No alla banalità del nulla

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Come potevo allora unirmi a questo selvaggio idolatra nell’adorazione del suo pezzo di legno? Ma che cos’è adorare? Credi davvero, Ismaele, che il magnanimo Dio del cielo e della terra – pagani e tutti quanti inclusi – possa mai essere geloso di un insignificante pezzo di legno nero? Impossibile! Allora, che cos’è adorare?
Herman Melville, Moby Dick

La profezia è una radicale critica delle religioni e dei culti. Di ogni religione e di ogni culto, che hanno una intrinseca tendenza a trasformarsi in pratiche idolatriche. Anche e soprattutto della rivelazione biblica, una critica sistematica e tremenda, per evitare che la parola biblica diventi una semplice religione – una fede che diventa solo religione è già culto idolatrico. La Bibbia è molto più di un libro sacro di una religione, anche perché ha accolto e custodito nel suo seno i libri dei profeti, che, insieme a Giobbe e Qohelet, le hanno impedito di diventare un oggetto idolatrico. I profeti, allora, svuotando il mondo religioso dagli idoli, cercano di liberarci il paesaggio dai nostri manufatti religiosi per crearci un ambiente nel quale, forse, possiamo ascoltare solo una nuda voce. Sono i grandi liberatori dagli dèi che riempiono la terra e le nostre anime. Il primo passaggio necessario che sta di fronte a chi inizia un cammino di fede è allora l’a-teismo, la liberazione dai tanti totem e feticci che riempiono la nostra esistenza. I profeti sanno che la condizione naturale dell’uomo non è l’ateismo ma l’idolatria, la produzione sistematica e sempre più sofisticata di manufatti materiali e ideali da adorare e ai quali poi asservirsi in cerca di false e facili salvezze. Perché se il Dio biblico diventa semplicemente un altro idolo da aggiungere al nostro pantheon, non può fare altro che aumentare la nostra schiavitù. Il Dio biblico riesce a essere diverso dagli idoli solo in un tempio vuoto perché a un certo punto è stato svuotato.
E così, per farci comprendere la differenza tra l’idolatria e la sua fede, il profeta deve svolgere un lavoro di pulizia spirituale, e riportarci alle pendici dell’Oreb, dove “vi era soltanto una voce”. Finché ci intratteniamo con i balocchi religiosi che ci hanno regalato i parenti o che abbiamo imparato a costruire con le nostre mani, non può iniziare nessuna vita autenticamente spirituale – la giovinezza è il momento propizio per iniziare un cammino vero di fede anche perché si è più liberi dagli dèi sbagliati. Sta quasi tutta qui la necessità della profezia in ogni epoca e in ogni luogo, perché senza essere afferrati dentro dalla sua forza smascheratrice e divoratrice del “legno” che ci circonda, dialoghiamo tutta la vita con manufatti, anche quando li chiamiamo Dio o Gesù.
Quindi, paradossalmente (la Bibbia è un grande e unico vitale paradosso, e solo dentro questo paradosso si apre), l’ateo onesto si trova in una condizione esistenziale più adatta di quella in cui si trova l’uomo religioso per poter iniziare l’autentica esperienza della fede biblica, perché nella sua terra desolata e vuota è più facile poter udire una sottile voce di silenzio. Ma, purtroppo, molti di coloro che sembrano e si credono atei sono fedeli devoti di qualche ideologia, o adoratori perpetui dell’idolo più grande: il proprio io.

È a questo livello che va colta la portata universale della parola profetica, che parla e ama tutti dentro e fuori le religioni, perché l’universo idolatrico è molto più vasto di quello esplicitamente religioso. A tutti i veri profeti ripetono, qui e ora, con la loro forte tenerezza: “non abbiate paura”. «Non imparate la condotta delle nazioni e non abbiate paura dei segni del cielo, poiché di essi hanno paura le nazioni. Perché ciò che provoca la paura dei popoli è un nulla, non è che un legno tagliato nel bosco, opera delle mani di un artigiano» (Geremia 10,2-3). Niente più della lotta idolatrica ci rivela la natura liberatrice dei profeti. Liberazione dagli idoli, e liberazione dallapaura per gli idoli che abbiamo creato. Gli idoli sono un niente, ci ripete Geremia, ma se noi gli attribuiamo una qualche esistenza e consistenza, diventano qualcosa, e questo qualcosa ci fa paura. Ieri e oggi l’uomo idolatrico è sempre un uomo pauroso. Ha paura soprattutto della morte, perché intuisce che quegli oggetti fabbricati non sono vivi, non possono sconfiggere la morte; e così ce la ricordano in ogni attimo, e in ogni attimo fa più paura perché diventa più vicina.

Nel capitolo 10 – un testo complesso per la lunga redazione che ha conosciuto, ma fondamentale nell’economia dell’intero libro di Geremia – il profeta ci dona una vera e propria teoria della natura e dello sviluppo dell’idolatria, all’interno di comunità e di persone che avevano una fede non idolatrica. All’inizio della conversione agli idoli troviamo il fascino per la “condotta”, per la “via ” delle altre nazioni, per i loro stili di vita. I culti degli altri popoli diventano giorno dopo giorno più interessanti, attraenti, seduttivi dei nostri. Un interesse, una attrazione-seduzione che non sono mai soltanto faccende religiose, perché agiscono a un livello più generale e profondo. Le processioni dei grandi, alti e splendidi dèi babilonesi, assiri o egiziani, affascinavano gli ebrei perché erano espressione di una cultura “vincente”, erano i segni di quelle grandi potenze politiche e culturali. Le potenze politiche e militari diventano imperi quando la loro cultura e la loro religione inizia a essere desiderata e imitata dai popoli sconfitti. E diventano imperi perfetti e invincibili quando i loro simboli e i loro valori vengono interiorizzati dai nuovi sudditi. Si trova proprio in questa seduzione dell’anima una ragione profonda della critica spietata che i profeti rivolgono alle divinità degli altri popoli. Sanno, per vocazione, che nessuna occupazione politica, nessuna deportazione ci riduce totalmente in schiavitù finché non iniziamo ad adorare i nuovi dèi, fino a quando i loro simboli non segnano la nostra anima.

