Quella carezza per noi ultimi…

di Francesca Lozito | 28 marzo 2013
«L’uomo vestito di bianco, voi non lo capite ancora, ma vi sta facendo un invito. Vi sta dando una opportunità. Sta a voi coglierla»
vinonuovo.it

Ci vedete da lì. Non potete toccarci, perché siamo separati da uno schermo. Ma a chilometri di distanza ci vedete da lì. Siamo lo scarto, siamo quelli venuti male. I disgraziati della terra. Quelli che magari ci staranno meno di voi. Sulla terra. Siamo disabili per i politicaly correct. Storpi, ciechi, malati di cancro. Distrofici, senza gambe o senza braccia. Ci vedete da lì, e sarebbe un vedere e basta. Un dolore esibito dice qualcuno, per non toccarlo con mano. Invece quest’uomo vestito di bianco ci tocca. Non ci benedice in modo freddo e formale. No. Sentiamo la sua carezza tenera, da papà. A volte ci sembra quasi che sia lui ad avere bisogno di noi. E non è un bisogno di comodo, no. Non ci usa, non ci cerca per far vedere quanto e bravo. Non ne ha bisogno. Il tocco dell’uomo vestito di bianco è una storia lontana. È l’amore che sta lì, proprio dove tutto ti farebbe dire il contrario. L’amore che vince dove sei autorizzato a dire «perché a me, perché io». È Giobbe.
È noi.
Ci portano in questa piazza da ogni parte del mondo. E «quella bianca tenerezza» non ci farà guarire nel corpo, ma renderà più lieve il nostro passaggio sulla terra degli uomini. E meno pesante il giogo dei nostri cari.
Ma nelle vostre vite non possiamo rimanere solo un passaggio sullo schermo.
L’uomo vestito di bianco, voi non lo capite ancora, ma vi sta facendo un invito. Vi sta dando una opportunità. Sta a voi coglierla.
Aprite il vostro cuore, allargate le porte di ingresso delle vostre parrocchie. Smettetela di perdere tempo in vuoti formalismi, in una fredda cultura del fare. Cambiate il linguaggio. Abbandonatevi a gesti di tenerezza.
Lasciate entrare anche noi. Toccateci. Senza timore.
Perché non vi spaventi il pianto che sgorga dai vostri occhi tutte le volte che vedete quest’uomo farci una carezza: è solo l’umano bisogno, che per troppo tempo avete nascosto anche a voi stessi, di abbandonare le tante parole, troppo spesso inutili, che abbiamo detto sul dolore. È il bisogno di sentire prima di dire.
Il bisogno di vivere.