Milano. Per la prima volta in cent’anni sarà una donna a guidare l’Università Statale

La neo rettrice è Marina Marzia Brambilla, 50 anni, docente di linguistica tedesca, che al ballotaggio ha superato Luca Solari. Tutti gli Atenei pubblici milanesi ora sono a guida femminile
La neo rettirice Marina Marzia Brambilla

La neo rettirice Marina Marzia Brambilla – Ansa

Per parafrasare le parole della stessa neoeletta, l’ateneo ha dovuto attendere cent’anni ma la svolta finalmente si è realizzata. L’Università Statale di Milano per la prima volta avrà una rettrice donna. Si tratta di Marina Marzia Brambilla, 50 anni, docente di Linguistica tedesca. Al ballottaggio ha ottenuto 1.652 preferenze, ovvero il 65% del totale surclassando Luca Solari fermatosi a quota 645 pari al 25% mentre le schede bianche sono state 265 (10%). La nuova rettrice che entrerà ufficialmente in carica il prossimo 1° ottobre il cui mandato si concluderà il 30 settembre 2030, attualmente è prorettrice per i servizi per la didattica e i servizi. Presiede il Centro linguistico di ateneo – Slam e l’Osservatorio per il diritto allo studio, che ha contribuito a creare. È referente della rete Pnrr Orientamento e delegata del Comitato dei rettori delle Università lombarde per l’orientamento e rappresenta l’Ateneo presso i consorzi Cisia e Almalaurea. Dal 2012 al 2014 è stata delegata del rettore per l’Erasmus e, dal 2014 al 2018, per Orientamento e Placement. Prorettrice ai servizi per gli studenti, ha conquistato la maggioranza con un programma, tra le altre cose, mirato ad ampliare il diritto allo studio, in particolare l’estensione della fascia di non contribuzione per dare maggiori possibilità agli studenti con minori disponibilità economiche, e ad aumentare le residenze universitarie per favorire l’accesso a un numero maggiore di studenti per aiutare il Paese, tra gli ultimi in Europa per numero di laureati.

Tra i punti chiave del suo programma l’impegno a rendere Campus mind e Città Studi centri del sapere di riferimento per le scienze sociali, umane e scientifiche, a livello nazionale e internazionale, la valorizzazione della ricerca scientifica, creare nuove infrastrutture, consolidare i poli di medicina con il territorio, rafforzare i rapporti con il sistema sanitario nazionale e i poli di ricerca scientifici, porre attenzione agli studenti sia sotto il profilo dell’offerta formativa e dei servizi, sviluppare il welfare inteso non solo come benessere della persona ma anche la sua crescita formativa, valoriale ed economica. Naturalmente contrassegnate dalla felicità le prime dichiarazioni della nuova rettrice che si è detta «molto emozionata e particolarmente orgogliosa per questo risultato, per questo successo, soprattutto perché la fiducia che mi ha dato la comunità della Statale in tutte le sue componenti, i docenti, i ricercatori, il personale tecnico, amministrativo, bibliotecario, gli studenti, è stata ampia». Sento la responsabilità di questa grande sfida, ha aggiunto Brambilla (che subentra a Elia Franzini), perché «la nostra comunità ha preso impegni importanti, abbiamo da realizzare Campus Mind, abbiamo la rigenerazione di Città Studi, abbiamo sei anni in cui la Statale dovrà diventare più internazionale, ancora più inclusiva, più contemporanea».

In questi giorni la Statale è sede di allestimenti legati alla Milano design week

In questi giorni la Statale è sede di allestimenti legati alla Milano design week – Fotogramma

Quanto alla comunità che Brambilla sarà chiamata a guidare, la Statale (i dati sono aggiornati al marzo 2023) conta circa 61mila studenti (oltre 3.600 internazionali), 150 corsi di laurea, 35 di dottorato, 67 scuole di specializzazione, 31 master e 85 corsi di perfezionamento. Con l’elezione di Brambilla hanno una guida femminile tutti gli Atenei pubblici di Milano. Rettrice del Politecnico è infatti dal 2023 Donatella Sciuto, 62enne docente di Sistemi di elaborazione delle informazioni presso il Dipartimento di Elettronica, Informazione e Bioingegneria. È guidata da una donna anche l’Università di Milano-Bicocca. Si tratta dell’economista Giovanna Iannantuoni, 54 anni, che ha assunto l’incarico nel 2019. Dal 2023 Iannantuoni è inoltre presidente, anche in questo caso prima volta per una donna, della Conferenza dei rettori delle Università italiane.

