Per uno stile profetico della Chiesa

La lezione di Romano Guardini e la misteriosa lotta notturna tra Giacobbe e l’angelo

Pier Francesco Mazzucchelli (il Morazzone), «Lotta di Giacobbe con l’angelo» (1610 circa)

Nel celebre saggio Sul sacro Rudolph Otto cita un brano del Sermone su Genesi di Frederick W. Robertson che si concentra sull’episodio biblico dell’incontro-scontro notturno tra Giacobbe e “un tale” (un angelo? Dio stesso?) e afferma: «Quella notte, nel messo di quella strana scena, Dio impresse nell’anima di Giacobbe uno sgomento religioso, destinato da allora in poi a svilupparsi […] Giacobbe colse l’Infinito, quell’Infinito che è tanto più genuinamente sentito, quanto meno nominato». È una notte di cui si parla, una notte contrassegnata dalla polarizzazione ombra/luce, che comincia nella tenebra della solitudine (“Giacobbe restò solo…”) ma termina luminosamente (“E il sole si alzò…”). Questa notte misteriosa, piena di segni, enigmi e di presenza umana e divina, è una notte che ha generato nell’ambito della filosofia e dell’arte in modo inesauribile e ancora oggi non cessa di generare sia pensiero che bellezza.

Il libro che presentiamo La lotta di Giacobbe, paradigma della creazione artistica, curato da Yvonne Dohna Schlobitten e Albert Gerhards, ne è una chiara e forte conferma già nell’approccio, come spiega la Donha nell’introduzione: «L’intento di questo volume non è quello di approfondire il contributo di Guardini, ma di ispirarsi a esso per indicare la via per creare e vivere esperienze formative secondo il suo stile nel nostro mondo contemporaneo. Il progetto propone una nuova educazione alla contemporaneità attraverso un dialogo creativo per una Chiesa in uscita». Quello che gli autori, traendo spunto dalla lettura guardiniana dell’episodio biblico (un episodio che contiene l’esperienza dell’attraversamento, della trasformazione e del cambiamento) chiedono alla Chiesa è di vivere uno stile profetico, anche nei confronti del mondo dell’arte.

È forte l’eco della predicazione di Bergoglio a cui il volume è dedicato, alla luce anche del debito contratto, e sempre riconosciuto, dal gesuita argentino nei confronti del teologo italo-tedesco. Illuminante in tal senso il testo ispiratore del saggio, che riportiamo integralmente, in cui Guardini da una parte osserva il fatto decisivo che Giacobbe alla fine vince nella sua lotta con l’angelo e dall’altra riflette sul tema della libertà, drammatico dono di Dio agli uomini chiamati ad «accogliere Dio come “benedizione” e nella forma del “nome” attraverso la lotta. Dio si oppone a noi in tutto. […] La sua forza viene verso di noi; ma ha la forma dell’amore, poiché viene per essere superata», per cui Dio «non si eleva davanti a noi come un muro contro cui si schianta tutta la forza; non colpisce come una violenza che predomina e distrugge. Piuttosto viene nella figura dell’amore, che desidera essere vinto, affinché si possa concedere. Può concedersi solo se viene vinto, così dà la forza e la richiama… Com’è misterioso che una creatura debba essere “forte” davanti a Dio». Si sente lo stesso timbro del Guardini autore de L’opposizione polare, un testo che tanto impatto ha avuto sul pensiero di Bergoglio. Alla luce di questo aspetto, il saggio di Donha e Gerhards si rivela non solo un audace saggio di filosofia estetica ma anche una raffinata introduzione al pensiero e alla predicazione di Papa Francesco colti nel momento presente della “lotta”, strenua ma vitale, con la contemporaneità.

di Andrea Monda

La lotta di Giacobbe
di Romano Guardini

Il libro della Genesi racconta nel trentaduesimo capitolo: «E Giacobbe si alzò quella notte, prese entrambe le sue mogli, entrambe le sue ancelle e i suoi dodici figli e li condusse oltre il guado dello Iabbok. Li prese e li portò al di là del fiume e portò tutto ciò che aveva. Giacobbe rimase indietro da solo. Qui un uomo lottò con lui fino all’aurora. Quando vide che non riusciva a vincerlo, gli toccò il fianco. Così il fianco di Giacobbe si era lussato mentre combatteva con lui. E disse: “Lasciami andare! L’aurora sta risuonando!”. Disse: “Non ti lascio finché non mi benedici!” Gli disse: “Come ti chiami?” Egli rispose: “Giacobbe”. Lui disse: “D’ora in avanti non ti devi chiamare Giacobbe, ma Israel. Hai lottato con Dio e con gli uomini e hai riportato la vittoria”. Quindi Giacobbe fece questa richiesta: “Rendi noto il tuo nome!”. Egli disse: “Che cosa mi chiedi del mio nome?” Allora lo benedisse. E Giacobbe chiamò il luogo Penuel: “Ho guardato Dio faccia a faccia e sono rimasto in vita!”. E il sole si alzò…» (Genesi 32, 23-33).

L’avvenimento è misterioso. Affonda nella memoria e vi rimane impresso. Forse non lo si capisce, oppure si sente che è pieno della realtà più sacra. Ci si riflette, lo si tira fuori e vi si trova sempre ancora qualcosa in più.

Giacobbe torna nella sua patria, dopo che è rimasto a lungo all’estero. Lì riceve la notizia dell’arrivo di suo fratello Esaù ingannato per il suo diritto di primogenitura e per la benedizione paterna. Giacobbe ha paura, manda via i suoi familiari… rimane tuttavia li da solo nella notte. Sente che qualcosa si avvicina. Allora — la Scrittura racconta, come raccontano le vecchie saghe, senza passaggi intermedi, con sequenze messe in contrappunto — «un uomo combattè con lui fino alla comparsa dell’aurora».

