Riscoprire Eva. Una rilettura del ruolo della donna nella Bibbia

Hieronymus Bosch, «Giardino dell’Eden» (1480-1490, particolare)

«Tu sei la porta del Demonio! Tu hai mangiato dell’albero proibito! Tu per prima hai disobbedito alla legge divina! Tu hai convinto Adamo, perché il Demonio non era abbastanza coraggioso per attaccarlo! Tu hai distrutto l’immagine di Dio, l’uomo! A causa di ciò che hai fatto, il Figlio di Dio è dovuto morire!».

Così Tertulliano nel De cultu feminarum presentava Eva e la sua trasgressione, causa dell’umana perdizione e, addirittura, della morte di Gesù. E, come sottolineerà secoli dopo il Malleus maleficarum, il manuale di fine Quattrocento per aiutare gli inquisitori a riconoscere le streghe, Eva è la prima prevaricatrice, prototipo delle donne: infedeli, mendaci, ingannatrici, ambiziose, invidiose, irose, lussuriose, insaziabili, concupiscenti, tentatrici, credule, maliziose, deboli e pettegole. Come mostrano questi due brani certamente, ci troviamo in presenza di un’immagine della nostra progenitrice che ha segnato in profondità la visione antropologica del cristianesimo costituendo un enorme danno per le donne: si è cristallizzato, infatti, un modello autorevolmente negativo di identità femminile dal quale è stato — ed è ancora oggi — difficile sottrarsi.

A sottrarre la donna dalla sua falsa condizione di fragilità e di peccato e mettere sotto osservazione critica l’interpretazione erronea della figura biblica di Eva, ci ha pensato questa coraggiosa pubblicazione: Non sono la costola di nessuno. Letture sul peccato di Eva (Verona, Gabrielli 2020, pagine 188, euro 16). Oltre Paola Cavallari, autrice dell’introduzione («Peccato originale o peccato patriarcale d’origine?») e di un saggio («Stavano di fronte l’uno all’altra»), oltre che ideatrice e curatrice del progetto, il libro è il frutto della collaborazione di altri sei studiosi (tre donne e tre uomini) di matrice riformata (Lidia Maggi, Paolo Ricca, Letizia Tomassone) e cattolica (Giampaolo Anderlini, Brunetto Salvarani e Carlo Bolpin) anche se Anderlini e Salvarani scrivono a partire dalla tradizione ebraica. Il volume è introdotto con intelligenza da Lilia Sebastiani.

I saggi si pongono su piani diversi costituendo un insieme variegato di prospettive e di punti di vista. Emerge in tutti la necessità di una rilettura esegetica dei racconti fondativi di Genesi 2-3 per svelare inganni e false interpretazioni.

Paolo Ricca interviene in tal senso con un intenso studio per rimuovere alcuni grandi equivoci che hanno portato al dominio dell’uomo sulla donna e al confinamento di quest’ultima in ambito domestico, e che non trovano fondamento nei testi di Genesi («Lutero, Calvino, Barth e noi alle prese con Genesi 1, 2 e 3», pp. 117-145).

A questa sua prospettiva di stampo esegetico alla luce della visione protestante, si affianca l’appassionato intervento di Paola Cavallari («Stavano di fronte l’uno all’altra») che rilegge soprattutto i brani della Caduta nella prospettiva dell’esegesi femminista mettendo in luce le distorsioni della visione teologica dominante, colpevole di un peccato contro le donne nella misura in cui ha strumentalizzato i testi biblici per mantenere le donne in una condizione subalterna.

Anche per Lidia Maggi («Il fianco sfiancante») i racconti fondativi sono «storie usate per colpevolizzare e denigrare le donne fino a legittimarne la sottomissione e minimizzare la violenza nei loro confronti»; per questo occorre decostruire l’archetipo di Eva come tentatrice che ha portato alla colpevolizzazione delle donne, ma ancor di più occorre snidare le trappole esegetiche che finiscono per ghettizzarle non considerando adeguatamente «la trama del racconto [che] mette in scena la fatica della differenza di genere e della relazione, fatica individuata nella difficoltà di sostenere l’alterità e il limite».

Sull’importante tema della trasgressione si soffermano i saggi di Tomassone («La disobbedienza è una virtù per le donne») e di Arderlini e Salvarani («L’albero, la conoscenza e la libertà umana. Genesi 2-3. Un itinerario a partire dalla tradizione ebraica»).

