Per amore del mio popolo: don Peppe Diana e l’impegno della Chiesa nel Sud

Italia

(a cura Redazione “Il sismografo”)

(Roberto Oliva – ©copyright) Il Natale che si avvicina porta con se il ricordo di un dimenticato ma notevole anniversario: il 25° dalla divulgazione della lettera Per amore del mio popolo a cura dei sacerdoti della forania di Casal di Principe, della diocesi di Aversa, zona nevralgica della camorra casertana. Tra i promotori dell’iniziativa emergeva don Peppe Diana (Casal di Principe, 4 luglio 1958 – Casal di Principe, 19 marzo 1994), figura di profondo spessore umano e pastorale assassinato dalla camorra poco prima di celebrare la messa mattutina.Questo anniversario lungi dal volersi limitare ad un elenco di elogi ad un prete straordinario (poiché correremo il rischio di ridurlo ad un santino senza cercare di incarnare la prassi ecclesiale da lui perseguita), desidera rinnovare lo spirito e l’impegno di questo apparentemente innocuo avviso sacro distribuito nel Natale del 1991 in tutte le parrocchie della forania. Il manifesto programmatico dell’azione pastorale di don Peppino Diana si sposa perfettamente con l’attuale insegnamento petrino e la missione della Chiesa nei Sud del mondo.
L’omicidio di don Diana, come anche quello del beato don Pino Puglisi, richiamano il sangue che spargono i martiri della giustizia di ieri e di oggi: basti pensare all’intenso episcopato del beato mons. Oscar Romero dichiarato martire in odium fidei. Mentre questa locuzione latina viene solitamente attribuita ai martiri in terra di missione uccisi per la professione della loro fede, in seguito al martirio di Romero, di Puglisi e di Diana possiamo e dobbiamo credere che muore per la fede anche chi muore per aver predicato e amato un Dio non violento e soprattutto un Dio – «non totalmente altro ma assolutamente prossimo» (Papa Francesco) – dalla parte dei poveri e degli oppressi: non solamente a parole o per iscritto ma attraverso un’ intensa e coraggiosa opera di apostolato per la liberazione dalle numerose forme di schiavitù sociale, economica e criminale. Interessante risulta l’impegno profuso da papa Francesco nell’accelerazione del processo di beatificazione del vescovo salvadoregno: «Quanti hanno monsignor Romero come amico nella fede, quanti lo invocano come protettore e intercessore, quanti ammirano la sua figura, trovino in lui la forza e il coraggio per costruire il Regno di Dio e impegnarsi per un ordine sociale più equo e degno». (Lettera di papa Francesco all’arcivescovo di San Salvador in occasione della beatificazione di mons. Romero). È paradossale ma evangelico il morire per aver predicato il Dio della vita ed essersi schierati contro la delinquenza in difesa della dignità delle persone, in particolare dei giovani troppo spesso vittime di un sistema corrotto che dirama i suoi tentacoli attraverso i facili guadagni, il traffico illecito della droga e l’illusione del potere. Possiamo realmente credere che la messa incompiuta di mons. Romero sia proseguita sugli altari di numerose chiese di periferia nei diversi Sud del mondo: ancora oggi costituisce un invito pressante alla Chiesa che desidera essere fedele al Maestro affinché dalle numerose parrocchie escano «uomini che saranno i veri liberatori del nostro popolo» (mons. Oscar Romero, Omelia del 23 marzo 1980) e quindi dei nostri Sud.
Il ministero di don Peppino Diana dunque si comprende più adeguatamente alla luce del martirio di Romero e degli insegnamenti del Concilio Vaticano II, che richiedono di essere tradotti e inculturati nelle realtà meridionali attraverso una prassi ecclesiale volta ad umanizzare le coscienze addormentate e oppresse. Il recupero della dignità delle coscienze passa attraverso l’umanizzazione della politica, della cultura, delle relazioni e del creato (vedi: http://www.puntopace.net/Mazzillo/esserechiesa-al-sud.htm). A venticinque anni dalla profetica lettera dei coraggiosi parroci casertani possiamo trarre indicazioni importanti per compiere ulteriori passi verso il rinnovamento della missione della Chiesa. Il documento ha un semplice fine pastorale: far prendere coscienza al popolo della necessità della denuncia sociale e dell’azione profetica di tutta la Chiesa. Già dal titolo si percepisce l’amore al gregge loro affidato, un affetto che giunge a condividere le sofferenze del popolo e a trovare insieme possibili percorsi di crescita e riscatto. Così si legge in uno dei passi più intensi della lettera: «L’azione di tutta la Chiesa deve farsi più tagliente e meno neutrale per permettere alle parrocchie di riscoprire quegli spazi per una “ministerialità” di liberazione, di promozione umana e di servizio». L’intelligente autocritica che i parroci fecero alla Chiesa stessa costituisce un monito anche alla Chiesa di oggi, la quale in alcune ombre nostalgiche, sembra voler relegare il magistero e la testimonianza di papa Francesco ad una breve parentesi storica come se l’evangelizzazione non preveda la liberazione integrale e la promozione umana. La lettera dei parroci casalesi rappresenta un sintetico compendio di ecclesiologia per il Sud unito ad una esemplare azione pastorale, che nel caso di don Diana ha raggiunto la forma più radicale dell’amore cristiano. L’azione a volte neutrale della Chiesa ha permesso il diffondersi di un fuorviante distacco tra il messaggio del Vangelo e le gioie e le sofferenze della vita personale e sociale, relegando la Chiesa ad una semplice dispensatrice di sacramenti o agenzia del sacro. La nostra lettera invece invita la Chiesa ad un’azione più tagliente nel senso di una maggiore incisività e denuncia sociale, affinché i fedeli possano sentirsi parte della storia di un popolo della quale essi stessi sono protagonisti – nella condivisione delle speranze e delle angosce – per costruire congiuntamente alla collettività civile un ordine sociale più giusto e fraterno. La lettera è palesemente attraversata da uno spirito profetico che fa scrivere ai parroci: «Dio ci chiama ad essere profeti». Le Chiese del Sud hanno urgente bisogno delle parole, dei gesti, degli ideali, del coraggio e della tenerezza di don Peppino Diana che si traducono attraverso le scelte e la formazione dei futuri laici e presbiteri meridionali, i quali dovranno sentire la responsabilità e la missione di essere le mani, i piedi, il cuore e le parole del Dio della pace e della vita. Il Vangelo allora non ci esime dall’impegno sociale e dalla promozione umana, ma ci spinge ai crocicchi delle strade ad incontrare volti feriti e oscuri, a volte anonimi e incattiviti ma desiderosi «di produrre nuova coscienza nel segno della giustizia, della solidarietà, dei valori etici e civili». Così chiosavano i parroci casalesi e su questa strada dovrà continuare il cammino della Chiesa – popolo di Dio – se vuole essere fedele al suo Maestro e vicina ad ogni persona.