Scuola aperta a tutti

da Settimana News

di: Marta Moretti

pandemia

Pensa agli innumerevoli ragazzi che presso a poco a quell’ora vanno a scuola in tutti i paesi, vedili con l’immaginazione […] immagina questo vastissimo formicolìo di ragazzi di cento popoli, questo movimento immenso di cui fai parte, epensa: ‒ Se questo movimento cessasse, l’umanità ricadrebbe nella barbarie; questo movimento è il progresso, la speranza, la gloria del mondo. – Coraggio dunque, piccolo soldato dell’immenso esercito. I tuoi libri son le tue armi, la tua classe è la tua squadra, il campo di battaglia è la terra intera, e la vittoria è la civiltà umana (E. De Amicis, Cuore, 1889).

Il rischio è che con la pandemia da Covid-19 queste emozionanti parole rivolte da un padre al figlio Enrico nel celebre romanzo Cuore descrivano un sogno anziché una realtà.

La nostra Costituzione stabilisce che «la scuola è aperta a tutti» (art. 34). L’indicativo presente in un testo normativo indica un dovere. Perciò la scuola dev’essere aperta a tutti.

Dopo aver affermato il diritto e dovere dei genitori di istruire ed educare i figli (art. 30), la Costituzione riconosce che, sul piano generale, l’istruzione e l’educazione della gioventù sono altresì compiti dello Stato (art. 33). Quest’ultimo, in collaborazione con le famiglie, assolve al suo compito educativo e formativo del cittadino, istituendo scuole statali per tutti gli ordini e gradi, ma anche riconoscendo – come si addice ad un ordinamento democratico e pluralista – ad enti e a privati il diritto di istituire scuole e istituti di educazione.

Per questo lo Stato garantisce a tutti un’istruzione gratuita per un numero minimo di anni durante i quali essa è altresì obbligatoria.

A livello internazionale, il diritto ad andare a scuola è un diritto fondamentale riconosciuto da trattati sui diritti umani vincolanti per l’Italia, come la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (art. 14), la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (art. 2 del Protocollo addizionale) e la Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti dell’infanzia (art. 9).

Come si legge in un recente rapporto delle Nazioni Unite circa l’impatto della pandemia sul diritto all’istruzione, quest’ultimo è «un diritto “abilitante” con un effetto diretto sulla realizzazione di tutti gli altri diritti umani. È un bene comune globale e un motore primario di progresso in tutti i 17 obiettivi di sviluppo sostenibile, come fondamento di società pacifiche giuste, uguali e inclusive»: pertanto, «quando i sistemi educativi crollano, la pace, le società prospere e produttive non possono essere sostenute» (Policy Brief: Education during COVID-19 and beyond, agosto 2020).

È cruciale per i bambini e i ragazzi, anche durante la pandemia, realizzare il loro diritto-dovere di istruirsi, che è alla base del loro futuro sviluppo e del futuro sviluppo della società. Permettendo ai giovani, mediante l’istruzione, di sognare e progettare liberamente e autonomamente il loro futuro si garantisce un futuro all’intera società.

Si potrebbe dire che è possibile istruirsi anche senza andare a scuola, ma non è così. La scuola, infatti, non è solo dispensatrice di nozioni nelle varie discipline e come tale sostituibile da un insegnamento individuale, magari autodidatta. La scuola assolve ad una funzione educativa ben più ampia ed è questo il suo valore principale nell’ottica sia del singolo che della collettività. Frequentando la scuola, si impara a relazionarsi e a confrontarsi civilmente con altre persone di tutte le età, tra loro assai diverse per attitudini personali, ambito familiare, cerchia sociale, cultura, convinzioni religiose o opinioni politiche.

Benché gli odierni mezzi tecnologici e la rete internet (quando sono disponibili!) ci consentano spesso di ricreare nel mondo virtuale delle situazioni quasi reali, è impensabile che una riunione telefonica consenta di creare i legami interpersonali che si formano quando si sta in classe a condividere per ore emozioni ed esperienze di ogni tipo.

Dati allarmanti

In Italia come in molti altri Paesi le scuole sono state temporaneamente chiuse quando si è ritenuto che la crisi sanitaria si fosse trasformata in emergenza.

Qualche mese fa le Nazioni Unite hanno riportato dei dati allarmanti circa l’impatto della pandemia da Covid-19 sulle scuole (v. Policy Brief sopracitato). Si sono verificate interruzioni dell’attività scolastica in quasi 1,6 miliardi di studenti in più di 190 Paesi in tutti i continenti. La chiusura delle scuole ha riguardato circa il 94% della popolazione studentesca mondiale. Si stima che nel 2021 circa 23,8 milioni di bambini e giovani in più potrebbero abbandonare o non avere accesso alla scuola a causa dell’impatto economico della pandemia.