avvenire.it

Il conflitto. Gli Usa bloccano l’adesione della Palestina all’Onu

Il testo ha ottenuto 12 voti a favore, 2 astensioni (Gran Bretagna e Svizzera) e il no degli Stati Uniti. Per essere ammessa doveva ottenere 9 si e nessun veto
Una donna fra le macerie del campo di al-Nusairat, nella Striscia di Gaza

Una donna fra le macerie del campo di al-Nusairat, nella Striscia di Gaza – Ansa

Gli Usa hanno bloccato con il veto la bozza di risoluzione del Consiglio di Sicurezza Onu che raccomandava l’adesione piena della Palestina alle Nazioni Unite. Il testo ha ottenuto 12 voti a favore (Algeria, Russia, Cina, Francia, Guyana, Sierra Leone, Mozambico, Slovenia, Malta, Ecuador, Sud Corea, Giappone), 2 astensioni (Gran Bretagna e Svizzera) e il no degli Stati Uniti. La brevissima bozza presentata dall’Algeria “raccomanda all’Assemblea Generale che lo stato di Palestina sia ammesso come membro dell’Onu”. Per essere ammessa alle Nazioni Unite a pieno titolo la Palestina doveva ottenere una raccomandazione positiva del Consiglio di Sicurezza (con nove sì e nessun veto) quindi essere approvata dall’Assemblea Generale a maggioranza dei due terzi.

Intanto, restando ai fatti, nel raid israeliano a Rafah di mercoledì sera sono morti cinque minori assieme a tre loro familiari. L’attacco è avvenuto nel quartiere di al-Salam, nel mirino è finita la famiglia Ayyad sfollata da Gaza City. Un altro ragazzo, Zein Oroq, 13 anni, è stato colpito a morte da un pacco di aiuti lanciata dal cielo su Gaza City mentre correva per riuscire ad accaparrarsi una lattina di fave e un pacco di riso o farina. A novembre, era rimasto ferito nel raid che aveva distrutto la sua abitazione e ucciso 17 suoi familiari. Stando al ministero di Hamas, sarebbero 33.970 i morti, 71 in più rispetto al giorno precedente. Proseguono i raid anche nel sud del Libano, dove due miliziani di Hezbollah sono stati uccisi nell’area di Kfarkela. Sul fronte politico, è stato messo in agenda per la tarda serata di ieri il voto in Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite sulla proposta di ammettere la Palestina all’Onu: di fatto un pieno riconoscimento come Stato. Scontato il veto statunitense. La Palestina, fino a qui, ha avuto lo status di “membro osservatore”.

