Papa Francesco ai primi passi… Il vescovo di Roma

Il primo segno, non debitamente sottolineato, è la nuova immagine di Chiesa che emerge dagli ultimi eventi accaduti. Senza l’azione dello Spirito la Chiesa sarebbe un’istituzione come un’altra, non una Chiesa che presiede nella carità.

Papa Francesco ama i bambini (foto REUTERS / TONY GENTILE).

Papa Francesco ama i bambini (foto REUTERS / TONY GENTILE).

Il rischio è di ripetersi: l’elezione del cardinale Jorge Mario Bergoglio alla cattedra di Pietro ha costituito un evento che ha sorpreso tutti. Basta ricordare il silenzio quasi sospeso all’habemus papam, perché quel doppio nome non corrispondeva a quello di nessuno dei papabili – e l’esplosione di gioia che ha percorso tutta la piazza all’annuncio del nome: qui sibi nomen imposuit Franciscum. Chi elegge il Papa? Lo Spirito Santo o i cardinali? Era stato un tam-tam dei giorni precedenti, nel tentativo di delegittimare un gruppo di uomini che era rappresentato come diviso al suo interno, tutto dedito a giochi di potere, con l’ombra del corvo che aleggiava sulla Cappella Sistina e il dossier dei tre cardinali come spada di Damocle sul collo di molti. Il Papa lo eleggono i cardinali, i quali possono agire secondo la carne o secondo lo Spirito. Che abbiano agito secondo lo Spirito, sembra evidente.

La curiosità e l’enfasi dei media

Il primo segno che non mi pare debitamente sottolineato è l’immagine di Chiesa che emerge da quegli eventi, e che subito Papa Francesco ha evidenziato, con la richiesta ai fedeli riuniti in piazza San Pietro di pregare per lui: non si può evocare l’azione dello Spirito senza invocarlo; e non invocano lo Spirito la stampa o i dotti che discettano della situazione e fanno previsioni puntualmente smentite, ma una Chiesa che si pone in ginocchio! Non si comprendono adeguatamente gli eventi che hanno segnato la Chiesa in questi ultimi mesi se si dimentica come l’impressione destata dalla rinuncia di Benedetto XVI abbia suscitato nella Chiesa una preghiera ininterrotta perché Dio donasse un papa secondo il suo cuore. Questa, però, non dovrebbe essere un’eccezione, ma la regola per la vita della Chiesa: senza lo Spirito la Chiesa è un’istituzione come un’altra, una Ong, come ha avuto modo di dire Papa Francesco stesso. La certezza che Dio ascolta il suo popolo dovrebbe sostenere le comunità cristiane, non perché Dio non dà la sua benedizione se il suo popolo non la chiede, ma un popolo che chiede si rende consapevolmente aperto alla benedizione che Dio dona a pienemani! D’altronde, di questa grazia ci sarà grande necessità quando finirà la luna di miele con i media e le lobbies che li usano per manipolare l’opinione pubblica e orientare il consenso. Se c’è da rallegrarsi per la simpatia con cui i gesti del Papa sono accompagnati, bisogna rammentare che l’enfasi dei mezzi di comunicazione rischia sempre di creare un effetto boomerang: ogni notizia ripetuta cavalcando l’audience determina, dopo la curiosità e l’attenzione, un senso di fastidio, la stanchezza, il rigetto. Né bisogna dimenticare che, nel pieno della festa, già qualcuno ha provato a sporcare la figura con notizie false su un presunto coinvolgimento del cardinale di Buenos Aires con il regime militare che tanto terrore e sangue ha sparso. Costretti al silenzio, torneranno alla prima occasione: è la logica del mondo. Per questo bisogna continuare a pregare, a invocare quella benedizione che Papa Francesco, dalla loggia, ha chiesto al popolo di Dio raccolto in piazza San Pietro.

Papa Francesco lascia il suo autografo su una gamba ingessata come un compagno di scuola.(foto ANSA / US L'OSSERVATORE ROMANO).

Papa Francesco lascia il suo autografo su una gamba ingessata come un compagno di scuola.(foto ANSA / US L’OSSERVATORE ROMANO).

Il titolo di “vescovo di Roma”

D’altronde, non è difficile immaginare come presto torneranno le questioni che hanno agitato il pre-conclave: Vatileaks, Ior e quant’altro ha agitato gli ambienti di curia. Qui conteranno non solo i segni e le parole, ma anche le decisioni, quelle che riguardano il governo della Chiesa, la scelta dei collaboratori, la direzione da imprimere al cammino della Chiesa universale. In questa direzione, però, emerge un punto che sembra qualificare l’orientamento di Papa Francesco: la sua preferenza – nelle parole e nei fatti – per il titolo di «vescovo di Roma ». Se la prima sera ha sorpreso il fatto che mai, nelle parole rivolte alla piazza, egli si sia qualificato come Papa, ma sempre come «vescovo di Roma», le uscite pubbliche dei giorni seguenti, con i riti della Pasqua e infine con la presa di possesso della cattedra di San Giovanni in Laterano, confermano questa scelta.

I mezzi di comunicazione hanno colto la portata, ma non ne hanno fornito una spiegazione attendibile, leggendola come atto di umiltà. In realtà, l’uso del titolo costituisce una delle novità più grandi non solo di questo inizio pontificato, ma della storia del papato da mille anni a questa parte. Novità che si è avvertita non solo nella scelta di chiamare se stesso «vescovo di Roma», ma nel cancellare senza esitazione la scelta dei circoli di curia di qualificare Benedetto XVI come «Papa emerito», chiamandolo più correttamente «vescovo emerito di Roma».

