caratterizzato, come l’intero sistema scolastico, da una «forte mobilità interregionale ». In pratica, tanti insegnanti di sostegno che prenderanno l’abilitazione in un’università del Sud, saranno costretti a trasferirsi in un istituto del Nord, continuando così ad alimentare un altro annoso problema della scuola italiana, che è quello degli «insegnanti con la valigia». Pendolari dell’istruzione destinati, prima o poi, al trasferimento, con tanti saluti alla continuità didattica, requisito fondamentale anche e soprattutto per gli alunni disabili.

«Anche il prossimo anno scolastico – denuncia Ernesto Ciracì, presidente di Misos, l’associazione degli insegnanti di sostegno abilitati – tantissimi alunni disabili del Nord avranno insegnanti di sostegno supplenti e, in gran maggioranza, non abilitati. E questo avrà ricadute gravissime sul loro percorso formativo e di crescita personale. E sul loro diritto ad avere, come tutti, un’istruzione di qualità».

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In Piemonte e Lombardia i nuovi percorsi di formazione dei docenti arriveranno a coprire appena il 17% e il 21% delle cattedre vacanti