Per l’uomo una vita «sociale»

Per svilupparsi in conformità alla propria natura, la persona umana ha bisogno della vita sociale. (Catechismo 1891)
«Dio creò gli uomini non perché vivessero individualisticamente, ma destinati a formare l’unione sociale» (Gaudium et spes, 32). La vita sociale non è qualcosa di esterno e aggiunto all’uomo. È dimensione costitutiva del suo essere: essere è essere-con gli altri. La persona umana è per se stessa relazionale. La socialità è un’esigenza della sua natura. Essa infatti non è un’individualità chiusa nella propria solitudine: non può riconoscere e realizzare se stessa isolandosi dagli altri. Ogni essere umano esprime insieme risorse e bisogni. Come portatore di risorse (esse offerens), egli dispone di sé per gli altri; come soggetto di bisogni (esse indigens), è aperto ai contributi altrui. La socialità prende così la forma della cooperazione: «Attraverso il rapporto con gli altri, la reciprocità dei servizi e il dialogo con i fratelli, l’uomo sviluppa le proprie virtualità, e così risponde alla propria vocazione» (1879). Nell’incontro, nella mutualità e nell’integrazione delle differenze è il benessere delle persone. Mutualità e integrazione modulari ai piccoli e ai deboli, bisognosi più di tutti degli apporti altrui, in ordine alla loro crescita e alla loro inclusione.
Questo a cominciare dall’incontro primario e basilare, il rapporto uomo-donna, la cui necessità è messa emblematicamente in luce da quel «non è bene che l’uomo sia solo» pronunciato dal Creatore, che lo induce a fargli «un aiuto che gli corrisponda» (Gen 2,18): la donna. Dalla relazione uomo-donna procede la socialità familiare, e da questa ogni altra forma di socialità.
La vita sociale ha fondamento teologale nella relazione delle divine persone. L’immagine divina impressa dal Creatore nell’uomo e nella donna (cf Gen 1,26) è quella della Trinità. L’essere umano ha dimensione sociale perché riflette il co-essere del Padre e del Figlio nello Spirito Santo. Riflesso offuscato dal peccato e fatto risplendere dalla dignità filiale donata dal Figlio e che l’uomo riceve come dono e come compito di relazione filiale con Dio e fraterna con gli altri.

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