Non cercate Dio, trovatelo. Non fra i morti, fra i vivi. Il sepolcro è vuoto. La risurrezione di Gesù, è come un giuramento di Dio per il riscatto delle vittime della nostra ingiustizia

Un presepe pasquale. Cristo è risorto

Un presepe pasquale. Cristo è risorto

L’omino pazzo di Nietzsche, che scende nella città-mercato cercando Dio, suscita lo scherno degli intellettuali che stanno nei pressi (e dove se no?). “Forse si è perso”. “Forse si è addormentato”. “Forse si è dimenticato”. L’omino non sopporta questa cialtroneria e si infiamma. “Noi l’abbiamo ucciso!”, grida. “E non siamo neppure consapevoli dell’enormità del nostro gesto. Il cielo, la terra, il mondo e tutti i nostri sogni più alti ricadono sulle nostre spalle, che non ne potranno reggere il peso”.

L’omino di Nietzsche andava ascoltato, almeno in questo. Ormai la puntigliosa decostruzione intellettuale delle tracce del Dio fatto uomo per amore dell’uomo, ha sfiancato i popoli europei che avevano compiuto l’impresa di trarne un umanesimo della persona e della libertà, della storia delle generazioni e del destino della vita. E ha richiamato in servizio i fantasmi di antiche divinità sacrificali e ostili alla comunità umana. Ha riaperto le danze intorno all’adorazione del vitello d’oro, che consacra la ricchezza dei pochi e rende ragionevole la povertà dei molti. La regìa scientifica della morte di Dio, infine, illude le nuove generazioni con promesse che l’uomo economico e tecnocratico non è assolutamente in grado di mantenere.

Sono ingiusti con noi, e con i nostri figli, questi intellettuali che ci passa la città-mercato. Non ne hanno il diritto. Noi non siamo così. Però ci tolgono le parole per dirlo. Ci parlano di globalizzazione dei diritti umani, ma ci mettono gli uni contro gli altri, quartiere per quartiere: per motivi di religione, di etnia, di risorse, di benessere. Ci spingono a diventare padroni del mondo e della storia, della nostra identità e del nostro destino: ma ogni giorno ci istupidiscono con l’idea che tutto è scritto nei numeri e nei geni, nei neuroni e nei neutrini. E siamo tutti eccitati in attesa di scoprire il segreto della produzione tecnologica della vita, l’equazione unificata delle forze del cosmo, l’algoritmo della gestione centralizzata dell’intelligenza artificiale che sostituirà la nostra, imperfetta. Il resto – ossia l’umano, bello da morire, ma dolorosamente impreciso – potrà diventare secondario. L’umano diventerà un fatto privato, soggettivo e ininfluente nei confronti dell’algoritmo che plasma il mondo e decide la storia.

L’omino di Nietzsche aveva le sue ragioni, per richiamare gli uomini alla terribile responsabilità della “morte di Dio”. Però, l’omino sbagliava – non senza malizia – quando cercava Dio nella città-mercato. Dio si cerca nel luogo degli affetti che generano la vita della comunità e la prossimità fra gli umani.

In quel luogo – certamente umano, certamente universale – si ascolta oggi una parola che riapre la storia agli affetti della vita e strappa il mondo alla rassegnazione del nichilismo. “Il Figlio è risorto”, è uno dei nostri, porta il nome di Gesù.

Non cercare Dio al mercato. Segui la Stella, segui la Croce, segui lo Spirito. Rovescia i tavoli dei cambiavalute, onora il padre e la madre, riprenditi l’umano. E ascolta le campane della festa della risurrezione del mondo: non suonano soltanto per noi, suonano per tutti. Esse restituiscono onore all’immensa moltitudine degli uomini e delle donne che lottano per rimanere umani, portando lietamente gli uni i pesi degli altri. Suonano come carezze per la loro speranza senza prezzo, che illumina la vita contro ogni speranza da quattro soldi. E risuonano come colpi di maglio che devono scuotere la mediocrità di professionisti del sacro senza più lievito per le nostre anime e l’arroganza dei nuovi mercanti di schiavi che se le rivendono al miglior offerente.

“Io sono la risurrezione e la vita”. Dobbiamo restituire la parola a questa moltitudine e siamo tremendamente in ritardo. Non cercate Dio, trovatelo. Non fra i morti, fra i vivi. Il sepolcro è vuoto. La risurrezione di Gesù, primogenito di molti fratelli e sorelle, è come un giuramento di Dio per il riscatto delle vittime della nostra ingiustizia. Una religione che imbianca i sepolcri della nostra mondanità spirituale, come anche il futile ateismo della nostra indifferenza per l’umanità dei vivi, sono già un tradimento. Le liete campane della Pasqua, che ci sciolgono dall’incantamento del nichilismo, sono un atto di giustizia.

da Avvenire