Per il resto, si rincorrono indiscrezioni e dichiarazioni. Come quella pubblicata dal giornale arabo londinese al-Araby al-Jadeed, ripreso dai quotidiani israeliani, secondo cui ci sarebbe il via libera degli Usa all’offensiva su Rafah in cambio della rinuncia israeliana a un attacco di ampia portata in Iran. La notizia ieri è circolata con insistenza. Poi il sito americano Axios, solitamente ben informato, ha citato dirigenti americani che avrebbero smentito «categoricamente» che uno «scambio» come quello descritto sia tra le opzioni considerate. Sembra più certo, invece, che funzionari di Tel Aviv e Washington abbiano tenuto colloqui online su Rafah. Tre fonti israeliane hanno rivelato alla statunitense Abc News che per due volte Tel Aviv è stata sul punto di sferrare l’attacco diretto all’Iran. All’emittente un alto funzionario americano ha detto che è improbabile che l’offensiva avvenga prima della Pasqua ebraica, che comincia lunedì e durerà sette giorni. Un documento riservato israeliano visionato dal New York Times rivela che l’assassinio a Damasco del generale iraniano Mohamad Reza Zahedi, all’origine dell’escalation, era pianificato da due mesi. Ma Tel Aviv avrebbe sottovalutato la reazione iraniana. Le Guardie della rivoluzione islamica hanno dichiarato che «Teheran riconsidererà la sua politica nucleare se Israele minaccerà gli impianti nucleare iraniani». In questa fase di incombente escalation, sembrano archiviati i colloqui per una tregua a Gaza e il rilascio dei 133 ostaggi o almeno di quelli che restano in vita. Tuttavia un alto funzionario di Hamas, Mousa Abu Marzouk, sostiene che il gruppo non si è ritirato dai negoziati, secondo quanto riporta l’emittente israeliana Kan. A fare un passo indietro potrebbe essere invece uno dei mediatori: il Qatar. Il primo ministro Mohammed Al Thani, scrive Yedioth Ahronoth, ha dichiarato che il Paese sta «riconsiderando» il suo ruolo dal momento che «è stato strumentalizzato da alcuni politici per i loro interessi privati». Il riferimento è al governo di Benjamin Netanyahu che ha più volte accusato Doha di finanziare il terrorismo di Hamas. Se i qatarioti dovessero ritirarsi, i turchi sarebbero pronti a subentrare. Il ministro degli Esteri di Ankara, Hakan Fidan, ha incontrato in Qatar il leader politico di Hamas, Ismail Haniyeh. E domani lo stesso Haniyeh sarà ricevuto ad Ankara dal presidente Recep Tayyip Erdogan: al centro dell’incontro, l’accesso agli aiuti umanitari per la popolazione e i tentativi di arrivare al cessate il fuoco. Alla fine della scorsa settimana, erano stati prima il Segretario di Stato americano Antony Blinken e poi il capo della Cia William Burns a chiedere ad Ankara di mediare per evitare un’escalation tra Israele e l’Iran. E per il 9 maggio Erdogan è atteso da Biden alla Casa Bianca. Prove di potere politico, mentre a Gaza si muore.

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Liturgia IV DOMENICA DI PASQUA (ANNO B)

Grado della Celebrazione: DOMENICA
Colore liturgico: Bianco

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Gesù è il dono del Padre.
Chi è veramente Gesù?
Niente come l’antitesi tra il Buon Pastore e il mercenario ce lo fa capire.
In cosa si differenziano radicalmente le due figure?
Non certo per il ruolo che, all’apparenza, sembra il medesimo. Li oppone e li divide la natura intima del rapporto con le pecore: la non appartenenza per il mercenario e l’appartenenza per il pastore. Se le pecore non ti appartengono te ne vai quando arriva il lupo e le lasci alla sua mercé.
Se sei un mercenario non t’importa delle pecore e non ti importa perché non le conosci. Non le conosci “per esperienza”, non le conosci per amore: esse non sono tue.
E da che cosa si vede se sono tue? Che dai la vita per loro. Gesù dà la vita per noi. È lui che ce la dà, tiene a precisare, nessuno gliela toglie. Lui, solo lui, ha il potere di offrire la sua vita e di riprenderla di nuovo. In questo sta la sua autorevolezza, nel potere dell’impotenza, a cui Dio nella morte si è volontariamente esposto.
Gli uomini possono seguire Gesù solo in forza di questa sua autorevolezza. Per essa ne conoscono la voce, subiscono il fascino della sua Presenza, si dispongono alla sequela. Solo nel vivere questa appartenenza il cristiano diventa a sua volta autorevole, cioè capace di incontrare l’altro, di amarlo e di dar la sua vita per lui. L’appartenenza fa essere eco fragile e tenace della sua Presenza e suscita la nostalgia di poterlo incontrare.

