Quale senso potrebbe avere per la Chiesa una maggiore presenza nei luoghi laici di aggregazione giovanile (piazze, pub, discoteche…)? E secondo quali modalità? Le risposte di due giovani educatori

Il nostro cammino di avvicinamento al Sinodo incontra il tema della presenza della Chiesa nei luoghi non propriamente ecclesiali: che stile, che modo, che senso ha una presenza della comunità cristiana “fuori dal recinto” propriamente inteso?

Siamo partiti dall’interno: abbiamo rivolto le nostre domande a due ragazzi impegnati attivamente nella vita di fede. Maura Crepaldi, 29 anni, psicologa ed educatrice di un gruppo di 18enni in una parrocchia della periferia milanese, e Andrea Mobiglia, 25 anni, aderente al movimento di Comunione e Liberazione, studente di economia all’Università Cattolica di Milano.

Ecco le risposte di Maura e Andrea, che ringraziamo per la disponibilità

1) Quale senso potrebbe avere per la Chiesa essere presente nei luoghi laici di maggior aggregazione giovanile (piazze, pub, discoteche, etc.)? E secondo quali modalità?

Andrea

Credo che la chiesa, intesa come comunità cristiana, sia già presente nei luoghi di maggiore aggregazione; molti giovani che frequentano tali luoghi sono infatti cristiani, certo non tutti, e magari in alcuni luoghi sono solo una piccola parte, ma ci sono, nelle discoteche, nei pub, nelle piazze. La questione diventa allora di un altro tipo, cioè educare i cristiani (i giovani in questo caso) a verificare la pertinenza della fede in ogni ambito che vivono, infatti solo partendo dall’educazione si genereranno persone “diverse” e per questo testimoni di una vita viva. L’educare alla fede, alla familiarità con Gesù, è l’unico modo per generare cristiani vivi. E se una persona è viva si riconosce dal suo modo di porsi, dai suoi atteggiamenti, dalle parole, dai gesti, dalla sua bellezza e dalla sua sete di vita, testimoniando agli altri un modo più bello di stare davanti alle cose (le stesse che sono sotto gli occhi di tutti). Ai giovani non cristiani frequentatori delle stesse discoteche, dei pub e delle piazze non rimarrà altro da fare che guardare questi testimoni e interrogarsi, non sul perché loro sì e io no, ma sul cosa fare: stare a guardare o conoscerli? Questa risposta, mi preme sottolinearlo, non è dovuta a un problema organizzativo a cui si tenta di dare una soluzione, ma tenta di andare al cuore stesso della ragione per cui c’è la Chiesa: per rispondere alle esigenze ultime del cuore dell’uomo testimoniando l’incontro con Cristo.

Si possono certamente pensare a strutture o catechesi negli stessi luoghi, ma sono convinto che una conversione avvenga attraverso la testimonianza di una vita più bella piuttosto che da soluzioni all’esigenza di una presenza organizzata in strutture. Cosa diversa dalle strutture, infatti è un altro tipo di testimonianza, a mio parere molto bella o quanto meno interessante, è l’esperienza delle sentinelle del mattino (che non ho mai avuto l’opportunità di fare e che cito solo in quanto ho conosciuto dei ragazzi che l’hanno fatta).

Maura

Penso che la Chiesa, in quanto insieme di persone mosse da un desiderio comune di compiersi totalmente come uomini e donne, sia presente anche nei luoghi laici di aggregazione; non credo si possa fare una distinzione netta tra “Qui c’è la Chiesa” e “Qui non c’è la Chiesa”, in quanto questa non è una struttura solida, fissa e replicabile asetticamente, ma un’esperienza attiva e viva di persone che ha a che fare con un modo bello e profondo di vedere e vivere la realtà data interrogandosi sulle circostanze incontrate.

La domanda che possiamo porci è: come posso io cristiano affascinare chi mi sta attorno tanto da chiedersi il perché di tanta letizia? E come questo può essere visibile nel quotidiano, nei gesti che ognuno di noi compie ogni giorno (anche in discoteca) e non solo perché va Messa?

Penso che la difficoltà maggiore ora, soprattutto tra i giovani cristiani, sia proprio quella di affascinare, di attirare, di vivere in modo che gli altri guardando dicano “Anche io voglio essere felice così”. Ma ne siamo capaci? Ne siamo convinti? Solo così l’essere cristiano diventa “conveniente”, se riusciamo a capire che fa bene all’uomo, che investe tutto ciò che egli vive, comprese le piazze, le discoteche e i pub.

2) Dato che questi spazi sono luoghi d’intrattenimento spensierato, privi di grandi problematiche – tantomeno relative alla fede -, la Chiesa non corre il rischio di rendersi ridicola o di intimorire inutilmente?

