Quarto, onora il padre e la madre

di: Vinicio Albanesi

Tale comandamento era lineare nella famiglia patriarcale dove due o tre generazioni vivevano nella stessa casa e condividevano gli stessi beni. I nonni, i genitori, i figli, gli zii e le zie erano una catena che funzionava, con atteggiamenti comportamentali, decisionali e affettivi precisi.

Prevalevano i contenuti e l’autorità. Ai più piccoli venivano inculcati pochi e rigidi principi. Ad essi occorreva adeguarsi, non essendoci alternative. L’isolamento e il controllo sociale funzionavano: il piccolo/la piccola venivano cresciuti in uno schema pedagogico rigido e ineluttabile. Scarseggiava la dimensione affettiva, perché era ritenuta marginale rispetto alla “vera” crescita nella vita.

La situazione familiare oggi è cambiata e lo stesso quarto comandamento va rimodulato sulle composizioni delle famiglie, diverse – almeno in occidente – dallo schema antico.

La famiglia è cambiata

Intanto, onorare il padre e la madre presuppone che ci siano figli e figlie nati da genitori che li accudiscono. La composizione delle famiglie è talmente cambiata che esistono seri dubbi che i genitori siano onorati, per il semplice motivo che molti adulti non li hanno.

I dati ufficiali (ISTAT) dicono che i nati vivi sono passati da 473.438 (2016) a 458.151 (2017). Il tasso di fecondità totale nel 2016 scende ancora, attestandosi su 1,34 figli in media per donna.

Nel 2017 il numero dei decessi è aumentato e ha raggiunto le 649.061 unità, 33.800 in più rispetto all’anno precedente. La speranza di vita alla nascita (vita media) presenta una battuta d’arresto attestandosi a 80,6 anni per i maschi e a 84,9 per le femmine. L’insieme di queste dinamiche rendono l’Italia uno dei paesi più vecchi al mondo, con 168,9 persone con 65 anni (e oltre) ogni cento persone con meno di 15 anni al 1° gennaio 2018.

Nell’arco di vent’anni il numero medio di componenti in famiglia è sceso da 2,7 (media 1996-1997) a 2,4 (media 2016-2017). Sono progressivamente aumentate le famiglie unipersonali (dal 20,8% al 31,9%) e si sono gradualmente ridotte le famiglie di cinque o più componenti (dal 7,9% al 5,3%).

La famiglia moderna, di fatto, vive insieme una ventina d’anni. Dalla nascita della prole, fino alla maggiore età, dopo di che, (per studi e per lavoro), ognuno seguirà la propria strada. Dai più piccoli villaggi del nostro paese i giovani partono per l’Europa e per il mondo.

L’onore dovuto ai genitori si riduce alle memorie infantili.

Quinto comandamento

Pochi nuclei utilizzeranno i nonni magari come custodi di nipoti, perché i genitori sono a lavoro. Si incontrano infatti – al mattino soprattutto – nonni e nonne che accudiscono il piccolo o la piccola.

Le dinamiche di relazione tra genitori e figli di queste famiglie sono anch’esse cambiate. Fino ai quattordici anni, i genitori seguono ogni dettaglio della vita del figlio/a. Pensano, provvedono e si adoperano perché nulla manchi loro.

Li difendono, li approvano e, in qualche modo, si pongono nei loro panni avendo timore di imporre le proprie idee e convinzioni. Rimane l’autorità affettiva e non quella dei contenuti.

Punti di riferimento

Ma i fanciulli e gli adolescenti non hanno riferimenti solo con i genitori: hanno il confronto con i loro pari e, soprattutto, affrontano il mondo con gli strumenti virtuali. Hanno canali in rete, televisioni, siti, incontri riservati. Strano a dirsi, ma vivono da soli. Il cortocircuito con i genitori si fa difficile e non sempre è gestito adeguatamente.

I contenuti valoriali ondeggiano: né sempre prevalgono quelli genitoriali. Anche perché gli stessi genitori, oggi 30-40enni, non sono più figli di quella generazione patriarcale che aveva poche e rigide regole. I genitori stessi hanno fatto sintesi proprie, né sempre concordanti tra coniugi.

Il risultato è abbastanza confuso. Ogni ragazzo-ragazza segue la sua strada. Non necessariamente negativa; è difficile però stabilire a priori la via giusta che seguirà. Può imboccare strade che portano all’equilibrio, oppure rimanere senza arte e né parte, o addirittura perdersi.