Già papa Ratzinger aveva fatto cenno a questo titolo, e il suo atto di rinuncia è «al ministero di vescovo di Roma, successore di san Pietro»; ma è l’insistenza con cui papa Bergoglio ha ribadito questo punto, delineando la sua funzione come vescovo di Roma, che sorprende. E il riferimento al cardinale Vallini come suo vicario, che lo avrebbe aiutato, era rivelativo dell’intenzione di sottolineare tale aspetto, a fronte di un silenzio eloquente sull’apparato di curia. Gli atti di ministero che ha posto finora sembrano confermare questa linea.

La conferma di tale orientamento è venuta dalla citazione di Ignazio di Antiochia, il martire del I secolo morto nel Colosseo, il quale, scrivendo alla comunità di Roma, ne tesse le lodi come la «Chiesa che presiede nella carità». Lo scenario che il Papa ha disegnato è dunque quello del primo millennio cristiano, quando l’evidenza era data non tanto al Papa e alla sua funzione, quanto alla Chiesa di Roma, a cui era riconosciuto un ruolo di grande importanza nella communio tra le Chiese, per il fatto di essere ritenuta la Chiesa che non era mai venuta meno nella fede. Sulla base di questa convinzione, le decisioni dei concili ecumenici non potevano essere approvate e diventare operative per tutta la Chiesa se non erano approvate dalla Chiesa di Roma. Il cambio di registro, con la sottolineatura della persona del Papa piuttosto che della Chiesa di Roma avvenne con la Riforma gregoriana. Soprattutto due furono le cause che determinarono questo cambio: la divisione dall’Oriente cristiano nel 1054, con la conseguente identificazione della Chiesa con il mondo latino, che coincideva grosso modo con il Sacro Romano Impero; la lotta contro la compravendita delle cariche ecclesiastiche – il fenomeno si chiamava simonia, da Simon Mago, il quale pretendeva di comprare il potere degli apostoli (cf At 8,9-25) –, che portò allo scontro le due cariche maggiori della cristianità: l’imperatore e il Papa. La vittoria di quest’ultimo ne fece il capo incontrastato dell’Occidente cristiano, concentrando nelle sue mani tutto il potere, di natura sia spirituale che temporale.

La Chiesa che presiede nell’amore

Se a metà dell’XI secolo san Pier Damiani, uno dei grandi autori della Riforma gregoriana, ancora parlava di Roma come della sola Chiesa che, a differenza delle altre, era stata fondata da Cristo stesso (per la promessa fatta a Pietro: cf Mt 16,17-19), e del Papa come vicarius Petri, da Innocenzo III (1198-1216) il Papa diventa vicarius Christi, capo visibile del corpo, di cui capo invisibile è Cristo. La conseguenza fu quella di comprendere la Chiesa non più come “il corpo delle Chiese”, l’insieme delle diocesi la cui unità era garantita dalla Chiesa di Roma “che presiede nell’amore”, ma dal Papa come unico capo, unico re, unico signore, vescovo universale di una Chiesa trasformata in una sola grande diocesi, con le diocesi come circoscrizioni territoriali e i vescovi come funzionari del Papa. La creazione del patrimonio di San Pietro, un insieme di territori che poi divenne lo Stato pontificio, determinò infine la consacrazione della figura del Papa-Re, che ancora sopravvive nella considerazione del Papa come capo di Stato. Dove porterà la scelta di Francesco? E fino a che punto arriverà a modificare equilibri consolidati da secoli, soprattutto per quanto riguarda il governo della Chiesa? Il fatto che sia indicato come il Papa che parla attraverso i segni, ma non abbia posto da subito il segno della presa di possesso della basilica di San Giovanni in Laterano, che è la cattedrale del vescovo di Roma, mostra che forse è necessario un supplemento di riflessione sulle implicazioni del titolo che il Papa è tornato ad attribuirsi. D’altronde, proprio in quella occasione, il 7 aprile u.s., egli è tornato a parlare della misericordia, tema che gli è davvero congeniale, ma nulla ha detto sul «vescovo di Roma» e sulla sua funzione. È vero che la consapevolezza di una funzione non passa necessariamente attraverso le parole, e sarà l’esercizio del ministero petrino a dire ciò che Papa Francesco intende per «vescovo di Roma». Ma senza passare per una verifica su come applicare a tutti i livelli il titolo di “vescovo di Roma”, è difficile che l’uso fatto da Papa Francesco vada al di là di una modifica formale. D’altra parte, parlare di sinodalità e collegialità senza partire da qui è fare bei discorsi che rischieranno di finire nel nulla quando, rientrata l’onda dell’entusiasmo, si dovesse ritornare alla normalità di un governo centrale, che non riesce a considerare le diocesi come Chiese particolari, e il Papa come vescovo di Roma, centro di unità di tutte le Chiese. Solo quando il Papa non sarà più né la prima né l’unica istanza nella Chiesa, ma l’ultima, a cui ricorrere con fiducia come a un padre, il processo di riforma contenuto nel titolo “vescovo di Roma” non potrà dirsi compiuto.

Dario Vitali

vita pastorale maggio 2013