L’esodo silenzioso delle giovani donne dalla Chiesa e dalla fede cattolica

Cerco, dunque credo? I giovani e una nuova spiritualità” (Vita e Pensiero, 2024) con sconto 5% su amazon 

 

avvenire.it

Il “caso serio” costituito dal rapporto fra comunità ecclesiale, fede dei giovani. La sete e la ricerca di spiritualità che continuano ad abitare la vita di chi ha abbandonato la Chiesa e la fede nelle sue forme tradizionali – anche quando è una spiritualità senza Dio, o con un Dio senza nome, e che sempre meno spesso ha il nome di Gesù. Le contiguità e le consonanze di interrogativi, giudizi, idee – su Dio, la Chiesa, la fede, la vita, la morte, l’etica, la sessualità – fra i giovani che hanno lasciato e quelli che sono rimasti. Sono molteplici – e tutti urgenti, provocatori, potenzialmente fecondi – i motivi d’interesse della ricerca raccolta nel volume “Cerco, dunque credo? I giovani e una nuova spiritualità” (Vita e Pensiero, 2024) curato da Rita Bichi e Paola Bignardi, promosso dall’Istituto Toniolo – l’ente fondatore dell’Università Cattolica, nella cui sede milanese è stata presentata l’indagine (https://www.avvenire.it/giovani/pagine/istituto-toniolo-giovani-profeti-di-una-chiesa-che-sa-ascoltare-e-accogliere-tutti). I numeri dell’esodo dalla Chiesa cattolica L’allontanamento dei giovani dalla Chiesa e dalla fede cattolica è una tendenza che il Rapporto Giovani realizzato dal 2013 ogni anno dall’Osservatorio Giovani dell’Istituto Toniolo registra con fedeltà. Nel 2013 i giovani che si dichiaravano cattolici erano il 56,2% e nel 2023 il 32,7%. Negli stessi anni i giovani che si dicono atei sono passati dal 15% al 31%. Ancora più significativo il mutamento fra le giovani donne: quelle che si dichiarano cattoliche sono passate dal 62% al 33%, quelle che si dichiarano atee dal 12% al 29,8%. E se il trend continuasse così? Secondo i dati comunicati da Paola Bignardi presentando la ricerca in Cattolica, sul totale dei giovani italiani i cattolici sarebbero il 18% nel 2033 e il 7% nel 2050, le giovani cattoliche il 17% nel 2033 e il 6% nel 2050. «Un dato particolarmente interessante, forse in linea con l’evolvere della sensibilità spirituale – ha sottolineato Bignardi –: aumenta la percentuale dei giovani che dichiarano di credere in una generica entità superiore ma senza far riferimento a nessuna religione: nel 2023 sono il 13,4%; nel 2020 erano l’8,7%; nel 2016 il 6,2%». Mettersi in ascolto di chi ha scelto altre vie Dalle cifre alle storie. I numeri dicono molto. Ma non tutto. Ecco, allora, l’importanza di mettersi in ascolto dei giovani che hanno lasciato la Chiesa e la fede per conoscere e condividere i vissuti, i motivi e le dinamiche dell’abbandono, come ha fatto l’Istituto Toniolo con quest’ultima indagine. Nelle parole dei giovani, il ritratto di una Chiesa istituzione lontana dalla vita, più brava a giudicare che ad ascoltare e accogliere, più “azienda” che comunità dove sperimentare una fede e una spiritualità che sanno rispondere alla vita e alle sue domande di senso. Questi giovani «hanno difficoltà a riconoscersi negli insegnamenti della Chiesa, nella sua visione della vita e soprattutto nei suoi insegnamenti morali – scrive Bignardi –. Particolarmente presente è il tema dell’omosessualità; chi vive questa esperienza parla del suo essersi sentito giudicato e rifiutato; chi guarda la questione dall’esterno ritiene discriminatorie le posizioni della Chiesa e in contrasto con i suoi insegnamenti». Linguaggi e liturgia fanno sentire estranei. E l’abbandono della Chiesa è in genere graduale, consapevole, solo in alcuni casi “arrabbiato”. Nuove rotte fra religione e spiritualità Nelle parole di quegli stessi giovani c’è però anche nostalgia per la fede e la comunità cristiana. E c’è il sogno di una Chiesa aperta, plurale, libera e liberante, povera e vicina ai poveri, al dolore, alle fragilità: una