«L’uomo» è quell’essere che spesso ritorna nella Genesi: l’«angelo del Signore». In questa forma si entra misteriosamente: a volte sembra essere una creatura, a volte sembra Dio stesso e alcuni pensano che sia il Figlio. Si imbatte in Giacobbe e lotta con lui, che comunque resiste. La lotta è meravigliosa: l’uomo non riesce a sconfiggerlo, ma basta che gli tocchi l’anca ed è lussata. Un’oscura penetrazione di predominio e di debolezza nello stesso tempo. Giacobbe rimane il vincitore. La ricompensa della lotta è però un nuovo nome e la benedizione di questo da parte dell’uomo. E in seguito «il sole si alza».

Questo è successo a Giacobbe. Era uno di quelle grandi figure, gli uomini erano pieni di forza terrena e comunque trattavano con Dio. Potenti in terra, della realtà più densa e nello stesso tempo circondati dal mistero di Dio. Egli era un eletto; a lui viene rivelato qualcosa che vale per tutti noi.

Dio è l’onnipotente; ma non è, come se arginasse la sua potenza affinché possa essere superato da noi? Come se Dio desiderasse concedersi a noi, benedirci della pienezza di se stesso — ma noi dovremmo dapprima superarlo? Dio si avvicina a noi, ma come coloro che combattono, possono combattere, in quanto forti. Dover combattere; poiché la loro accoglienza avviene in tutta libertà, elevando la loro interiorità, superandola e portandola dentro. Come combattente e vincitore Dio vuole l’uomo, la sua creatura. Ama la sua forza, che lui stesso gli ha dato affinché lui combatta con Dio e con gli uomini e riporti la vittoria. Poi gli concede che lui diventi «uno» davanti al suo creatore, uno nominato da Dio e che come tale possegga Dio.

Dio avrebbe potuto creare gli uomini come esseri che vivono e crescono in modo che la pienezza di Dio giunga su di loro come la pioggia sui fiori. Sarebbe un essere grande e puro. I bambini che vengono portati via prima di raggiungere la piena coscienza, sono tali esseri. Ma all’uomo viene prescritto di essere libero. Deve accogliere Dio come «benedizione» e nella forma del «nome» attraverso la lotta. Dio si oppone a noi in tutto. In tutte le cose che ci capitano; in tutti gli avvenimenti che accadono; in tutti gli uomini che arrivano. Tutto è potente e in ciò c’è Dio. La sua forza viene verso di noi; ma ha la forma dell’amore, poiché viene per essere superata.

Tutti gli avvenimenti sono potenti ed in essi arriva Dio. Ma non si eleva davanti a noi come un muro contro cui si schianta tutta la forza; non colpisce come una violenza che predomina e distrugge. Piuttosto viene nella figura dell’amore, che desidera essere vinto, affinché si possa concedere. Può concedersi solo se viene vinto, così dà la forza stessa e la richiama… Com’è misterioso che una creatura debba essere «forte» davanti a Dio, che debba esserci una forza che riconosce Dio che sorge contro di lui, l’onnipotente! Ed ora arriva Lui a provare questa forza, se questa si riveli degna dell’amore e potente. La prova dell’amore è tutto ciò che avviene. Dio si avvicina in tutto e chiama la forza perché essa si elevi e combatta con lui: con la pesantezza dell’opera presentandola come pura; con l’amarezza del dolore sopportandolo coraggiosamente: con l’inadeguatezza degli uomini fidati superandoli amorevolmente; con la resistenza dei sottomessi, degli indifferenti, dei cattivi rimanendo fedele… Se la forza si rivela valida, allora Dio benedice, e il nuovo nome si libera dalle sue labbra…

Capita anche che noi chiediamo del nome «dell’uomo», ma non ci dice niente. Ciò che succede è enigmatico come «l’angelo del Signore»: appartiene al mondo, è terreno, eppure c’è dentro Dio. Ma non si può distinguere chiaramente. Rimane un mistero.

«Nel mistero e nell’allegoria» ci accade tutto finché siamo ancora in cammino. Poi vedremo «faccia a faccia». Ma la fede significa perseverare nel mistero dell’esistenza. Quante volte si deve credere veramente in Dio dalla molteplicità, dal disordine. dall’abbandono del senso dell’esistenza; è sempre un’esperienza nuova anche quando la ragione si sbaglia e ci chiama folli e il cuore si stanca. Ma «ci viene concesso di vincere nella lotta; di superare la prova d’amore, affinché Dio possa darsi a noi. E tuttavia non possiamo aspettarci nient’altro se non che l’uomo» ci tocchi l’anca e ci paralizzi… Ma succederà anche che «il sole si elevi sopra di noi…».

Vogliamo appropriarci profondamente dell’immagine del solitario nella notte oscura, con il quale «Dio e l’uomo» lottano, e non lo possono superare… egli viene colpito eppure non soccombe… viene benedetto e riceve il nuovo nome, mentre il sole sorge sopra di lui!

Tuttavia non possiamo comprendere, questo non ci deve fuorviare. Prendiamocelo non come un catturato, ma come un potente. Non come una frase compresa, ma come un germoglio che dà frutti. Nel corso della nostra vita ci penseremo e capiremo pezzo per pezzo. Si muoverà e sprigionerà la verità.

Osservatore Romano