Ognissanti, una festa senza fine

Nel giorno dedicato alla solennità di Tutti i Santi, festeggiamo non soltanto i santi conosciuti, ma anche tutti quei santi anonimi che in silenzio, nella vita di ogni giorno, hanno praticato la pienezza del Vangelo. Una festa che ci invita alla speranza

Tutti Santi - ognissanti

Come per gli angeli, dal numero incalcolabile, così i santi ci fanno pensare a una moltitudine immensa, che nessuno può contare, di ogni nazione, razza, popolo e lingua (cfr Ap 7, 9).
Chi sono i santi?
Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste (Mt 8, 48). I santi non sono eroi, ma persone normali che, nella loro debolezza, imitano Gesù nel dare la vita, per grazia di Dio. È l’amore che ha il potere di trasformare qualunque uomo e lo rende santo.

Lo scrittore cattolico francese Ernest Hello, vissuto nel XIX secolo, scrive: «Ci furono Numerosi tra essi che ricevettero una singolare denominazione ufficiale: si chiamavano Santi. I Santi. Concedetemi di fermarvi su questa parola: i Santi. Dimenticate gli uomini, per ricordare solo l’uomo. Pensate a voi stessi. Guardate nel vostro abisso. Pensate a che cosa deve accadere, perché un uomo sia Santo. Eppure, è accaduto» (Fisionomie di Santi, Fògola, Torino 1977).

Stupefacente armonia
Ernest Hello continua: «Il mondo soprannaturale, come il mondo naturale, contiene l’unità nella varietà e proprio questo è il senso della parola Universo. Gli Eletti [i Santi] variano tra loro per intelligenza, attitudine, vocazione. Hanno doni diversi e grazie diverse. Eppure, un’invisibile somiglianza sta al fondo della grandissima diversità. Portano tutti il medesimo segno: il segno dello stesso Dio. Le loro vite, tutte prodigiosamente differenti tra loro, contengono in diversissime lingue lo stesso insegnamento. Nella loro varietà non sono mai contraddittorie. Sono legate tutte alla Storia, mischiate alle sue innumerevoli complicazioni; eppure, la purezza dell’insegnamento che ci portano è assolutamente intatta… Hanno tutte la stessa fede; cantano tutte il medesimo Credo. Non vi pare stupefacente questa unanimità?».

La chiamata alla santità
Papa Francesco spiega molto bene qual è la via della santità e lo ripete spesso: «…siamo tutti chiamati alla santità. I Santi e le Sante di ogni tempo, che oggi celebriamo tutti insieme, non sono semplicemente dei simboli, degli esseri umani lontani, irraggiungibili. Al contrario, sono persone che hanno vissuto con i piedi per terra; hanno sperimentato la fatica quotidiana dell’esistenza con i suoi successi e i suoi fallimenti, trovando nel Signore la forza di rialzarsi sempre e proseguire il cammino. Da ciò si comprende che la santità è un traguardo che non si può conseguire soltanto con le proprie forze, ma è il frutto della grazia di Dio e della nostra libera risposta a essa. Quindi la santità è dono e chiamata… è una vocazione comune di tutti noi cristiani, dei discepoli di Cristo; è la strada di pienezza che ogni cristiano è chiamato a percorrere nella fede, procedendo verso la meta finale: la comunione definitiva con Dio nella vita eterna. La santità diventa così risposta al dono di Dio, perché si manifesta come assunzione di responsabilità. In questa prospettiva, è importante assumere un quotidiano impegno di santificazione nelle condizioni, nei doveri e nelle circostanze della nostra vita, cercando di vivere ogni cosa con amore, con carità» (Angelus, 1 novembre 2019).

Non solo i santi del calendario
Francesco continua: «Così sono i santi: respirano come tutti l’aria inquinata dal male che c’è nel mondo, ma nel cammino non perdono mai di vista il tracciato di Gesù, quello indicato nelle Beatitudini, che sono come la mappa della vita cristiana. Oggi è la festa di quelli che hanno raggiunto la meta indicata da questa mappa. Non solo i santi del calendario, ma tanti fratelli e sorelle “della porta accanto”, che magari abbiamo incontrato e conosciuto. Oggi è una festa di famiglia, di tante persone semplici e nascoste che in realtà aiutano Dio a mandare avanti il mondo». (Angelus, 1 novembre 2017)

Come si diventa santi?
L’esortazione apostolica Gaudete et exsultate è tutta dedicata alla chiamata alla santità: Papa Francesco cerca «di incarnarla nel contesto attuale, con i suoi rischi, le sue sfide e le sue opportunità. Perché il Signore ha scelto ciascuno di noi per essere santi e immacolati di fronte a Lui nella carità (Ef 1,4)» (GE 2).

