Non fatevi rubare i sogni, sono il futuro. Dialoghi al #meeting 2019

Emilia Guarnieri (Foto archivio Siciliani)

Avvenire

Da dove nasce l’io? Da dove viene il “volto” di ciascuno di noi? Cosa dà peso e significato irriducibile al nostro nome? I versi tratti da una poesia di Karol Wojtyla, che danno il titolo al Meeting 2019, mettono a fuoco il fatto che il proprio nome, cioè la propria consistenza umana, nasce da quello che si fissa, e cioè dal rapporto con un altro da sé.

Nell’edizione del Quarantennale del Meeting saranno soprattutto i convegni che si tengono ogni giorno, alle 15 nell’Auditorium Intesa Sanpaolo B3 a svolgere questi temi, come un filo conduttore della manifestazione. Gli incontri delle 15 coinvolgeranno personaggi di primo piano della politica e della scienza, della cultura e dell’arte su temi che poi ritroveremo in mostre, convegni, spettacoli del Meeting.

L’incontro inaugurale vedrà, come ogni anno, una personalità al vertice delle istituzioni riflettere sulle opportunità che i temi del
Meeting offrono alla crescita sociale del nostro Paese: domenica 18 agosto il presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati parlerà di “Persona e amicizia sociale”, con l’introduzione di Emilia Guarnieri, presidente Fondazione Meeting per l’amicizia fra i popoli, e del presidente della Fondazione per la Sussidiarietà Giorgio Vittadini.

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Ecco una anticipazione dell’intervista alla presidente della Fondazione Meeting Emilia Guarnieri

Non fatevi rubare i sogni, sono il futuro: il 19 agosto, Matteo Severgnini, direttore della Luigi Giussani High School di Kampala, dialogherà con il presidente della Cei, il cardinale Gualtiero Bassetti, partendo proprio dall’appello rivolto da papa Francesco ai giovani nell’incontro dello scorso anno al Circo Massimo.

Emilia Guarnieri, presidente della Fondazione Meeting: il Meeting è nato da uno sogno giovanile, 39 anni fa. Quanto di quel sogno è diventato futuro, cioè presente, e quanto si è perso per strada?

Il Meeting è nato da un impeto, da una passione a comunicare e a testimoniare, cioè a rendere presente la nostra umanità, frutto dell’esperienza cristiana che avevamo incontrato attraverso il carisma di don Giussani. In questo senso tutto quello che ne è nato non è stato un mettere a tema un progetto e trarne le conseguenze operative, ma seguire gli incontri, i rapporti e le evidenze che emergevano man mano da una storia vissuta insieme. La nostra generazione non sognava più un mondo migliore al modo del ’68, in questo senso avevamo già dato, il tempo dell’utopia si era consumato. L’idea del Meeting invece era totalmente legata alla realtà: portare a Rimini le esperienze più belle e vere che potevamo trovare nel mondo e questo penso si sia realizzato. Perciò non mi viene da dire che si sia perso qualcosa, a parte la giovinezza anagrafica, peraltro sostituita da una consapevolezza che dà gusto alla vita.

Quarant’anni fa cosa sognavate?

Alla fine degli anni Settanta l’atmosfera in Italia e nel mondo era segnata da conflitti e contrapposizioni. Penso alla guerra civile libanese, l’Afghanistan, l’Iran di Khomeini, le dittature latinoamericane. In Italia erano ancora aperte la stagione del terrorismo e la ferita della vicenda Moro. Sono anche gli anni però in cui papa Wojtyla gridava con forza di spalancare le porte a Cristo, in una prospettiva non solo individuale ma globale, pensando ai confini degli Stati e ai sistemi politici. Parlare allora di amicizia fra i popoli significava quindi guardare con speranza a tutti i segnali che andavano in direzione di un’Europa riconciliata, di muri da abbattere, di guerre di cui si sperava la fine imminente, di libertà e diritti umani di nuovo praticabili. Se si guarda il programma dei primi Meeting, ciò è evidentissimo.

Lei crede che i giovani del 2019 sognino ancora?

Certo, il cuore non molla mai! Anche se i giovani spesso non hanno il coraggio di riconoscere e di amare la portata infinita del loro desiderio. Anche perché sognare implica assumersi una responsabilità nei confronti del proprio desiderio. Ma noi dobbiamo guardare i giovani con una stima più grande di quella che loro riescono ad avere in sé stessi, perché la meritano. E poi questa non è una generazione di rottamatori, ma al contrario è una generazione che guarda con interesse chi è più grande. Certo, grazie a Dio, non fanno sconti sulla verità di ciò che viene loro proposto.