Per capire dove viviamo dovremmo guardare ai mappamondi

Quelli disegnati bene, senza l’occidente al centro, con il dominio dei mari e spigoli veri a chiudere i perimetri dei continenti. Sarebbe una forma di giustizia, un recupero di realtà che il clima cambiato rende urgente oltreché necessario. A rendere concreta la lezione, da poterla toccare, una mostra a cielo aperto che sta per concludersi a Milano. Cento ‘globi’ d’artista in plastica riciclata a documentare gli effetti del riscaldamento terrestre, e come fermarlo. Non una rassegna triste, di denuncia rabbiosa, ma ‘dipinta’ con i tanti colori della nostra casa comune, varietà virtuosa che un velo grigio di inquinamento rischia di soffocare.

Però cambiare si può, lo testimonia la mano che strappa la cappa, è possibile invertire la rotta e il mappamondo di pagnotte di pane sta lì a spiegare che tutto parte dall’equa distribuzione delle risorse. ‘WePlanet. 100 globi per un futuro sostenibile’ è stata una mostra istruttiva, di firme importanti. A me però ha colpito un mappamondo tra i più banali, con tante facce una attaccata all’altra. A testimoniare che sulla terra nessuno è straniero, che l’unico muro possibile è fatto di mani unite, e se le separi è solo perché entri un’altra persona ad allungare la fila.

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