Maura

Non penso che vivere secondo la Chiesa e seguire Cristo possa mai risultare ridicolo, né tantomeno intimorire. Penso invece possa essere un arricchimento proprio perché questa appartenenza ha a che fare con un modo di vivere la realtà che non si allontana dal reale e che cerca di affrontare ogni cosa che si vive con una coscienza consapevole e maggiore, con un domandarsi continuamente come le circostanze che uno vive abbiano a che fare con la propria crescita. La Chiesa in questo caso può portare un modo diverso di vivere a pieno anche questi momenti di intrattenimento in modo che possano lasciare qualcosa nei ragazzi che altrimenti corrono il rischio di viverli in maniera superficiale

Andrea

Se torniamo al discorso delle strutture più che intimorire o rendersi ricoli, sarà una presenza che non toccherà il cuore di nessuno. Per questo sostengo che l’unico modo per la Chiesa (struttura e comunità) è quello di essere se stessa: testimoniare Gesù Cristo negli ambiti in cui si trova, come si trova. Per fare un esempio concreto, può essere semplicemente un giovane che chiede a un altro di non bestemmiare perché è cristiano, oppure accompagnare a casa un ragazzo ubriaco abbandonato al bar dagli amici (ho un amico che ha fatto questo e da lì, solo da lì, da un incontro, è nato un dialogo).

 

3) A tuo parere, anche i luoghi ecclesiali di maggior aggregazione giovanile (scout, oratori, volontariato, etc.) sono spazi di svago e di divertimento ricreativo, nei quali si corre il rischio di porre la fede in secondo piano o di umanizzarla eccessivamente?

Andrea

Il rischio c’è, mi sembra evidente. Faccio un esempio relativo al volontariato. Qualche mese fa abbiamo fatto lacolletta alimentare con i ragazzi dell’oratorio (13-18 anni); prima di iniziare li abbiamo invitati a guardare quello che succede, a guardare la gratuità con cui la gente dona, a rendersi conto che quella giornata sarebbe stata totalmente un dono. Abbiamo anche sottolineato che loro non avrebbero fatto felice nessuno, dovevano solo raccogliere il dono degli altri e metterlo in alcuni scatoloni. Proprio questa “inutilità”, dicevamo loro, può essere d’aiuto per renderci conto di cosa succede nella mia vita, di cosa succede oggi, qui, ora! Non cito questo per dire che siamo stati bravi, ma perché sia chiaro quello che dico: davanti alla proposta della colletta alimentare uno può tornare a casa pensando solo al fatto che si è divertito e finisce lì. Oppure può tornare a casa con una semplice domanda: cosa è successo oggi? O anche: cosa succede nella mia vita? Cosa dice questa giornata alla mia vita? La proposta è la stessa, il tornare a casa è diverso. Come mai? Credo che per non ridurre tutto a uno sforzo volontaristico (cito questo in quanto ne stiamo parlando ma potremmo dire la stessa cosa per oratori, scout, associazioni, movimenti) serva l’incontro con una persona che abbia vissuto qualcosa di più grande di quello che appare.

Maura

Potrebbe esserci questo rischio, ma penso dipenda molto dal modo in cui le esperienze vengono presentate e vissute. Sabato siamo andati al palaghiaccio con una cinquantina di adolescenti e giovani: vivere questa esperienza con una coscienza di appartenenza e di familiarità bella sicuramente può fare la differenza; riprendere insieme il perché siamo insieme, cosa mi ha colpito della serata, porsi alcune domande, magari aiutati da qualcuno di più grande o da una guida, sicuramente aiuta a rimettere a tema ciò che si è vissuto, anche una semplice pattinata, e fare in modo che questa esperienza lasci il segno e non diventi semplicemente qualcosa di bello il cui ricordo scema in fretta.

 

4) Qual è il giusto equilibrio che deve mantenere la Chiesa tra richiesta e attesa di una vita di fede nei giovani? Tra presenza evidente o soffusa di elementi e simbologie religiose?

Maura

Penso che questa sia una sfida soprattutto tra i giovani: riuscire a far capire attraverso un’esperienza di vita e non in modo puramente teorico che vale la pena un’appartenenza alla Chiesa non è facile. Il salto che la Chiesa dovrebbe aiutare a compiere è il passaggio dall’«aderisco e seguo perché ho preso l’impegno di farlo», che a lungo andare non tiene più e che porta ad un moralismo sterile, al «aderisco e seguo perché capisco che mi fa bene e che mi aiuta». Solo così si può aiutare i giovani a vivere un cristianesimo pieno e vivo.

Andrea

Educare alla fede, rispondere quindi all’attesa del cuore di ogni uomo (in questo caso i giovani) è il compito della Chiesa; certamente l’incontro cristiano è totalizzante, nel senso che non si può chiedere di aderire a certe cose piuttosto che ad altre, o essere cristiani a volte sì a volte no: è un incontro che tocca tutta la vita. È un’esperienza, una vita, che chiede tutto. Più che di equilibrio parlerei quindi di un accompagnamento nella vita dei giovani, perché non stiamo parlando di un testo da imparare e ripetere, ma stiamo parlando di una vita sempre in movimento.

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