Diventare santi è possibile seguendo la grande regola che ci ha lasciato Gesù e ritroviamo nel Vangelo di Matteo. Scrive Papa Francesco: «Se cerchiamo quella santità che è gradita agli occhi di Dio, in questo testo troviamo proprio una regola di comportamento in base alla quale saremo giudicati: Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi (Mt 25, 35-36) … Essere santi non significa, pertanto, lustrarsi gli occhi in una presunta estasi. Diceva san Giovanni Paolo II che “se siamo ripartiti davvero dalla contemplazione di Cristo, dovremo saperlo scorgere soprattutto nel volto di coloro con i quali egli stesso ha voluto identificarsi”. Il testo di Matteo 25, 35-36 “non è un semplice invito alla carità: è una pagina di cristologia, che proietta un fascio di luce sul mistero di Cristo”. In questo richiamo a riconoscerlo nei poveri e nei sofferenti si rivela il cuore stesso di Cristo, i suoi sentimenti e le sue scelte più profonde, alle quali ogni santo cerca di conformarsi» (GE 95-96).

Cielo e terra, duplice dimensione della Chiesa
Benedetto XVI ha osservato: «Questa festa ci fa riflettere sul duplice orizzonte dell’umanità, che esprimiamo simbolicamente con le parole “terra” e “cielo”: la terra rappresenta il cammino storico, il cielo l’eternità, la pienezza della vita in Dio. E così questa festa ci fa pensare alla Chiesa nella sua duplice dimensione: la Chiesa in cammino nel tempo e quella che celebra la festa senza fine, la Gerusalemme celeste. Queste due dimensioni sono unite dalla realtà della “comunione dei santi”: una realtà che comincia quaggiù sulla terra e raggiunge il suo compimento in Cielo» (Angelus, 1 novembre 2012).

Il Pantheon, prima basilica dedicata a Tutti i Santi
Riferimenti alla festa, ma limitata ai martiri, si riscontrano già nel IV secolo nei padri della Chiesa, come in Giovanni Crisostomo ed Efrem il Siro. Anche la data cade in un giorno diverso, il 13 maggio, quando, tra 609 e 610, per volere di papa Bonifacio IV, l’antico tempio dedicato a tutti gli dei, il Pantheon, viene trasformato in una basilica consacrata alla Vergine e a tutti i martiri, la Dedicatio Sanctae Mariae ad Martyres.

Nell’VIII secolo, con Gregorio III, la data della ricorrenza viene spostata al 1° novembre, anniversario della consacrazione delle reliquie «dei santi apostoli e di tutti i santi, martiri e confessori, e di tutti i giusti resi perfetti che riposano in pace in tutto il mondo» in una cappella di San Pietro in Vaticano. La data viene così a essere fissata nell’attuale, diventando di precetto con il re Luigi il Pio nell’835, su sollecitazione di papa Gregorio IV.

Il legame della Festa dei Santi con la Commemorazione dei Defunti
Sembra non essere un caso che la festa di Ognissanti preceda di un giorno quella dei defunti e il motivo viene spiegato dal papa emerito Benedetto: «Per questo è molto significativo e appropriato che dopo la festa di Tutti i Santi la Liturgia ci faccia celebrare domani la Commemorazione di tutti i fedeli defunti. La “comunione dei santi”, che professiamo nel Credo, è una realtà che si costruisce quaggiù, ma che si manifesterà pienamente quando noi vedremo Dio “così come egli è” (1Gv 3,2). È la realtà di una famiglia legata da profondi vincoli di spirituale solidarietà, che unisce i fedeli defunti a quanti sono pellegrini nel mondo. Un legame misterioso ma reale, alimentato dalla preghiera e dalla partecipazione al sacramento dell’Eucaristia. Nel Corpo mistico di Cristo le anime dei fedeli si incontrano superando la barriera della morte, pregano le une per le altre, realizzano nella carità un intimo scambio di doni» (Angelus 1 novembre 2005).

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