Scoperti i resti delle più antiche pitture etrusche di Tarquinia nell'anticamera della «Tomba della Regina»

Un bell’andirivieni nel Mediterraneo di 2700 anni fa

di Maurizio Sannibale

Molti ricorderanno il clamore suscitato dalla scoperta avvenuta nel 2006 della tomba dei Leoni Ruggenti a Veio (circa 690 prima dell’era cristiana), da ascrivere tra i più antichi documenti della pittura parietale etrusca (cfr. "L’Osservatore Romano" del 25 giugno 2006). Pochi giorni fa, accompagnata da una certa risonanza mediatica, è avvenuta altrettanto inaspettata la scoperta dei resti di un intonaco dipinto nel corso dello scavo di una monumentale tomba a tumulo di Tarquinia, circa della metà del VII secolo prima dell’era cristiana, che andrebbe così a retrodatare di qualche decennio le prime esperienze pittoriche di carattere monumentale in questa antica metropoli etrusca, universalmente nota proprio per l’alta concentrazione di tombe dipinte. Esse costituiscono una "pinacoteca" del tutto peculiare, che in una sola area copre lo sviluppo della pittura antica dallo scorcio del vii a tutto il II secolo antecendente all’era cristiana, in pratica dall’orientalizzante all’età ellenistica, motivo che è valso l’iscrizione ai siti Unesco della necropoli tarquiniese. Certamente l’evidenza monumentale di questi scarsi lacerti di apparato figurativo, peraltro di difficile comprensione anche all’occhio più esperto, sono ben poca cosa rispetto all’impatto della Tomba delle Pantere nella stessa Tarquinia, scoperta nel 1968 e datata intorno ai 2600-2580 anni che sino a oggi costituiva il documento pittorico più antico della necropoli, con le sue due figure di felini in rosso e nero in tutto simili, ma in proporzioni ingigantite, allo stile orientalizzante etrusco-corinzio della coeva pittura vascolare. Una prima prudente lettura dei resti ora scoperti tenderebbe a restituire una figura di uccello stilizzato, campito in nero e con contorni in rosso, forse simile a quelli rappresentati nelle tombe dei Leoni Ruggenti e delle Anatre di Veio, partecipi dello stile etrusco-geometrico nel corso della prima metà del VII secolo prima dell’era cristiana. Il motivo degli uccelli acquatici, di antica ascendenza pan-mediterranea, viene puntualmente citato nell’apparato cultuale delle tombe aristocratiche etrusche del periodo orientalizzante, anche attraverso elementi del corredo come bronzi e oreficerie, in chiara connessione con i temi funerari. L’argomento è complesso e può solo essere accennato. Basti solo pensare al ruolo di collegamento esercitato dagli uccelli con sfere e dimensioni diverse, acqua, terra, cielo, e alla loro connessione con fenomeni e divinità astrali, al punto da divenire riferimento imprescindibile dell’attività divinatoria da parte degli stessi sacerdoti etruschi che ne osservavano il volo. Ma quello che più interessa è il contesto generale che fa da quinta a questa scoperta. Data al 2008 l’avvio di una promettente campagna di scavo a opera dell’università degli studi di Torino e della Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Etruria meridionale, coordinata da Alessandro Mandolesi, docente di Etruscologia e Antichità italiche nell’ateneo piemontese. L’area interessata è quella della Doganaccia, nel cuore della necropoli etrusca di Tarquinia, caratterizzata da due grandiose tombe a tumulo del periodo orientalizzante, non a caso denominate del Re e della Regina. Proprio su quest’ultima si è concentrata l’attività degli scavatori, in quanto il tumulo curiosamente non era ancora stato indagato scientificamente, sebbene l’esplorazione del tumulo del Re, risalente ormai al lontano 1928, avesse già dato risultati di un certo interesse, come quel vaso con iscrizione etrusca che cita un certo Rutile Hipucrates, dal gentilizio di chiara ascendenza greca. Non sfugge, a tal riguardo, il collegamento con quanto narrato dalle fonti antiche in merito all’inserimento di importanti personaggi stranieri nei ranghi dell’aristocrazia etrusca che ebbe come sua ultima dimora proprio tumuli come quello ora scavato. Assume valore paradigmatico la vicenda del nobile – e mercante – Demarato di Corinto che, intorno alla metà del VII secolo prima dell’era cristiana, si stabilisce a Tarquinia con un seguito di artisti e, sposando una nobildonna del posto, genererà Lucumone ovvero il futuro re di Roma Tarquinio Prisco. Il tumulo della Regina al di là del nome di fantasia, oggetto dell’attuale indagine, è una imponente struttura architettonica di circa 40 metri di diametro, provvista di un monumentale accesso con gradinata che costituiva al contempo un’area a cielo aperto per le cerimonie e gli spettacoli in onore del nobile defunto. Non occorre un grosso salto di fantasia per ambientare in un simile contesto qualcosa di simile al racconto dei giochi funebri per Patroclo narrato nel libro xxiii dell’Iliade. Più in generale è tutto il mondo "eroico" di ascendenza omerica che viene tradito dal rituale funerario e dalla composizione del corredo, quando si vanno ad analizzare le tombe dell’orientalizzante etrusco e dell’oriente mediterraneo. In particolare, giova sottolineare l’affinità del tumulo, anche dal punto di vista architettonico, con le tombe regali di Cipro, come quelle di Salamina dell’area sud-orientale dell’isola. È probabile che all’origine del modello delle tombe a tumulo destinate ai re di Tarquinia sia riconoscibile l’opera di architetti e maestranze del Mediterraneo orientale, giunti in Etruria all’inizio del VII secolo antecedente all’era cristiana. Un ulteriore tassello di queste dinamiche è fornito ora dalla scoperta della pittura parietale dalla quale siamo partiti, destinata a decorare l’anticamera della tomba vera e propria del personaggio regale sepolto nel tumulo della Regina. Nei fatti questo documento pittorico si discosta nettamente dal punto di vista tecnologico da tutte le altre pitture etrusche note sino ad oggi, in quanto il supporto dei colori è costituito da uno spesso strato di gesso alabastrino, secondo una pratica consolidata nel Vicino Oriente: Egitto, area siro-palestinese, Cipro. È ipotizzabile, quindi, che questa più antica decorazione pittorica sia dovuta alla mano di maestranze provenienti direttamente dal Levante mediterraneo, secondo una tecnica usuale e compatibile con il clima delle aree originarie, ma del tutto inadatta alle condizioni ambientali dell’Etruria. Per questo l’intonaco e i colori sono apparsi agli scopritori fortemente deteriorati dall’umidità, al punto da essere quasi illegibili. Non è da escludere che questo raro superstite delle prime realizzazioni pittoriche parietali a Tarquinia rappresenti solo un esiguo campione di un più vasto e insospettabile patrimonio figurativo, naufragato per gli intrinseci limiti tecnologici prima che venissero elaborati procedimenti compatibili con le condizioni locali. Il quadro storico complessivo che ne risulta, mostra come quello che viene denominato periodo orientalizzante, tra i 2730 e i 2580 anni fa, non costituisca solo un fenomeno commerciale: insieme ai beni viaggiarono anche uomini e idee. L’alfabeto e i poemi omerici – che in quegli anni vennero redatti – sono per noi solo il retaggio più rilevante di un processo che vide dinamicamente coinvolti fenici, greci ed etruschi. Il futuro sviluppo della civiltà occidentale deve molto a questo straordinario grande incontro tra le diverse sponde del Mediterraneo, avvenuto all’incirca ventisette secoli fa. (©L’Osservatore Romano – 15 agosto 2010)