Parrocchia, tempo di cambiare verso il nuovo dei carismi. Valorizzare tutti

di: Francesco Cosentino

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In un mondo in rapido cambiamento, la parrocchia è chiamata a rinnovare se stessa e la propria organizzazione valorizzando i carismi di tutti.

Qualche tempo fa, il prete tedesco Thomas Frings ha deciso di prendersi un tempo di pausa in un monastero, dopo una lunga esperienza pastorale vissuta come parroco. Nell’avvincente testo Così non posso più fare il parroco,[1] Frings racconta la vita quotidiana di un parroco, affermando di essere un prete felice, ma sottolineando l’urgenza di un cambiamento di rotta per una Chiesa organizzata e strutturata, ma, tuttavia, ormai incapace di trasmettere la freschezza del Vangelo in un mondo profondamente cambiato.

Da diverso tempo, infatti, l’istituzione parrocchiale è in uno stato di sofferenza. Essa appare eccessivamente affaticata, appesantita da apparati e strutture che la rendono statica in un mondo diventato mobile, spesso imprigionata in forme, stili e linguaggi che non sono più in grado di rispondere adeguatamente alle esigenze dell’evangelizzazione.

Insomma, il “cantiere parrocchia” ha bisogno di essere riaperto perché si avvii un tentativo di rinnovamento e, in questo senso, può essere letto il nuovo documento della Congregazione per il clero appena pubblicato, dal titolo La conversione pastorale della comunità parrocchiale al servizio della missione evangelizzatrice della Chiesa.

Una nota di metodo

Una prima e doverosa nota di metodo appare necessaria per una corretta lettura e interpretazione del documento. Come spesso accade nell’ambito di una sempre più diffusa superficialità della comunicazione, spesso le appendici diventano il centro; ma il documento, pur parlandone, non nasce primariamente per definire la questione dei tariffari per i sacramenti o per “aprire” alla possibilità che, in certe circostanze, siano i laici ad amministrare un sacramento o a celebrare la Liturgia della Parola, cosa peraltro già prevista da tempo dal Diritto Canonico.

Al contempo, insieme alla mens del documento, occorre tenere presente la sua destinazione universale. La Congregazione, venendo a contatto con le situazioni più disparate di quasi tutto il mondo e raccogliendo la voce dei vescovi di molti Paesi, ha contezza di come alcune problematiche di natura ecclesiologica o pastorale siano diverse a seconda della realtà concreta in cui ci si trova. Ciò è importante per evitare letture parziali, pregiudiziali e talvolta ideologiche.

La sapienza teologica, soprattutto, dovrebbe essere allenata, quand’anche si trovasse dinanzi a formulazioni non del tutto convincenti, a considerare il “tutto” e a supporre che, in un documento della Santa Sede, confluiscono una serie di elementi diversi e non poche situazioni ecclesiali di partenza diverse tra loro.

La conversione della parrocchia in un mondo cambiato

Il documento della Congregazione per il clero nasce dall’esigenza di cercare con creatività strade nuove perché il vangelo sia annunciato senza lentezze, come auspicato più volte da papa Francesco, anche attraverso un ripensamento/rinnovamento della forma parrocchiale.  L’Istruzione, perciò, intende offrire «strumenti per una riforma, anche strutturale, orientata a uno stile di comunione e di collaborazione» (La conversione pastorale, n. 2), in linea con quella trasformazione auspicata da papa Francesco in Evangelii gaudium, perché la parrocchia diventi un canale missionario di evangelizzazione e non un apparato che mira all’autopreservazione.

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L’istituzione parrocchiale, infatti, vanta una lunga storia e, tuttavia, la sua configurazione sembra non reggere più l’impatto di profondi cambiamenti sociali e culturali, avvenuti negli ultimi decenni. In particolare, ad apparire poco adeguato rispetto ai tempi, è l’intrinseco legame tra parrocchia e territorio. Infatti, il mondo contemporaneo è segnato da un’accresciuta mobilità che investe gli stili di vita e gli stessi “confini” dell’esistenza. La vita delle persone, specialmente nelle grandi metropoli e aree urbane, si svolge in perenne movimento, nel contesto di luoghi, tempi, spazi e situazioni esistenziali variegate e plurali.

La parrocchia, con le sue strutture, i suoi organismi, i suoi orari ben definiti, le sue forme tradizionali, rischia di apparire troppo statica e inamovibile, mentre nel mondo attuale «il legame con il territorio tende a essere sempre meno percepito» e «i luoghi di appartenenza divengono molteplici» (n. 9).

La missione come criterio di rinnovamento

In un mondo così profondamente cambiato e in perenne movimento, la parrocchia è chiamata «a trovare altre modalità di vicinanza e di prossimità rispetto alle abituali attività» (n. 14), così da venire incontro alle persone che, oggi, vivono in un «territorio esistenziale e relazionale» più ampio del ristretto ambito geografico in cui abitano.

Il documento invita a superare una pastorale il cui campo d’azione è delimitato esclusivamente all’interno dei limiti territoriali della parrocchia. Solo così essa non rischia di restare imprigionata nella mera ripetizione di attività inerenti a una pastorale delle “cose di sempre” e diventa, invece, capace di vivere il dinamismo dell’evangelizzazione, aprendosi in modo trasversale al territorio e portando avanti proposte pastorali diversificate.

