Papa: no ai preti da salotto, sì ai discepoli in cammino

Un buon prete dovrebbe fuggire “sia da una spiritualità senza carne, sia, viceversa, da un impegno mondano senza Dio”. Lo ha sottolineato papa Francesco nel suo discorso di oggi alla Congregazione per il Clero. “Carissimi – ha detto a cardinali, vescovi e sacerdoti che ne sono membri o consultori – la domanda che deve scavarci dentro è questa: Che prete desidero essere? Un ‘prete da salotto’, uno tranquillo e sistemato, oppure un discepolo missionario a cui arde il cuore per il Maestro e per il Popolo di Dio? Uno che si adagia nel proprio benessere o un discepolo in cammino? Un tiepido che preferisce il quieto vivere o un profeta che risveglia nel cuore dell’uomo il desiderio di Dio?”.

Il prete – ha detto Francesco – deve stare tra Gesù e la gente: con il Signore, sul Monte, egli rinnova ogni giorno la memoria della chiamata; con le persone, a valle, senza mai spaventarsi dei rischi e senza irrigidirsi nei giudizi, egli si offre come pane che nutre e acqua che disseta, passando e beneficando coloro che incontra sulla strada e offrendo loro l’unzione del Vangelo”.

“Quando usciamo verso il Popolo di Dio, ci lasciamo plasmare – ha rilevato il Papa – dalle sue attese, toccando le sue ferite, ci accorgiamo che il Signore trasforma la nostra vita. Se al Pastore è affidata una porzione di popolo, è anche vero che al popolo è affidato il sacerdote. E, nonostante le resistenze e le incomprensioni, se camminiamo in mezzo al popolo e ci spendiamo con generosità, ci accorgeremo che esso è capace di gesti sorprendenti di attenzione e di tenerezza verso i suoi preti”.

Secondo il Papa, il contatto con il popolo “è una vera e propria scuola di formazione umana, spirituale, intellettuale e pastorale“, una sorta di “grande tornio” che plasma l’argilla del nostro sacerdozio. Quando usciamo verso il Popolo di Dio, ci lasciamo plasmare dalle sue attese, toccando le sue ferite, ci accorgiamo che il Signore trasforma la nostra vita”.

Francesco ha così evocato nel suo discorso l’immagine biblica del “vasaio paziente, che si prende cura della sua creatura, mette sul tornio l’argilla, la modella, la plasma e, così, le dà una forma”. “Se si accorge che il vaso non è venuto bene, allora il Dio della misericordia getta nuovamente l’argilla nella massa e, con tenerezza di Padre, riprende nuovamente a plasmarla”. “Se al Pastore è affidata una porzione di popolo, è anche vero – ha osservato Francesco – che al popolo è affidato il sacerdote. E, nonostante le resistenze e le incomprensioni, se camminiamo in mezzo al popolo e ci spendiamo con generosità, ci accorgeremo che esso è capace di gesti sorprendenti di attenzione e di tenerezza verso i suoi preti. È una vera e propria scuola di formazione umana, spirituale, intellettuale e pastorale”.

Per questo, ha spiegato, l’immagine del vasaio “ci aiuta a capire che la formazione non si risolve in qualche aggiornamento culturale o qualche sporadica iniziativa locale” ma rappresenta “un lavoro che dura per tutta la vita”.

da Avvenire