Le scuole sono state (e vengono periodicamente) chiuse perché ritenute un luogo di contagio del virus che, pur essendo generalmente meno rischioso per i più giovani, può essere veicolato da questi ultimi agli adulti che ruotano loro intorno (insegnanti, genitori e, soprattutto, nonni). C’è, quindi, dietro alla chiusura delle scuole – come in altre “chiusure” a cui abbiamo assistito in questo periodo molto difficile – l’esigenza di preservare una parte della popolazione che potrebbe subire conseguenze più gravi ove contraesse il virus.

Tuttavia, occorre riconoscere che la chiusura delle scuole ha conseguenze serie sui ragazzi, sulle loro famiglie e sulla società e, quindi, dovrebbe essere evitata salvo che in casi eccezionali.

Alcuni importanti organismi internazionali hanno sottolineato che, «mentre non disponiamo ancora di prove sufficienti per misurare l’effetto della chiusura delle scuole sul rischio di trasmissione di malattie, gli effetti negativi della chiusura delle scuole sulla sicurezza, il benessere e l’apprendimento dei bambini sono ben documentati. L’interruzione dei servizi educativi ha anche gravi conseguenze a lungo termine per le economie e le società, come aumento della disuguaglianza, peggiori risultati nella salute e riduzione della coesione sociale» (ONU, Unicef, Banca mondiale, World Food Programme, UNHCR, Framework for reopening schools, giugno 2020).

Ci sono varie ragioni per ritenere che si debba fare tutto il possibile per garantire a tutti scuole aperte in sicurezza. Ancora una volta questa pandemia ci pone di fronte alla necessità di ricercare un equo bilanciamento tra diritto alla salute e diritto all’istruzione, nell’interesse dei singoli individui e di tutta la collettività.

A scuola nonostante la pandemia

Innanzitutto, apprendere nuove conoscenze insieme ad insegnanti e compagni di classe è un’esperienza non sostituibile con una riunione online. Anche laddove gli insegnanti riuscissero a trasmettere a distanza le conoscenze nelle varie discipline in modo equivalente a quanto avverrebbe in presenza, verrebbe a mancare una parte fondamentale di ciò che solitamente si impara a scuola, ovvero rapportarsi agli altri, a tutti gli altri con educazione e rispetto, costruire relazioni interpersonali, confrontarsi civilmente, condividere emozioni ed esperienze diverse da quelle vissute in famiglia… Questi “saperi” sono fondamentali per diventare dei cittadini perbene.

Oltretutto, ci sono alunni che richiedono un insegnamento individualizzato, adeguato alle loro specifiche esigenze, che non è possibile realizzare a distanza. Pensiamo ai ragazzi con problemi di apprendimento o con disagi personali o familiari.

Nel nostro ordinamento vale il principio per cui «l’esercizio del diritto all’educazione e all’istruzione non può essere impedito da difficoltà di apprendimento né da altre difficoltà derivanti dalle disabilità» (art. 314 del T.U. in materia di Istruzione). Inoltre, è previsto che a favore dei minori in particolari situazioni di disagio siano «attuati, nell’ambito delle strutture scolastiche e con le modalità ivi previste, interventi finalizzati ad eliminare le condizioni di disagio» (art. 326). In particolare, si devono compiere degli «interventi in materia di educazione alla salute, di informazione sui danni derivanti dall’alcolismo, dal tabagismo, dall’uso delle sostanze stupefacenti o psicotrope» e altri rischi per la salute psicofisica.

Un’altra buona ragione per tenere aperte le scuole è che molte famiglie non dispongono degli spazi e dei mezzi necessari a consentire ai ragazzi di partecipare proficuamente alle lezioni a distanza. L’apprendimento online esige che gli studenti dispongano di un ambiente e di strumenti idonei a ricreare virtualmente, per quanto possibile, l’esperienza dello stare in classe. È chiaro che famiglie numerose, con case di piccole dimensioni o prive di dispositivi tecnologici adeguati non possono offrire ai ragazzi l’opportunità di frequentare delle lezioni online in misura sufficiente a compensare la mancanza della scuola in presenza.

Ciò crea il rischio di acuire le diseguaglianze sociali che, invece, proprio la scuola dovrebbe servire a superare. La scuola permette di ampliare l’orizzonte di vita dei ragazzi, ad insegnare loro a diventare parte integrante e attiva della società, con pari diritti e dignità. L’istruzione è, dunque, la chiave per la lotta contro la povertà, la discriminazione, l’intolleranza.

