Scenari. Timothy Radcliffe: «Si leva l’alba della comunità»

Il domenicano inglese al festival “Molte fedi” di Bergamo: «Viviamo un tempo di pericolo ma anche di possibilità: il confinamento potrebbe portarci ad approfondire i nostri legami reciproci»
Timothy Radcliffe: «Si leva l'alba della comunità»

Mario Purisic / Unsplash

Avvenire

Pubblichiamo l’intervento tenuto dal teologo inglese Timothy Radclliffe nella rassegna “Molte fedi sotto lo stesso cielo” promossa dalle Acli di Bergamo.

Ascolta! Cosa ascoltiamo? Appena dopo l’inizio del lockdown, gli inglesi hanno ascoltato gli italiani che applaudivano dai loro balconi. Questo fatto esprimeva in maniera stupenda il paradosso di questo tempo strano. Era un momento in cui si condivideva il canto e la gioia. Persone estranee si ritrovavano. Anche persone che stavano davanti ai loro computer e televisioni, in ogni parte del mondo, cantarono insieme a loro. Ancora, le persone che abbiamo visto cantare erano rinchiuse nel loro proprio appartamento, impossibilitati dall’unirsi e dal mescolarsi con gli altri per le strade.

Quella fu un’immagine di una comunità e di un isolamento inaspettati. Queste dimensioni sono totalmente opposte le une dalle altre? Idealmente non lo sono, dal momento che una comunità forte è capace di farci fiorire individualmente e un individuo forte ha il coraggio di appartenere ad altre persone in una comunità. L’acuto individualismo della cultura occidentale moderna spesso ha l’effetto di indebolire il senso dell’identità delle persone e può condurre a conformismo e insicurezza. Questo tipo di individualismo può portare alla tirannia della moda e allo scimmiottamento delle celebrità. «Solo se indosso quei vestiti o ho quel taglio di capelli o possiedo quell’automobile sarò visibile agli altri».

Al contrario le comunità nelle quali noi siamo radicati in maniera profonda spesso – sebbene non sempre – sono capaci di dare spazio all’individualità, persino all’eccentricità! In questo senso comunità e individualità non sono opposte. È impossibile per noi prevedere oggi le conseguenze definitive di questa pandemia. Ci sono state numerose pandemie nel passato, ma questa è la prima che è stata sperimentata a livello globale. Ogni giorno ciascuno può leggere quante persone si sono infettate o sono morte in ogni Paese del mondo. Questo potrebbe portare ad una disintegrazione della società. Ma se cogliamo l’occasione, questa vicenda potrebbe portarci ad un approfondimento dei nostri legami reciproci.

È un tempo di pericolo ma anche di possibilità. È stato un tempo di isolamento sociale nel quale molte persone sono state confinate nelle loro case e nei loro appartamenti. Alcuni hanno dovuto vivere questo da soli e altri con i loro famigliari più prossimi. Quando sono tornato in Inghilterra da Gerusalemme, appena prima che iniziasse il lockdown, ho immediatamente scaricato Skype e Zoom, in maniera che potessi vedere i volti delle persone cui voglio bene. Usare Zoom è estenuante e molti di noi hanno sofferto di una sorta di Zoomia. Non è la stessa cosa che incontrare con piacere lo sguardo degli altri, ma meglio di niente. Inoltre, siamo stati privati del tocco di coloro che amiamo. I nonni sono stati impossibilitati dall’abbracciare i loro nipoti. I volti e il toccarsi nutrono la nostra umanità. E così questo tempo di isolamento è stata un’esperienza di profonda pri- vazione per molti, ed anche la causa di disturbi mentali.

Ma è anche possibile vive questo come un momento nel quale maturiamo come individui e così diventiamo capaci di vivere in maniera più felice la comunità. Nel 1364, a soli diciassette anni, Caterina da Siena iniziò un periodo di autoisolamento di tre anni. Non lo fece per sfuggire alla peste bubbonica ma per dedicare la sua vita a Dio. In questo modo ella scoprì se stessa; disse che era entrata «nella cella della conoscenza di sé». Si trovò di fronte alla terrificante chiarezza di chi lei fosse; tutte le illusioni e le fantasie erano state rimosse. Questa scelta non significò per lei guardarsi l’ombelico in modo narcisistico. Ella scoprì anche che era proprio quella Caterina ad essere totalmente amata da Dio.

Questo è il fondamento della sua vita spirituale: conosci te stesso solo nel momento in cui vedi di essere amato totalmente. Caterina scrisse a Raimondo da Capua, un domenicano suo amico: «Cerca di conoscere te stesso». Dobbiamo entrare nella «notte della conoscenza di sé». Lì scopriamo la nostra stessa ombra. Caterina scrisse: «L’ombra mia mi ha fatto paura». Solo allora scopriremo Dio, l’unico il cui amore, in ogni momento, ci dona di esistere. Dopo di che potremo riposare nell’essere noi stessi perché saremo in Dio.

In questo tempo di isolamento in molti ci siamo confrontati con noi stessi. La maggior parte di noi si è fatta un film su chi è. È difficile mantenere queste fantasie quando sei solo o chiuso in casa con le nostre famiglie. Ma è questa la persona reale amata da Dio. Questa è la persona reale, non quell’immagine creata con attenzione su Facebook con un migliaio di amici, o l’avatar in un qualche mondo di fantasia.