Rimini, coppia di coniugi nominata alla guida di una parrocchia senza prete: è la prima volta. La scelta del vescovo per la crisi di vocazioni

Una coppia di coniugi per la prima volta alla guida di una parrocchia rimasta senza prete. Lo ha deciso il vescovo di Rimini, monsignor Francesco Lambiasi, per sopperire alla mancanza di clero che ha colpito anche la sua diocesi. Dopo la partenza di don Angelo Rubaconti, attualmente in un periodo di riposo e riflessione, monsignor Lambiasi ha nominato il diacono Davide Carroli e la moglie Cinzia Bertuccioli quali referenti pastorali della parrocchia dei Santi Biagio ed Erasmo di Misano Monte e collaboratori di don Giuseppe Vaccarini e don Roberto Zangheri nell’animazione dell’unità pastorale che unisce le parrocchie di Misano Adriatico, Misano Monte, Scacciano e Villaggio Argentina.

Una decisione analoga è stata presa, nel 2018, nella diocesi di Papa Francesco, ovvero Roma, dal cardinale vicario Angelo De Donatis. Il porporato, infatti, ha affidato la parrocchia di San Stanislao, nella zona di Cinecittà, alla cura di un diacono sposato, Andrea Sartori. Quest’ultimo si è trasferito nella canonica con la moglie Laura e i loro quattro figli. Ma, a differenza di Rimini dove il vescovo ha dato l’incarico alla coppia di coniugi, a Roma il cardinale De Donatis ha nominato soltanto il marito diacono e non anche la moglie.

Il porporato ha spiegato la sua decisione, che ha destato non poche polemiche, affermando che “San Stanislao vive una speciale vocazione che è quella di diventare una diaconia: una comunità cristiana che, in sinergia con le parrocchie del territorio della prefettura, diventa uno spazio di accoglienza e di accompagnamento dei poveri e delle persone ferite e sole, in vista del loro sviluppo umano integrale. L’idea che c’è dietro è quella di recuperare una prassi antica della Chiesa, che prevedeva il sorgere di diaconie a fianco alle parrocchie, per il servizio dei poveri del territorio. A Roma ne è documentata l’esistenza fin dal VII secolo”.

Il problema della mancanza di clero è da tempo all’ordine del giorno nella Chiesa cattolica. Se ne è discusso in modo molto approfondito durante il Sinodo dei vescovi sull’Amazzonia che si è tenuto nel 2019 in Vaticano. Alla vigilia dell’assemblea, l’ipotesi più accreditata era quella di ordinare sacerdoti uomini sposati, i cosiddetti “viri probati”. “Una delle cose principali da ascoltare – afferma il documento preparatorio di quel Sinodo – è il gemito di migliaia di comunità private dell’Eucaristia domenicale per lunghi periodi”. Ciò si rende necessario soprattutto in quei Paesi dove il calo di vocazioni è talmente alto da non consentire ai pochi preti presenti sul territorio di raggiungere tutti i fedeli con una certa assiduità, almeno per garantire i sacramenti e la messa domenicale.

Il Sinodo, però, ha scelto a larga maggioranza un’altra strada: la possibilità per i diaconi permanenti, ovvero uomini sposati che hanno ricevuto il primo grado dell’ordine sacro, di essere ordinati sacerdoti. Da sottolineare che sia nella diocesi di Roma che in quella di Rimini sono stati nominati proprio due diaconi per guidare le rispettive parrocchie. “Considerando – si legge nel documento finale dell’assemblea sinodale – che la legittima diversità non nuoce alla comunione e all’unità della Chiesa, ma la manifesta e la serve, come testimonia la pluralità dei riti e delle discipline esistenti, proponiamo di stabilire criteri e disposizioni da parte dell’autorità competente, nel quadro della Lumen gentium 26, per ordinare sacerdoti uomini idonei e riconosciuti della comunità, che abbiano un diaconato permanente fecondo e ricevano una formazione adeguata per il presbiterato, potendo avere una famiglia legittimamente costituita e stabile, per sostenere la vita della comunità cristiana attraverso la predicazione della parola e la celebrazione dei sacramenti nelle zone più remote della regione amazzonica. A questo proposito, alcuni si sono espressi a favore di un approccio universale all’argomento”.

Bergoglio, però, almeno per il momento, ha chiuso questa strada non mettendo in atto quanto proposto dal Sinodo dei vescovi sull’Amazzonia. Una possibilità, quella di ordinare preti alcuni diaconi sposati, non ipotizzata solo per quella vasta regione del pianeta, ma anche per altre realtà, per esempio europee, dove la mancanza di clero è un problema serio. Da tempo l’episcopato tedesco si interroga sulla scarsità di vocazioni. Nel suo ultimo libro, La Chiesa brucia, Andrea Riccardi, storico e fondatore della Comunità di Sant’Egidio, sottolinea che “la crisi del cristianesimo interpella i cattolici e la classe dirigente della Chiesa. Nella gestione immediata delle difficoltà, specie dovute alla mancanza di personale ecclesiastico, i vescovi prendono provvedimenti quali l’accorpamento delle parrocchie o la loro soppressione”.

Lo stesso Francesco, parlando alla Cei nel 2018, ha evidenziato questo problema: “La prima cosa che mi preoccupa è la crisi delle vocazioni. È la nostra paternità quella che è in gioco qui! Di questa preoccupazione, anzi, di questa emorragia di vocazioni, ho parlato spiegando che si tratta del frutto avvelenato della cultura del provvisorio, del relativismo e della dittatura del denaro, che allontanano i giovani dalla vita consacrata; accanto, certamente, alla tragica diminuzione delle nascite, questo ‘inverno demografico’; nonché agli scandali e alla testimonianza tiepida. Quanti seminari, chiese e monasteri e conventi saranno chiusi nei prossimi anni per la mancanza di vocazioni? Dio lo sa. È triste vedere questa terra, che è stata per lunghi secoli fertile e generosa nel donare missionari, suore, sacerdoti pieni di zelo apostolico, insieme al vecchio continente entrare in una sterilità vocazionale senza cercare rimedi efficaci. Io credo che li cerca, ma non riusciamo a trovarli!”.

Ai vescovi della Penisola, il Papa ha proposto “una più concreta e generosa condivisione fidei donum tra le diocesi italiane, che certamente arricchirebbe tutte le diocesi che donano e quelle che ricevono, rafforzando nei cuori del clero e dei fedeli il sensus ecclesiae e il sensus fidei. Voi vedete, se potete. Fare uno scambio di sacerdoti fidei donum da una diocesi a un’altra. Penso a qualche diocesi del Piemonte: c’è un’aridità grande. E penso alla Puglia, dove c’è una sovrabbondanza. Pensate, una creatività bella: un sistema fidei donum dentro l’Italia. Qualcuno sorride. Ma vediamo se siete capaci di fare questo”. Una proposta concreta che, però, finora è rimasta lettera morta. Con il rischio che, se non si interviene rapidamente per risolvere questo problema, diverse parrocchie si troveranno molto presto senza guida.

Il Fatto