Rifiuti, 433mila tonnellate all’estero. E costano 86 milioni

Ogni anno 433mila tonnellate di rifiuti prodotti in Italia prendono la strada dell’estero. La destinazione preferita? Austria e Ungheria. Succede perché nel nostro Paese mancano impianti di trattamento adeguati e perché la raccolta differenziata, sia pur molto cresciuta negli ultimi dieci anni, avanza a diverse velocità, con il Sud ancora molto indietro rispetto al Nord. Il risultato è che ogni tonnellata in viaggio oltreconfine, su tir, treno o nave, «costa per trasporto e smaltimento fino a 200 euro, a seconda delle varie gare europee » spiega Stefano Ciafani, direttore generale di Legambiente.

Il totale è presto fatto: oltre 86 milioni in un anno. «Con una differenza sostanziale rispetto al passato: una volta l’approdo era il Nord Europa, in Paesi dove i controlli erano ferrei. Oggi la direzione dell’Europa centro-orientale è assai meno rassicurante: i materiali possono infatti finire in discariche di dubbia qualità, aumentando i rischi ambientali per i territori che li ospitano».

La follia dei trasporti di rifiuti in giro per l’Italia e per il Vecchio continente è stata fotografata ieri dal rapporto Ispra e sembra assumere ormai contorni paradossali. I numeri diffusi dall’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale dicono che l’export ha ormai doppiato l’import, fermo a 208mila tonnellate.

Il peso delle lobby e i pochi impianti

Prendiamo il caso di Roma: ogni giorno escono dalla Capitale 170 Tir in direzione delle regioni settentrionali. Obiettivo: smaltire i rifiuti che restano bloccati nei cassonetti, «perché mancano gli impianti per trattare il materiale organico in questa metropoli e perché la lobby di chi dice no a tutto, a partire dal biogas, è più forte di qualsiasi ragionamento politico».

Quel che accade nella Città Eterna vale da monito per il resto d’Italia. A seconda di come operano famiglie, enti locali e industria, infatti, c’è la possibilità di incontrare un Paese virtuoso oppure no, un insieme di buone pratiche o l’emergenza, segnali di cultura ecologica o danni all’ecosistema. Quel che è certo è che nel 2016 sono diminuite sia le discariche attive che i rifiuti in esse conferiti. «La scarsa dotazione impiantistica – sottolinea il rapporto Ispra – fa sì che in molti contesti territoriali si assista ad un trasferimento dei rifiuti raccolti o sottoposti a trattamento biologico in altre regioni o all’estero, dove la capacità di trattamento risulta superiore ai fabbisogni». A livello nazionale, il materiale smaltito in discarica è diminuito del 5% rispetto al 2015, con un crollo del 13% nelle regioni del Nord e il coinvolgimento di 134 siti nello smaltimento del circuito urbano, 15 in meno rispetto a dodici mesi prima.

«Ciò significa che sta avvenendo contemporaneamente un aumento della raccolta differenziata da una parte e un avvio al riciclo dall’altra – osserva Ciafani –. L’operazione da fare è semplice: deve salire ulteriormente il livello e la qualità della raccolta differenziata, così da poter fare a meno delle discariche».

L’ostacolo della burocrazia

Le buone notizie arrivano dal Centro Nord, con Treviso (87,9%) Mantova (86,4%) e Pordenone (82,3%) a quote ben superiori di raccolta differenziata da quella già ottimale fissata per legge al 65%. Ma esempi positivi riguardano anche Sardegna e Campania, eccezion fatta per Napoli. «I ‘bubboni’ sono rappresentati da Roma, dalla Calabria e dalla Sicilia. Il nodo da affrontare è chiaro – dice il direttore scientifico di Legambiente –. Chi dice ‘rifiuti zero’ sia coerente e proponga nello stesso tempo ‘impianti mille’, per il riciclo dell’organico differenziato con nuove tecnologie in grado di produrre biometano».

Il problema non è solo l’assenza di infrastrutture di smaltimento ad hoc, ma anche la mancanza di decreti attuativi e autorizzazioni regionali. La burocrazia è il primo ostacolo all’economia circolare e fa il gioco di tante lobby invisibili. L’elenco è lungo e comprende chi controlla raffinerie, impianti di gas fossile, cave. Persino i produttori di cassonetti, «la prima cosa che Virginia Raggi dovrebbe avere il coraggio di eliminare a Roma» dice Ciafani. Serve più pragmatismo e meno ideologia, insomma, anche perché i risultati ci sono: in dieci anni la raccolta differenziata nazionale è raddoppiata, passando dal 25,8% al 52,5%.

Avvenire