Di fronte ai primi problemi non si comprende nemmeno l’approccio e il linguaggio tra genitori-figli. Rimangono solo le relazioni affettive: se sono state positive, il legame rimane e perdura nel tempo; se negative, si va verso l’indifferenza.

L’assurdo consiste nel fatto che, pur avendo maggiori possibilità di movimento e di contatti, le relazioni in famiglia si assottigliano.

Quando poi, nella crescita adolescenziale, appare qualche problema, è una tragedia. Non esistono esperti, punti di riferimento, dialoghi per aiutare i genitori e il figlio/a di fronte al disagio. Non si riesce a comprendere se si tratta di una crisi di crescita, un periodo di transizione, una trasgressione, un innesto di sofferenza psicologica o psichiatrica. Le stesse scienze biologiche e sociali brancolano nel buio. I gruppi classici di aggregazione, quali l’oratorio, il gruppo sportivo, quello artistico o musicale non sono sufficienti ad affrontare, figurarsi a risolvere, le difficoltà.

Diventare anziani

Nelle incertezza della crescita, i figli e le figlie spesso vivranno lontani, per lavoro, per emigrazione, per una vita indipendente.

Il babbo e la mamma si ritrovano soli, magari ascoltando la prole per telefono, via skype o con videochiamate, senza averli accanto.

Ma se, disgraziatamente, il genitore ha necessità di essere accudito, solo l’enorme ondata di badanti/badante si occuperà di lui.

Quinto comandamento

L’affidamento a terze mani, tramite manodopera ancora a basso prezzo, si occuperà dell’amato genitore. È facile comprendere l’anaffettività di una tale soluzione. Per questo motivo i genitori rimasti soli non vogliono “nessuno in casa”. Non è solo gelosia per le proprie cose o paura di essere derubati e maltrattati, ma la richiesta di una presenza che non ci sarà.

Peggio ancora se l’affidamento è a un istituto “per anziani”: per quanto bello, rappresenta l’inizio della fine.

Si completa così il meccanismo infernale di una società che ha corso verso il benessere – che ha pure ottenuto – creando sofferenza.

Le seconde nozze

Esistono altre situazioni problematiche. Sono le seconde nozze. I dati dicono che l’aumento dell’instabilità coniugale contribuisce alla diffusione delle seconde nozze e delle famiglie ricostituite composte da almeno una persona sposata. Cresce, infatti, progressivamente la quota di matrimoni in cui almeno uno sposo è stato già unito in matrimonio: nel 2018 il 19,9% dei matrimoni riguarda almeno uno sposo alle seconde nozze (o successive), nel 2008 era il 13,8%. La tipologia più frequente tra i matrimoni successivi al primo è quella in cui lo sposo è divorziato e la sposa è nubile (6,9%); a seguire vi sono le celebrazioni in cui è la sposa a essere divorziata e lo sposo è celibe (5,5% del totale) e quelle in cui entrambi gli sposi sono divorziati (5,4%).

Meraviglia l’età media degli sposi al secondo matrimonio. Quella degli sposi, precedentemente vedovi, è passata da 61,2 anni a 67,9, e quella delle spose, precedentemente vedove, da 48,4 anni a 51,0. Analoga tendenza per gli sposi divorziati: questi ultimi hanno in media 55 anni e le spose già divorziate 47,3 anni.

Di fronte a tali situazioni l’atteggiamento più gentile di un figlio/a parla di “compagna del babbo” o “compagno della mamma”. Il massimo che si possa ottenere è un’indifferenza verso “i nuovi intrusi” che non appartengono alla famiglia. Se poi il genitore risposato è stato causa della separazione e del divorzio, quel genitore per il figlio/a è già morto.

La via maestra della felicità

Il quarto comandamento che esorta a dare “onore al padre e alla madre”, è diventato più complesso e le trasgressioni forse sono meno colpevoli.

Esaminando le condizioni delle famiglie, è facile ripensare alla concezione della famiglia cristiana, una e indissolubile. All’apparenza sembra un’imposizione e una privazione della libertà. In realtà, è la via maestra della felicità. Infatti, se si assume la visione dei figli, ogni separazione dei genitori è un trauma. Essi chiedono che i genitori siano uniti, rispettosi, concordi. Se non è possibile, i primi a soffrirne sono loro, anche se, per sopravvivenza, si adattano.

Un adattamento, le cui conseguenze non conosciamo. Sicuramente li privano di una presenza e di una sicurezza che non sono frutto di sovrastrutture, di imposizioni repressive, ma il risultato della natura. Se un figlio nasce da un padre e da una madre è perché così è stato stabilito. Indebolire questa impostazione agevola il genitore, ma mette in difficoltà la prole.

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