PERCHÉ INSISTIAMO COL SERVIRE NELL’IMPEGNO QUESTO PONTIFICATO

Cari Amici,
il Papa è di tutti. Se ci fossero dubbi a tale proposito, lo spettacolo – in senso letterale – che abbiamo visto sistematicamente ripetersi ad ogni incontro con la folla nel corso degli ultimi 110 giorni, dovrebbe fugare qualunque dubbio. Qualunque indugio. Ognuno lo sente Papa per sé e insieme lo reputa il Papa più adatto per la Chiesa di oggi, vocata più che mai a guardare al futuro. Questo – diciamolo ancora una volta, a scanso di pervicaci equivoci – non significa disaffezione rispetto all’emerito Benedetto XVI, radicato nel cuore della gente come immagine della bontà e della mitezza, dell’intelligenza e della pazienza. Semmai sta facendosi strada quello che monsignor Becciu, il sostituto alla Segreteria di Stato vaticana, ha con sagacia evidenziato in una recente intervista, e cioè che l’entusiasmo che circonda papa Francesco è anche dono del sacrificio straordinario del suo predecessore. Ecco perché, come Tv2000, non ci facciamo scrupoli nel ricordare spesso Benedetto XVI, raccolto nel suo dignitosissimo silenzio ma certo non assente dalla vita misteriosa della Chiesa. A fare proprio così ci insegna lo stesso papa Bergoglio che nell’imprimere senza complessi la propria impronta al pontificato romano, non perde occasione – come ancora oggi e domenica scorsa – per evocare papa Ratzinger e la sua grandiosa testimonianza di lealtà e di coraggio. Semmai siamo noi, popolo di Dio a tutti i livelli, che dobbiamo saper accogliere in senso profondo e autentico, senza attenuanti e senza sottili ipocrisie, l’attuale Pontefice. Il che non vuol dire solo applaudirlo o elogiarne alcune scelte, ma amarlo «definitivamente», e nell’amore cercare di capire che cosa Dio, avendoci dato questo successore dell’apostolo Pietro, vuole oggi da noi personalmente e dalla sua Chiesa. Si coglie talora un attendismo e stanno qua e là, quasi inavvertitamente, emergendo nell’opinione pubblica delle riserve, anche da parte cattolica, che denotano un senso di proprietà ferita. Abituati a sentire spontaneamente il Papa in condivisione col nostro punto di vista, con la nostra ricerca di sicurezze, siamo ora interiormente esitanti, quando non involontariamente bloccati, e un po’ scettici rispetto agli approcci e a singole iniziative che Bergoglio mette in campo. Quanti ieri invocavano dei cambiamenti? Quanti sentivano in cuor loro, e si lasciavano talvolta anche sfuggire di bocca, che qualcosa nel governo della Chiesa doveva pur cambiare? Ora il cambiamento è arrivato: esso si avvita alla perfezione, come un tubo destinato a far veicolare materiale delicatissimo, con l’intera storia della Chiesa e con la vicenda degli ultimi pontefici (due dei quali, non a caso, saranno presto canonizzati proprio da Francesco). In altre parole, non cogliere la continuità vuol dire cedere al semplicismo di quanti, psicologicamente frettolosi, amano procedere per opposizione, eppure la vita della Chiesa – inabitata dallo Spirito – è altra cosa. La continuità è legge irrinunciabile, ma parliamo della continuità sostanziale non di quella che si attarda nei tic o nelle quisquilie. Dagli inizi di giugno, la nostra emittente mette in onda ogni giorno dalle 12.30 alle 13.40 una trasmissione «Sulle tracce di Papa Francesco». Vi si offrono voci e testimonianze di chi conosce Jorge Mario Bergoglio da anni e le si mette a raffronto con quella azione pontificale che si va srotolando giorno per giorno. Un format improvvisato, che si è presto affinato e assestato, incontrando un gradimento crescente. No, nessuna ruffianeria, e nessuna carriera da salvare. Riteniamo piuttosto di fare un servizio, umile finché si vuole, a questa stagione della vita della Chiesa, in cui a tutti è richiesto di svegliarsi e rinnovarsi. Non siamo purtroppo così giovani da non ricordare quanto avvenne nel primo settennio del pontificato di Karol Wojtyla: euforie alle stelle da parte delle folle che egli incontrava ovunque nel mondo e in Italia, eppure cautele e riserve a gogò nella classe che allora contava. Ebbene, all’inizio del terzo pontificato non italiano (il secondo, quello di Ratzinger, già in partenza era il più italianizzato dei tre), vorremmo dare la nostra piccola mano a che nessuna esitazione prenda piede e nessuna freddezza si consolidi. Siamo nelle ali dello Spirito: e non è un modo di dire.

Dino Boffo

tv2000