Si tratta di «individuare prospettive che permettano di rinnovare le strutture parrocchiali “tradizionali” in chiave missionaria» (n. 20), attraverso un rinnovato slancio nell’annuncio del Vangelo, proposte pastorali trans-parrocchiali, spazi e luoghi in cui la comunità cristiana diventa generativa di legami fraterni, di vicinanza e di crescita di buone relazioni umane.

Dalla singola parrocchia alla Comunità inclusiva

Una simile conversione pastorale necessita di quello che il documento chiama «un processo graduale di rinnovamento delle strutture», e di «modalità diversificate di affidamento della cura pastorale e di partecipazione all’esercizio di essa, che coinvolgono tutte le componenti del Popolo di Dio» (n. 43).

Infatti, la parrocchia presa singolarmente, sufficiente a se stessa, che organizza da sé la pastorale senza connessione con altre comunità vicine e con la diocesi, rischia di apparire anacronistica, statica, circoscritta in un criterio giuridico-territoriale che non trova più corrispondenza nella vita reale delle persone, incapaci di arrivare a tutti.

Il documento, allora, auspica che possa svilupparsi quella riorganizzazione pastorale della parrocchia, già conosciuta con la denominazione di Unità Pastorali, Zone Pastorali o Comunità di parrocchie. Non si tratta banalisticamente di unire le parrocchie per scarsità di preti o di mezzi, bensì, più teologicamente, di ripensare e programmare insieme la pastorale e l’evangelizzazione, a partire da una più ampia lettura del territorio, contenuti e obiettivi comuni, programmi pastorali comuni, proposte innovative e trasversali di evangelizzazione.

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Anche se la parrocchia continua a promuovere una pastorale ordinaria, le prefetture, i decanati, le vicarie e le foranie – oggi ridotte a pure istituzioni formali – potrebbero diventare luoghi di elaborazione di una simile pastorale d’insieme, in una comunione e collaborazione attiva, fattiva e concreta non solo tra preti e laici, ma anche tra quelle che oggi sono parrocchie diverse.

Una normativa canonica

Così, posto che a fondamento del documento c’è l’ecclesiologia di comunione del concilio Vaticano II e gli impulsi del magistero di Francesco sulla necessità di una «Chiesa in uscita», la seconda parte del documento si limita a offrire, in particolare ai vescovi, le modalità canoniche attraverso cui attuare sperimentazioni di Unità o Zone Pastorali.

Si tratta di realtà intermedie tra la diocesi e la singola parrocchia, guidate da un vicario episcopale o parroco moderatore, che dovrebbero essere erette tenuto conto delle dimensioni della diocesi e della sua concreta realtà pastorale, «con una particolare attenzione al territorio concreto… per facilitare la relazione di vicinanza tra i parroci e gli altri operatori pastorali» (n. 46).

Il documento, specialmente nella sua parte canonica, intende evitare due rischi estremi, attualmente presenti in diversi Paesi del mondo: una parrocchia in cui il parroco e gli altri presbiteri si occupano di tutto e decidono da soli di ogni cosa, relegando le altre componenti della comunità al marginale ruolo di esecutori; o, viceversa, una parrocchia in cui la specificità dei carismi è livellata, al punto che essa non ha più un pastore proprio cui è affidata la cura pastorale, ma un team di persone – preti e laici – che, come un consiglio di amministrazione, gestiscono nella veste di funzionari un’azienda.

Conclusione

Non deve sfuggire che il tentativo dell’Istruzione è avviare un rinnovamento delle forme di cura pastorale, attraverso una riforma anche strutturale della comunità, al servizio di una nuova evangelizzazione.

L’idea di sottofondo è che, al centro della comunità cristiana e del suo agire, c’è lo Spirito Santo, la cui unzione appartiene a tutto il Popolo di Dio, e che abilita tutti i battezzati, attraverso carismi e ministeri diversi, a partecipare alla missione ecclesiale. In questa rinnovata compartecipazione tra preti e laici, si ritiene necessario porre segni concreti per «il superamento tanto di una concezione autoreferenziale della parrocchia», quanto di una «clericalizzazione della pastorale» (n. 38).

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Ciò si realizza aiutando la parrocchia a emanciparsi dal modello tridentino che la vede agire “in solitario”, per diventare luogo in cui le diverse vocazioni e i diversi ministeri si armonizzano e danno vita a nuove forme di annuncio della fede.

Naturalmente, la conversione strutturale presuppone quella personale: mai come oggi c’è bisogno di questo sforzo comune di cambiamento di mentalità, che deve investire la formazione dei preti e dei laici, perché insieme continuino a «inventare il cristianesimo».[2]


[1] Cf. Th. FRINGS, Così non posso più fare il parroco. Vi racconto perché, Àncora, Milano 2018

[2] J. DELUMEAU, Scrutando l’aurora. Un cristianesimo per domani, Messaggero, Padova 2003, 176.

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(segnalazione web a cura di Giuseppe Serrone)