Chiesa giovane e gioiosa, fa sintesi Giovanna Canale, docente, in uno dei contributi raccolti nel libro. I giovani lasciano la Chiesa, ma non sempre la fede, né la ricerca spirituale. Interiorità, natura, connessione i tre “luoghi spirituali” che emergono dalle interviste. Che sembrano confermare quanto scrive il teologo Tomáš Halík, citato da Bignardi: «La sfida principale per il cristianesimo ecclesiale di oggi è il cambiamento di rotta dalla religione alla spiritualità». L’addio delle giovani donne Fra i nodi incandescenti che emergono dall’indagine, quello che Fabio Introini e Cristina Pasqualini chiamano «l’esodo silenzioso delle giovani donne»: iniziato con la Generazione X (le nate fra 1965 e 1979), proseguito con le Millennials (1980-1995), continua con la Generazione Z (1996-2010). Per troppo tempo la Chiesa ha considerato le donne una presenza scontata, dovuta, ancillare all’establishment maschile. E oggi? Ragazze e giovani donne faticano a trovare ascolto e risposte alle loro esigenze, alle loro attese, al loro vissuto. Dall’iniziazione cristiana all’oratorio, troppe cose sono a misura di maschio. Le “dinamiche dell’abbandono” parlano di percorsi “emancipativi” e «profondamente legati alla mobilità innescati dai percorsi di carriera di studio e lavoro». Che portano a contatto con la complessità della vita e dell’umano. E sono «la matrice di nuove domande di senso ma anche le fonti di nuovi saperi che fanno breccia nella precedente visione del mondo». L’addio, in genere non polemico, si fa “arrabbiato” «in riferimento al rapporto che l’istituzione ecclesiale mantiene con la comunità Lgbtq+ o in merito alla questione dell’aborto», e quando si toccano «la sfera della corporeità, della sessualità, delle relazioni di coppia e della maternità», scrivono Introini e Pasqualini. La fede pare “protestantizzarsi”: non nel senso di una “individualizzazione” ma «per via del suo “trasformarsi” nel perseguimento del proprio “Beruf” di weberiana memoria, vale a dire il pieno compimento della propria vocazione “intramondana” nell’esercizio motivato e totalizzante del lavoro». Infine: le giovani intervistate, abituate a non avere spazio decisionale nella Chiesa, non lo rivendicano: hanno imparato a farne a meno. E a fare a meno della Chiesa. Ma la Chiesa può fare a meno delle donne? Come vivere e annunciare il Vangelo – e come essere Chiesa – senza di loro? Chi se n’è andato, chi è rimasto: duecento voci da ascoltare Cento giovani di tutta Italia, fra i 18 e i 29 anni, che si sono allontanati dalla Chiesa e dalla religione cattolica, ai quali – tramite colloqui individuali – è stato chiesto di raccontare il cammino dall’appartenenza ecclesiale all’“esodo”, la concezione di spiritualità, il pensiero sulla Chiesa e la fede. E 91 giovani che invece sono rimasti “vicini” alla Chiesa, le cui esperienze e idee sono state raccolte con la tecnica del focus group. Sono i due sotto-campioni dell’indagine pubblicata nel volume a cura di Rita Bichi e Paola Bignardi “Cerco, dunque credo? I giovani e una nuova spiritualità” (Vita e Pensiero, 2024): ricerca che giunge a quasi dieci anni dall’indagine raccolta nel libro “Dio a modo mio. Giovani e fede in Italia” (Vita e Pensiero, 2015) anch’esso curato da Bichi e Bignardi. “Cerco, dunque credo?” è promosso dall’Istituto Giuseppe Toniolo in collaborazione con il Centro Studi di Spiritualità della Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale, la Facoltà Teologica del Triveneto, l’Istituto superiore di Scienze religiose “Alberto Marvelli” delle diocesi di Rimini e di San Marino-Montefeltro e la Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale, sezione “San Tommaso d’Aquino” di Napoli. Il risultato? Un ritratto provocatorio e illuminante della realtà dei giovani. E un appello alla “conversione” della Chiesa. A partire dal dialogo con i giovani e la loro vita.