Proposta realistica: “Chiudere tutto per almeno un mese”

Dopo aver urlato contro la zona rossa, dopo aver accusato il governo di poca chiarezza nei criteri utilizzati per dividere l’Italia in tre fasce, ora le Regioni corrono ai ripari potenziando i posti letto negli ospedali, lanciando allarmi e invitando i cittadini, anche quelli che si trovano in zona gialla, a comportarsi come se ci fosse già il lockdown. I dati del ministero della Salute – anche oggi un nuovo record, con quasi 38mila casi, 446 morti e 500mila malati – sono d’altronde lì a dimostrare che la crescita dei contagi non ha ancora rallentato a sufficienza e che c’è bisogno di “raffreddare la curva” per non far saltare l’intero sistema sanitario, come ripetono da giorni gli scienziati e gli esperti.

Non solo. Nelle prossime ore dovrebbe essere disponibile il nuovo monitoraggio settimanale della cabina di regia, quello relativo al periodo 26 ottobre – 1 novembre, che poi sarà condiviso nella riunione degli esperti del Comitato tecnico scientifico. E non è affatto escluso che alla luce dei dati e degli indici scattino nuove chiusure. Con regioni che ora si trovano nella fascia più bassa, quella gialla, che potrebbero diventare arancioni o, addirittura, rosse, come nel caso della provincia di Bolzano che però ha già autonomamente chiuso tutto. A rischio ci sono almeno quattro Regioni: la Campania innanzitutto, con il consulente del ministro della Salute Walter Ricciardi che è tornato a chiedere il lockdown per Napoli: “già 2-3 settimane fa avevo detto che andava chiusa. L’area metropolitana di Napoli è un’area a rischio, dunque ci vorrebbe un lockdown, perché i dati sono addirittura peggiorati”. Ma ci sono anche il Veneto, la Liguria e la Toscana mentre il Lazio e la provincia di Trento sarebbero ancora in bilico perché hanno una situazione migliore rispetto alle altre. Se qualcuna di queste dovesse passare nella fascia arancione, il ministro della Salute Roberto Speranza, sentiti i governatori interessati, dovrà predisporre l’ordinanza con la quale scatteranno le restrizioni previste dal Dpcm.

Ed è stato lo stesso Speranza, nell’informativa in Parlamento a ribadire che “la via della precauzione” è una “via obbligata: non c’è altra strada”. Per questo ha difeso nuovamente le scelte del governo. “Non capovolgiamo la realtà, non ci muoviamo con alcun spirito punitivo. Andiamo oltre inutili polemiche, tutti dobbiamo trarre una lezione tanto evidente quanto amara: senza consistenti limitazioni dei movimenti e rispetto delle regole la convivenza con il virus è destinata ad un clamoroso fallimento”. Parole alle quali hanno fatto da sponda quelle del premier Giuseppe Conte, secondo il quale con il Dpcm il governo “non dà schiaffi a nessuno né c’è una deliberata volontà di penalizzare qualcuno”. Piuttosto il Covid è un treno che corre e dunque servono “ulteriori riduttori della velocità altrimenti ci viene addosso”.

A gettare acqua sul fuoco prova anche il presidente della Conferenza delle Regioni Stefano Bonaccini rivendicando “l’importanza della leale collaborazione istituzionale” soprattutto in un momento così grave: “ne siamo tutti consapevoli”. Il perché dei toni più miti va però anche ricercato nelle immagini dei Pronto Soccorso pieni con le barelle in terra, delle file di ambulanze in attesa, dei posti nelle terapie intensive che diminuiscono ogni giorno che passa. Così i governatori corrono ai ripari. Nel Lazio, il presidente e leader del Pd Nicola Zingaretti ha firmato l’ordinanza per portare i posti letto Covid a 5.300 in tutta la Regione (da 2.900) e per rafforzare il personale sanitario con l’arrivo di circa mille specializzandi. Anche la Sardegna potenzia il sistema sanitario, arrivando a 1.006 posti Covid, comprese le terapie intensive mentre dall’altra parte d’Italia, a Treviso, l’azienda Asl cerca infermieri offrendo 30 euro l’ora. Il Veneto, ammette Luca Zaia, è “con mezzo piede già nella fase 4, che vuol dire dare un ulteriore giro di vite. Siamo in una fase di massima turbolenza e tensione negli ospedali”.

Qualcun altro continua invece a chiedere chiusure nazionali. Lo fa il presidente dell’Anci Antonio De Caro a nome dei sindaci, ma solo affinché nei fine settimana siano chiusi non solo i centri commerciali ma anche le grandi strutture di vendita. E lo fa il governatore del Piemonte Alberto Cirio: “servono misure omogenee: Se noi chiudiamo quindici giorni, ma altre regioni non lo fanno, anche vicino a noi, è difficile uscire dalla pandemia”. Posizioni identiche a quelle di Vincenzo De Luca che chiede ai campani “di comportarsi come se fossero in lockdown. Se saremo rigorosi nei comportamenti – aggiunge – vinceremo questa battaglia”. Anche perché, se non la si vince nei prossimi 15 giorni, in Campania e nel resto d’Italia, la soluzione è una sola ed è quella che anche oggi ha prospettato l’ex capo della Protezione Civile Guido Bertolaso, che di gestione delle emergenze qualcosa ne sa. “Chiudere tutto per almeno un mese. Il governo ha scelto giustamente strade diverse, meno traumatiche. Speriamo che portino i frutti sperati”. (ANSA).