Per Tomassone la trasgressione connota l’esperienza femminile (e femminista) e la Bibbia ne offre molti esempi, come quelli di Eva e di Tamar, e va assunta come risorsa in quanto «via diversa dalla normatività di genere imposta nelle società patriarcali». Arderlini e Salvarani rileggono il testo sacro alla luce della tradizione ebraica sottolineando come la trasgressione segni l’inizio della storia facendo raggiungere all’essere umano la sua piena umanità e libertà. Infine Carlo Bolpin («Simboli escatologici del mito adamitico») riflette sulla comprensione del mito e sulla molteplicità dei simboli che esso richiama in una continua apertura di significati.

Questo dialogo a più voci offre certamente una gamma di riflessioni quanto mai ampia e complessa sulla figura di Eva. La narrazione della sua venuta al mondo (nata dalla costola di Adamo per essergli di aiuto) e del suo protagonismo nel peccato (è lei che induce l’uomo a trasgredire) ha offerto materiale per giustificare la subordinazione della donna, legittimandone l’inferiorità sotto l’aspetto fisico (tratta dall’uomo), relativamente alla dimensione morale (induce al peccato) e all’ambito giuridico (deve essere soggetta alla tutela dell’uomo: padre, marito, guida religiosa).

È dunque quanto mai opportuno riflettere sulle radici della divisione dei generi segnati dalla subordinazione femminile e questo libro ci aiuta con preziose considerazioni. Tuttavia, la giusta attenzione data al testo biblico, che conosce una sconfinata storia esegetica, ha messo un po’ sotto tono la sua recezione, dal momento che il racconto, considerato fino a tutta l’età moderna come fatto storico, si è prestato a innumerevoli rappresentazioni perché rispondeva alle grandi questioni teologiche che hanno attraversato la cristianità relative al peccato e alla redenzione, nonché al ruolo che l’uomo e la donna avevano svolto in questo dispiegarsi del destino dell’umanità.

Tra queste interpretazioni, non possiamo non ricordare significative letture alternative che hanno conferito ad Eva dignità e positività. Per esempio Ildegarda di Bingen che, attraverso Eva, considera la maggiore perfezione della donna che ha dato origine alla vita, generando il mondo o la badessa Herrada di Honenburg che, nel codice miniato dell’Hortus Deliciarum, rappresenta la nascita della prima donna non dalla costola dell’uomo, ma direttamente dall’albero della vita, alla cui base si trova un Adamo assopito.

Oppure l’umanista Moderata Fonte, pseudonimo di Modesta Pozzo de’ Zorzi, che ribalta l’interpretazione tradizionale circa la preminenza del genere maschile, per natura e per volere divino, sottolineando, al contrario, l’inferiorità di Adamo rispetto a Eva. Riprendendo un pensiero che era stato già espresso dal filosofo Cornelio Agrippa, afferma, infatti, che la donna, dunque, è l’esito di un processo creativo che giunge alla perfezione con la sua nascita, dal momento che il disegno della creazione procede in un crescendo, da enti di valori inferiori a quelli di valore più alto.

La superiorità di Eva è sottolineata anche dall’abolizionista di colore Sojourner Truth; per lei se la prima donna era stata tanto forte e capace di mettere sottosopra il mondo, bisognava concedere alle donne, altrettanto forti, di rimetterlo dritto. Nondimeno la suffragista Elizabeth Cady Stanton comprese come la rilettura della Bibbia fosse indispensabile per superare tutti gli ostacoli che si opponevano all’affermazione dei diritti femminili e colse nella figura di Eva l’immagine dell’eroina coraggiosa e ambiziosa, spinta dalla sete di conoscenza. Giungiamo, infine, in ambito laico all’astrofisica Margherita Hack che sottolineava come la colpa di Eva, con la sua voglia di conoscere, sperimentare, indagare, rappresenti la curiosità della scienza contro la passiva accettazione della fede.

Con Eva, dunque, ci troviamo davanti a un archetipo dalle mille sfaccettature e dai tanti significati ancora tutti da scandagliare: questo interessante e ricco testo curato da Paola Cavallari ci aiuta in questo arduo compito.

di Adriana Valerio

Osservatore Romano