Reggio Emilia e Locri: un’alleanza antimafia

S trano manifestare contro le ’ ndrine in questa ricca città di provincia, che guarda l’Appennino del Cerreto innevato. Ma la civilissima e paciosa Reggio Emilia da quasi 30 anni è infettata da almeno tre cosche della ’ ndrangheta ionica, due di Cutro e una di Isola di Capo Rizzuto. Che considerano la città padana un salvadanaio da cui prelevare con le estorsioni agli imprenditori edili, vi riciclano soldi illeciti e vendono droga nel più florido mercato di stupefacenti della regione. I cutresi hanno persino combattuto una faida tra la via Emilia e lo Ionio.
  Come ha confermato pochi giorni fa l’osservatorio socio economico del Cnel, dal Po a Cattolica sono stati infatti confiscati 64 beni e 22 aziende alle ’ ndrine. L’Emilia è terza in Italia con il 5% della ricchezza rubata dal pizzo. L’allarme è stato lanciato ieri da un gruppo di cittadini reggiani, principalmente provenienti dalle parrocchie e dall’associazionismo, che hanno organizzato fino a lunedì una manifestazione antimafia con le cooperative sociale del consorzio Goel di Locri. A Reggio hanno fondato Colore, coordinamento Locride- Reggio e un osservatorio civico. Con loro la municipalità reggiana, alcune amministrazioni comunali, i sindacati, soggetti economici.
  La prima richiesta è più informazione. « A Reggio ­scrivono qui venivano decisi a Cutro o di fronte alle acque cristalline di Isola, le richieste di denaro comunicate alle vittime al cellulare. La riscossione avveniva inviando picciotti al cantiere o in negozio. Bastava un cenno ai familiari in Calabria per trovare pronti i contanti. La comunità calabrese di Reggio Emilia, 5000 persone in città e 8000 in provincia, ha subito le vessazioni dei Dragone fino al 10 maggio 2004, quando il vecchio boss venne ucciso dai Grande Aracri e tra Reggio Emilia e Cutro si combattè una guerra per impadronirsi anche del tesoretto reggiano. I Dragone sono stati sgominati dal pm della Dda di Catanzaro Sandro Dolce. Un anno fa in primo grado sono state condannate le ultime leve del clan. I Grande Aracri, nuovi padroni, sono più moderni, alleati ai Nirta di San Luca per l’acquisto a Milano della coca poi smerciata tra Modena e Reggio. Con loro arrivano i Micoscia di Isola di Capo Rizzuto che preferiscono investire in immobili nella provincia reggiana. Siamo ai nostri giorni, agli arresti del novembre scorso tra cui quello di Michele, figlio di Franco Pugliese, il presunto boss vicino alle cosche di Isola, fotografato con il senatore Di Girolamo. Oggi gli inquirenti definiscono la situazione reggiana ‘ complessa’. Non solo estorsioni, sotto accusa i trasporti, lo smaltimento rifiuti e lo sfruttamento di manodopera italiana e straniera nei cantieri con le protezioni dei clan. E sospetti di connivenza su alcuni imprenditori edili di origine cutrese, nei quali gli inquirenti rilevano atteggiamenti perlomeno omertosi. « Però ­aggiunge Ciconte – . qui le ’ ndrine non riescono a controllare il territorio perché il tessuto è sano. Le prime vittime sono i cutresi » . Ieri Colore ha chiesto chiarezza agli operatori economici. A Reggio sarebbe in atto un salto di qualità. In grisaglie e 24 ore, la ’ ndrangheta fornisce capitali freschi a esercizi e imprese in difficoltà per rilevarli e acquista palazzi. Il passo successivo sono politica e appalti. Bisogna tenere accesa la luce con i tanti calabresi onesti di Reggio Emilia.
 L’allarme di un gruppo di cittadini: nella nostra regione il 5 per cento della ricchezza rubata dal pizzo (avvenire 28/2/2010)