San Giacomo apostolo Figlio del tuono

di Juan Manuel de Prada

Come sarà stato Giacomo, il figlio di Zebedeo e di Salomé, a cui gli evangelisti attribuiscono sempre un posto di spicco nelle liste dei Dodici, e che Gesù stesso volle accanto, insieme a Pietro e a suo fratello Giovanni, in alcuni momenti più significativi della sua esistenza terrena? Doveva essere, senza dubbio, un uomo impetuoso e ardente, incline alla collera, che immaginiamo prendersi furiose arrabbiature quando, dopo una dura giornata sul lago di Tiberiade, tornava a mani vuote a Betsaida. Più di una volta, irato, avrà lanciato maledizioni ai pesci renitenti a cadere nelle sue reti; più di una volta li avrà minacciati di scagliare contro di loro il "fuoco del cielo", che era quello che voleva scagliare anche contro gli inospitali samaritani quando, dopo la Trasfigurazione, Gesù lo manda avanti, insieme a suo fratello Giovanni, a cercare un posto dove passare la notte. Possiamo immaginare Giacomo, esausto e affamato, dire peste e corna dei samaritani, e Gesù che lo riprende dicendo: "non esagerare, figlio del tuono, non esagerare…". Perché così, "figli del tuono" Gesù chiamava Giacomo e Giovanni, dimostrando che i figli di Zebedeo erano uomini risoluti e poco mansueti. Qualche ragione però ce l’aveva Giacomo per prendersi una simile arrabbiatura. Come osavano quei samaritani pezzenti negare pane e alloggio a un uomo che aveva appena visto il corpo di Cristo sfolgorante di luce e traboccante di gioia e di bellezza sul monte Tabor? Quella Trasfigurazione il Signore non l’aveva compiuta davanti alle moltitudini, e neppure davanti ai Dodici, ma solo alla presenza di Pietro, di Giovanni e sua. Sei giorni prima, Gesù aveva stabilito a Cesarea il Primato di Pietro; sei giorni prima, Gesù aveva annunciato la sua Passione e aveva detto agli Apostoli che, per salvarsi, dovevano "negare se stessi" e prendere la croce. E, visto che la rivelazione doveva aver turbato i poveri Apostoli, Cristo ne prende tre, e per rendere più lieve e sopportabile lo scandalo della Passione, permette loro di intravedere la gloria divina, come un "lampo" premonitore della Resurrezione. Giacomo aveva visto il suo maestro mentre conversava con Elia e con Mosè; e anche se non aveva capito molto bene di cosa parlavano, Gesù gli aveva ordinato di non raccontarlo a nessuno prima che "il Figlio dell’uomo non sia risorto dai morti". Giacomo, quindi, sa che Gesù risusciterà; sa che gli è stato concesso il dono di intravedere quella gloria che si avvicina… ma non ha compreso il significato del miracolo a cui ha appena assistito, non ha capito che senza croce non c’è Resurrezione. Possiamo immaginarlo mentre confabula con suo fratello: "Gesù ci ha confidato che resusciterà dai morti. E Gesù ha voluto che tu e io vedessimo anticipatamente la sua gloria. Ergo abbiamo il diritto che ci venga riservato un posto privilegiato nella sua gloria, uno alla destra e l’altro alla sinistra del suo trono". Ed ecco che i figli del tuono vanno in commissione a reclamare questo diritto. Il Vangelo di Matteo – a differenza di quello di Marco – introduce in questo episodio una precisazione piena di sapore e psicologicamente plausibile. Risulta che gli spacconi figli di Zebedeo, i fratelli tuonanti, ricorrono alla loro madre Salomé perché faccia da intermediaria con Gesù! Ed è la madre a chiedere a Gesù che i suoi due figli abbiano un posto privilegiato nel Regno: uno alla sua destra e l’altro alla sua sinistra, come favoriti o ciambellani in una corte di palazzo. Non possiamo non immaginare qui Gesù che scoppia in una risata. "Hai capito – avrà pensato – i fratelli sempre pronti a parlare e ad arrabbiarsi! Hanno la barba, ma si nascondono dietro la mamma perché le loro ambizioni risultino meno sfacciate, perché il loro appetito di onori sia temperato, mitigato, abbellito dalla sollecitudine materna" Giacomo e Giovanni agiscono come postulanti manovratori alla ricerca di una raccomandazione, che invece di presentare apertamente la propria candidatura ricorrono a intermediari; e si sa che non c’è migliore intermediario della propria madre, che è la persona che meglio e con maggior sentimento mette in risalto le doti del postulante, intenerendo il cuore di colui che ha l’autorità per assegnare incarichi e distribuire ricompense. Ma agli spacconi figli di Zebedeo questa volta il sotterfugio non serve a nulla: "chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti. Anche il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti". E in caso non risultasse loro ancora chiaro in cosa consisteva l’essere "schiavo di tutti", Gesù sceglie nuovamente i "figli del tuono", insieme a Pietro, perché assistano alla sua preghiera di agonia nell’orto di Getsemani. Gesù si fa obbediente fino alla morte; e, vedendolo umiliato e sofferente, alla fine Giacomo potrà capire che la gloria che aveva potuto intravedere sul monte Tabor non si raggiunge appollaiati su un trono, ma appesi a un legno. Giacomo è ormai pronto a capire quel lungo discorso con cui Gesù si era congedato dai suoi discepoli: "Un servo non è più grande del suo padrone. Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi". Ed è anche pronto a capire le due forme più spaventose di persecuzione: prima la persecuzione dal di dentro ("vi scacceranno dalle sinagoghe") e poi quella dal di fuori ("viene l’ora in cui chiunque vi ucciderà crederà di rendere culto a Dio"). Ciò che Gesù predisse si compì: tutti gli Apostoli furono scacciati dalla sinagoga e poi morirono martiri, con l’unica eccezione di Giovanni, il fratello di Giacomo, che morì anziano e in un letto, anche se naturalmente fu pure lui martire, poiché ai tempi di Domiziano lo gettarono in un recipiente colmo di olio bollente, da cui uscì miracolosamente illeso, e poi fu condannato a lavorare nelle miniere di Patmos, che erano un supplizio peggiore della morte. Giacomo, l’altro figlio del tuono, fu decapitato per ordine di Erode Agrippa, verso l’anno 40, a Gerusalemme, dove iniziò a predicare il Vangelo subito dopo l’ascensione di Cristo. Il figlio del tuono allora non maledisse i suoi carnefici, né li minacciò con il "fuoco del cielo", e non pretese neppure nel momento della morte un posto privilegiato accanto al trono; aveva capito che per godere di quella gloria che Gesù gli aveva permesso d’intravedere sulla cima del monte Tabor doveva dare "la vita in riscatto per molti". Non sappiamo con assoluta certezza se Giacomo venne in Spagna. Tuttavia la Tradizione così c’insegna da tempi immemorabili; e la Tradizione dice la verità, perché non ci fu mai un popolo tanto impetuoso e allo stesso tempo tanto sofferente come quello spagnolo. E questo impeto che, corretto alla scuola della sofferenza, non si dissipa in spacconate e vani soprassalti, ma che sa farsi paziente nell’avversità, noi spagnoli lo abbiamo potuto imparare solo da quel figlio del tuono che contemplò anticipatamente la gloria di Cristo e che, alla fine, imparò che per raggiungere la gloria bisogna prima vuotare il calice del dolore. (L’Osservatore Romano – 25 luglio 2010)