Ripartire, alcune priorità. Quali dunque le possibili priorità per ricostruire?

da Settimana News

di: Fabrizio Mandreoli

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«Se mi chiede un libro di teologia che possa aiutarla a comprendere [la tensione tra disordine e armonia nella Chiesa], sono gli Atti degli apostoli. Ci troverà il modo in cui lo Spirito Santo deistituzionalizza quello che non serve più e istituzionalizza il futuro della Chiesa. Questa è la Chiesa che deve uscire dalla crisi»
(Papa Francesco, Intervista aprile 2020).

«Come vi ho detto nei nostri incontri, voi siete per me dei veri poeti sociali, che dalle periferie dimenticate creano soluzioni dignitose per i problemi più scottanti degli esclusi. So che molte volte non ricevete il riconoscimento che meritate perché per il sistema vigente siete veramente invisibili. Le soluzioni propugnate dal mercato non raggiungono le periferie […]. Vorrei che sapeste che il nostro Padre celeste vi guarda, vi apprezza, vi riconosce e vi sostiene nella vostra scelta […]. Continuate a lottare e a prendervi cura l’uno dell’altro come fratelli»
(Papa Francesco, Lettera ai movimenti popolari del 12 aprile 2020).

 

La lista di spunti che segue è certo parziale, la si intende solo come un aiuto allo stato grezzo per riflettere insieme sulle priorità, cioè le valutazioni e le scelte, ecclesiali e – anche – sociali da cui ripartire; è maturata nel confronto con alcuni amici e amiche, in particolare con Matteo Marabini che qui ringrazio.

Quali dunque le possibili priorità per ricostruire?

  • L’assunzione di un atteggiamento di fondo gratuito che privilegi davvero i processi innovanti e la priorità del tempo – dei processi lunghi – sullo spazio, preoccupandoci meno di occupare spazi visibili e più di capire dove e come il Vangelo oggi spinge e precede.
  • Sostegno reale a tutte le iniziative che supportano lo sviluppo di una spiritualità e di una autonomia responsabile dei battezzati, insieme con un sostegno ai preti, non raramente a rischio di solitudine umana e culturale, per transitare – accompagnati, ma non paternalisticamente – in tempi davvero nuovi.
  • Un ascolto effettivo dei preti, dei diaconi, dei battezzati, uomini e donne, che hanno e sviluppano qualche idea/pratica generativa provando a fare esperienze diverse nel lavoro con giovani, anziani, poveri, migranti, detenuti (…): esperienze di spazi nuovi di vita comunitaria e presenza sociale.
  • La preparazione di laici, uomini e donne, che possano diventare un punto di riferimento dinamico e propulsivo per le piccole parrocchie della montagna, della campagna e, presto, anche della citta – che si trovano e si troveranno – senza parroco. L’esitazione a muoversi in questa direzione è un problema: infatti le zone pastorali non sembra potranno rispondere davvero alle molte esigenze di prossimità e capillarità.
  • Inserimento urgente di donne sagge e non clericali – ossia senza spirito ancillare – nei vari organi di discernimento e decisione ecclesiale.
  • La creazione di centri di base – agili ma seri – di studio, di riflessione e di sperimentazione in cui far girare, in un dialogo continuo e reciproco, cultura teologica, pastorale, economica, storica, antropologica (…); in tal senso anche le Caritas diocesane, insieme ai molti altri mondi che operano nel sociale, potrebbero coordinare e potenziare la capacità di analisi sociale e politica.
  • Questi potrebbero essere luoghi di libera discussione critica sui cosiddetti “punti fermi” sia del nostro assetto sociale e culturale (basta un virus per far tremare un’impalcatura così presuntuosa e sicura di sé). Convinti che bisogna predisporsi ad un urto con le logiche oggi dominanti sul versante economico, politico e culturale. La logica selettiva che abbiamo visto all’opera nei confronti dei “vecchi” e dei carcerati rischierà di estendersi ancor più nei confronti dei migranti e di chi fuggirà dalle guerre e dai prevedibili disastri climatici.
  • Senza intercettare queste esigenze e senza la maturazione di una riflessione creativa, aggiornata, verificata dalla vita e attenta alle prassi concrete, noi come corpo ecclesiale rischiamo di non aver molto da dire alla società e tantomeno all’Europa. In tale quadro servirebbe l’investimento – anche economico – nella formazione e nel sostegno di giovani, intelligenti, responsabili e generosi, per sviluppare un lavoro pastorale innovativo e adatto ai tempi con i ragazzi e con le forme nuove di povertà ed ingiustizia.

In estrema sintesi, pare necessaria una duplice attenzione:

(a) un approccio attento a cercare, ascoltare, riconoscere e potenziare i movimenti profondi, innovativi, evangelici che ci sono nella Chiesa e nella più ampia vita sociale;

(b) lavorare, in tempi medio-lunghi, sulla formazione seria – non in modi anacronistici e improvvisati – delle giovani generazioni.

Senza questo duplice lavoro tra pochi anni rischiamo di trovarci ancor più ossificati e senza giovani e adulti che possano prendere responsabilmente in mano le cose.