Lo Stato, aprendo a tutti le scuole, offre a tutti i ragazzi, indipendentemente dalle condizioni delle rispettive famiglie e del contesto sociale, la possibilità di acquisire le conoscenze e competenze necessarie a perseguire le proprie aspirazioni lavorative, a coltivare le proprie inclinazioni e potenziare le proprie capacità, realizzandosi come persona e diventando parte attiva della società. Si tratta cioè di mettere tutti indistintamente nelle condizioni di essere artefici del proprio destino.

Come sottolineano molti organismi internazionali con il fine istituzionale di tutelare l’infanzia e l’adolescenza, per molti bambini e adolescenti l’alternativa alla scuola consiste nell’essere esposti a rischi per la loro salute fisica e psichica, sia dentro che fuori le mura domestiche.

Non a caso la giovane coraggiosa attivista pakistana Malala Yousafzai ha affermato: «anche se avevamo sempre amato la scuola, non ci eravamo resi pienamente conto di quanto fosse importante l’istruzione prima che i talebani cercassero di togliercela. Studiare, leggere, fare i compiti non era solo un modo come un altro di passare il tempo, era il nostro futuro» (Io sono Malala, 2013).

Ecco, dunque, che la scuola può svolgere a pieno la propria funzione solo se si consente agli studenti di recarsi in uno spazio adeguato allo studio, con orari regolari, insegnanti e compagni “in carne ed ossa”, dove essi possano apprendere l’etica del lavoro e della responsabilità e, così, allenarsi gradualmente alla vita reale, fatta di impegno e fatica quotidiana.

La scuola deve curare le ferite che la famiglia e la società, a volte inconsapevolmente, infliggono ai ragazzi. Deve educarli alla socialità e sviluppare nei giovani una mentalità progettuale, dando loro la sicurezza che con lo studio e l’impegno possono ottenere risultati brillanti in ciò che desiderano fare, senza scorciatoie o mezzi diversi dal loro merito.

Appare dunque chiaro che, mentre è possibile (oltre che doveroso) “ristorare” le attività professionali, industriali e commerciali che sono costrette a chiudere a causa delle misure di contenimento della pandemia, non esistono “ristori” per la perdita di mesi di insegnamento scolastico e per il tempo speso lontano dai propri compagni ed insegnanti a causa delle chiusura delle scuole (The Guardian view on keeping schools open: not an open and shut case, editoriale del 2 novembre 2020).

Dovere e interesse di tutti che i giovani vadano a scuola

Consentire ai ragazzi di andare a scuola in sicurezza è un dovere dello Stato e, al tempo stesso, una necessità per un Paese che voglia avere un futuro.

È noto che per contenere la crisi economica innescata dall’attuale pandemia il governo ha dovuto incrementare notevolmente la spesa pubblica. Di conseguenza, il debito pubblico ha raggiunto 2.598 miliardi di euro (v. il “contatore” pubblicato sul sito dell’Istituto Bruno Leoni).

Questo significa che bambini e adolescenti dovranno sostenere gli ingenti costi di questo indebitamento. Inoltre, soprattutto se non si adotteranno misure economiche capaci di far ripartire gli investimenti, la produzione industriale, le attività professionali e commerciali e il mercato del lavoro, i nostri studenti avranno meno opportunità lavorative e condizioni peggiori sul piano contrattuale ed economico. Molti di loro saranno costretti a cercare lavoro in altri Paesi, dove si troveranno a competere con coetanei che potrebbero aver ricevuto un’istruzione migliore e che comunque sarebbero “avvantaggiati” dalla padronanza delle lingue ufficiali del posto e dal supporto delle rispettive famiglie.

Ai ragazzi a cui sarà chiesto di pagare i debiti accumulati dagli adulti e a cui sarà consegnato un mondo probabilmente peggiore di quello dei loro genitori bisogna assicurare di acquisire le conoscenze e le competenze necessarie per poter affrontare queste sfide senza soccombere.

Non è equo dire loro che devono stare a casa e rinunciare alle opportunità che la scuola offre loro perché potrebbero veicolare il virus. Bisogna consentire loro di frequentare le scuole in sicurezza e responsabilizzarli, anziché presumere che essi non siano in grado di rispettare le regole precauzionali quando, a casa e a scuola, interagiscono con gli altri, specialmente con le persone “fragili” per le quali sarebbe più rischioso contrarre il virus.

Che i ragazzi vadano a scuola e abbiano un’istruzione adeguata è essenziale anche per garantire un futuro al Paese.

Il mondo attuale ci mette di fronte a problemi scottanti, come il dissesto ecologico, il difficile processo di pace, il dilagare dell’intolleranza verso chiunque ci appaia “diverso”, la precarietà del mondo del lavoro, il pericolo che il mondo virtuale ci privi sempre più della nostra umanità fino a ridurci a dei robot, la recessione economica.