Poi, una volta sedotti, i nuovi adoratori diventano artigiani produttori dei loro nuovi idoli. Il Dio biblico è unico e quindi non riproducibile. Gli idoli no: possono e devono essere riprodotti, moltiplicati, costruiti in serie, diventare prodotti di consumo di massa. Gli adoratori, infatti, dopo aver tagliato gli alberi nel bosco, dopo averucciso l’albero vivo per farne un oggetto morto (all’origine del totem c’è questa violenza, che l’uomo antico sentiva e capiva molto più di noi), «li abbelliscono di argento e di oro, li fissano con chiodi e con martelli, perché non traballino» (10,4). E i commerci proliferano, perché, ieri e oggi, non c’è una merce che gli uomini amino più degli idoli.
Geremia ha fatto l’esperienza di una voce vera, si è sentito chiamare per nome da qualcosa di vivo. Immenso gli doveva allora apparire il contrasto tra il suo Dio diverso e quei pezzi di legno intagliati, verniciati e addobbati che stavano riempiendo il suo paese: «Nessuno è come te, Signore» (10,6). Gli idoli «non sanno parlare, bisogna portarli, perché non possono camminare. Non temeteli: non fanno alcun male, come non possono neppure fare del bene» (10,5). Sono semplicemente innocui, vuoto, soffio, nulla, hevel: «Tutti sono stolti e sciocchi, vana la loro dottrina, come un pezzo di legno. … Sono oggetti inutili, opere ridicole» (10: 8,15). In questo contesto risuona forte la sua famosa e geniale definizione di idolo: «Gli idoli sono come uno spaventapasseri in un campo di cetrioli» (10,5).

Ma è proprio qui che dobbiamo iniziare un nuovo discorso. Geremia dice, canta, ripete, la diversità di YHWH anche perché l’incontro che Israele stava facendo con nuovi e antichi popoli dai molti dèi di legno, avrà, forse, insinuato anche nel profeta la domanda: e se anche il nostro Dio fosse, in realtà, soffio e vuoto come tutti questi altri idoli? Lo smascheramento del nulla dell’idolatria mette in crisi anche la fede non idolatrica, perché il disgusto per gli adoratori adoranti il nulla, fa vacillare anche la propria fede che si crede diversa. Quando, per vocazione o per dono, un benedetto giorno si riesce a capire che la maggior parte dei culti che vediamo attorno a noi sono forme più o meno sofisticate di idolatria e di illusione, un banale nulla consolatorio rivestito e addobbato in varie forme, la prima esperienza è la nascita di una tenace domanda interiore: ma perché la mia fede dovrebbe essere diversa dalle altre illusioni? Sarà vero che «Il Signore, invece, è veramente Dio, egli è Dio vivente» (10,10)? Oppure anche la voce che ho ascoltato era solo un suono di un legno morto? Una domanda onesta che cresce e diventa inevitabile. E così, molte persone perdono la propria fede buona di fronte alla scoperta dell’inganno della fede-idolatria degli altri, che trascina anche la propria, che appare troppo simile a quella sbagliata e ingannatrice. Questa domanda nei profeti diventa fortissima, e per esorcizzarla arrivano a dire parole durissime sugli dèi degli altri, negando che anche quelle adorazioni di pezzi di legno o degli astri potessero contenere qualcosa di autentico, qualche soffio di quello spirito vero che soffia dove vuole. Anche i profeti hanno diversamente paura degli idoli.

Non dobbiamo, allora, leggere oggi la critica radicale che Geremia e i profeti rivolgono agli idoli come una negazione di ogni verità di tutte le fedi diverse da quella biblica. Se lo facessimo, non coglieremmo la natura del fenomeno religioso né lo spirito profondo delle parole di Geremia. Due millenni e mezzo di storia delle religioni e di cristianesimo hanno rafforzato e confermato il valore spirituale e umano della polemica anti-idolatrica di Geremia: le nostre città capitalistiche di solo consumo sono sempre più simili a Babilonia e Ninive, e la trasmutazione idolatrica delle antiche fedi è ogni giorno più evidente. Al tempo stesso, abbiamo imparato che non tutti gli dèi diversi dal nostro sono idoli e spaventapasseri, e che forse in ceppi di legno colorato ci può essere meno nullità e stupidità di quelle presenti nelle nostre merci ipertecnologiche sempre più idolatrate. E che, forse, lo spirito di Dio che abita misteriosamente ma veramente nel cuore di ogni uomo e di ogni donna può riconoscere un suo stesso soffio persino in un tronco d’albero. I profeti e la Bibbia crescono con la nostra vita, e imparano cose nuove grazie alla nostra lettura onesta e generosa delle loro antiche splendide parole.

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