Parrocchia e pastorale: unità pastorali, una prima somma

di Diego Andreatta | 09 aprile 2013

vinonuovo.it

A vent’anni dal lancio, le Unità pastorali meritano una verifica. Che va oltre la formula organizzativa, per cogliere la modalità ecclesiale

A metà degli anni Novanta, dopo il convegno del Centro di Orientamento Pastorale che ad Assisi nel 1993 lanciò l’intuizione del compianto sociologo Giuseppe Capraro, le Unità pastorali parvero la formula magica per rivitalizzare parrocchie e diocesi: si tamponava l’emorragia di clero, dando un’iniezione di fiducia ai laici; si sostituiva la parrocchia-territorio con la parrocchia-comunità; si puntava finalmente sui ministeri e sull’esigenza di fraternità.

Vent’anni dopo, è possibile tirare una riga, conteggiare i più e i meno. La teoria ha infatti precisato alcune confuse idee della fase d’avvio, la prassi ha sortito vari risultati, da comparare.

Le Up (usiamo questa sigla, che è anche il curioso titolo di un film d’animazione) ci hanno salutarmente “costretto” ad un ripensamento della pastorale. Non era dunque unico, immutabile e intoccabile il modulo organizzativo a cerchi concentrici – dalla parrocchia alla diocesi – che si muoveva con forza centripeta attorno alla figura del prete.

Ma si è anche capito che non si cambia sulla carta geografica il vissuto delle comunità: le Up non possono essere etichette nuove con cui rinfrescare realtà già esistenti, come decanati, foranìe e altri enti intermedi. Sarebbe come dare un altro nome ad una megaparrocchia in cui il pastore tuttofare salta da una chiesa (e da una canonica) all’altra.

Chiarito l’artificio, si è svelato un secondo “trucco”: non è bene che sia il centro diocesi a deliberare dall’alto l’istituzione di una nuova Up. Esse maturano dal basso, solo attraverso un lavoro di preparazione dentro le singole comunità. Un confronto non frettoloso: quando l’Up è pronta, dopo aver già compiuto passi concreti, allora se ne ufficializza la costituzione e il decreto vescovile suona come un gradito riconoscimento.

Si è cominciato a dare più attenzione ad ogni territorio – elemento cardine delle Up – che ha peculiari caratteristiche, da riconoscere e da accettare. E’ quello che rende ogni Up diversa dalle altre, quanto va bene da una parte, non va dall’altra. Una valle montanara richiede un modello ben diverso da una periferia urbana…

Ancora un segno più: i laici coinvolti nelle Up ci hanno spesso creduto più dei preti, danno loro prova di fiducia ben riposta. Alcuni preti si sono alleggeriti, privati da incombenze “burocratiche” (anche quelle legate alle strutture, spesso pesanti), e hanno scoperto di avere più tempo per il proprio specifico.

Altro nodo sciolto, forse definitivamnete: le Up non fanno morire le parrocchie piccole, anzi. Anche quelle minuscole (senza prete residente ormai) non perdono necessariamente l’identità. Possono tenerla viva (guai sopprimere la sagra, ad esempio), ma senza campanilismi, aprendosi alle comunità dell’Unità. Ognuna quindi è chiamata a pensare ad un evento unitario annuale per le altre, tutte sono coinvolte in una programmazione di lungo periodo: è già pastorale d’insieme.

Le piccole parrocchie sono finalmente sgravate di quanto può essere assicurato al centro, dal Consiglio dell’UP: ad esempio la pastorale giovanile, o l’animazione della carità, o l’attenzione agli ammalati del vicino ospedale….

Si è rivelato funzionale anche il ricorso democratico all’elezione dell’ equipe parrocchiale (4-10 persone): per fare spazio a persone lontane o appena arrivate e per evitare che “siano sempre i soliti”, quelli che rischiano d’impadronirsi della pastorale.

Né imposte dal pensionamento dei preti, né mosse solo dalla delega ai laici, le Up alla prova ci han fatto capire cosa “non” devono essere, una mera riorganizzazione della pastorale. Devono essere piuttosto una vera modalità evangelica e conciliare di vivere la fede, meno burocratizzata del passato, centrata su una spiritualità di comunione e su relazioni fraterne. E’ allora che le comunità riescono appetibili, imitabili e soprattutto accoglienti per chi attende di essere rigenerato nella fede.

E’ un’utopia o un bel segno dei tempi?