Papa Francesco nell’enciclica Fratelli tutti “fotografa” la situazione inquietante in cui siamo piombati a causa del prevalere dell’economia e della finanza sulla morale e sull’umanesimo. «I conflitti locali e il disinteresse per il bene comune vengono strumentalizzati dall’economia globale per imporre un modello culturale unico. Tale cultura unifica il mondo ma divide le persone e le nazioni, perché ‘la società sempre più globalizzata ci rende vicini, ma non ci rende fratelli’. Siamo più soli che mai in questo mondo massificato che privilegia gli interessi individuali e indebolisce la dimensione comunitaria dell’esistenza. Aumentano piuttosto i mercati, dove le persone svolgono il ruolo di consumatori o di spettatori».

Ecco, dunque, che – come ha detto Chiara Amirante, fondatrice della Comunità Nuovi Orizzonti – «la società del benessere è diventata la società del malessere: un mondo in cui si punta al denaro, al piacere, al successo, ma che sprofonda silenziosamente e vertiginosamente nell’inquietudine» (La guarigione del cuore, 2019).

La pandemia ha inevitabilmente acuito questi problemi.

È difficile immaginare che ci sia un altro momento nella storia in cui l’istruzione possa giocare un ruolo centrale per riconquistare una prosperità e stabilità sociale, economica e politica.

La situazione attuale e quella in cui ci troveremo quando avremo sconfitto la pandemia implicano un ampliamento di prospettiva ed una progettazione innovativa per migliorare la qualità della vita di ognuno di noi e del nostro pianeta. E, siccome ci vorranno anni per riuscire in questa “impresa”, bisogna far leva sulle capacità e sulla preparazione dei più giovani.

Andare e stare a scuola in sicurezza

Una società civile, autenticamente democratica e liberale, non può privare i ragazzi di andare a scuola, anche in piena emergenza pandemica. Occorre farlo in sicurezza, assicurandosi che tutti possano arrivare a scuola senza accalcarsi nei bus o sulla metro, con le mascherine e le regole igieniche del caso, mantenendo l’adeguato distanziamento fuori e dentro le classi.

Le scuole italiane sono generalmente dotate di banchi individuali, ma il vero pericolo deriva dal fatto che in molte classi non è possibile mantenere l’adeguato distanziamento perché ci sono 25-30-32 alunni. E allora bisogna ovviare al problema di aule che non sono sufficientemente spaziose per accogliere classi così numerose.

Si potrebbe ricorrere ad uno sdoppiamento delle classi e ad un doppio turno di lezione: metà classe in presenza al mattino, l’altra metà al pomeriggio, alternandosi ogni mese. Ciò consentirebbe di assicurare il necessario distanziamento in aula, nonché di evitare l’affollarsi dei mezzi di trasporto pubblici all’entrata e all’uscita dalle scuole.

Dove reclutare i docenti per i doppi turni? Alle elementari si potrebbe ovviare, ad esempio, con il momentaneo ritorno al “maestro unico”, data l’eccezionalità della situazione. Alle medie e alle superiori si potrebbe far entrare, finalmente, “in campo” i tanti docenti che, dopo molti anni di insegnamento, in qualità di supplenti temporanei, sono ancora dei lavoratori “precari”.

I mezzi pubblici andrebbero in ogni caso potenziati perché ormai sappiamo che è altamente rischioso tenere delle persone stipate per diversi minuti in spazi relativamente angusti e male arieggiati e, quindi, dobbiamo evitarlo.

A scuola si dovrebbe inculcare il rispetto delle regole che ci consentono di difenderci da questo nemico insidioso perché invisibile: il distanziamento fisico, l’igiene delle mani e delle superfici, l’uso delle mascherine, l’autoisolamento ove si risulti positivi al virus o se ne abbiano i sintomi. Al tempo stesso, bisognerebbe educare al valore della solidarietà, affinché il distanziamento e l’isolamento fisico non si trasformino in solitudine o abbandono.

E poi bisogna incrementare i test per diagnosticare il Covid-19 ed assicurare un efficiente tracciamento dei contatti delle persone contagiate.

Appena possibile, gli insegnanti, soprattutto quelli che hanno superato l’“età critica”, dovranno essere messi nelle condizioni di vaccinarsi, al pari di altri lavoratori che prestano servizi essenziali per la collettività.

Riconciliare il diritto alla salute e il diritto all’istruzione è indubbiamente una sfida, a cui, però, non può sottrarsi un Paese che, oltre a preoccuparsi del presente, abbia una visione del futuro.

Come ha detto don Luigi Giussani, «solo un’epoca di discepoli può dare un’epoca di geni, poiché solo chi è prima capace di ascoltare e di comprendere alimenta una maturità personale che lo rende poi capace di giudicare e di affrontare, fino – eventualmente – ad abbandonare ciò che lo ha alimentato» (Il rischio educativo, 1977).