Nell’identità dei cristiani l’imperativo dell’amore reciproco

di Brian Farrell

Celebrare il concilio Vaticano II nel suo cinquantesimo anniversario significa meditarne una visione onnicomprensiva. Ciò implica tanto ripercorrerne i tratti portanti, le “grandi arterie” che ne costituiscono la mens, i traguardi, i criteri interpretativi, quanto ravvisarne articolazioni e snodi minori, che tuttavia sono parte integrante del poderoso corpus conciliare, e spesso si sono rivelati temi prioritari della riflessione teologica successiva.
L’ecumenismo è uno dei grandi orizzonti che hanno plasmato il pensiero teologico conciliare, essendo “il ristabilimento dell’unità uno dei principali scopi del Concilio” come ricorda l’inizio del decreto sull’ecumenismo Unitatis redintegratio (n. 1), e come anticipato da Giovanni XXIII la sera del 25 gennaio 1959, quando, durante i vespri nella basilica di San Paolo fuori le Mura, palesò l’intenzione di convocare un concilio ecumenico. La formazione ecumenica, invece, appartiene a quegli aspetti che, non sviluppati estensivamente nei documenti conciliari, si sono rivelati un’articolazione nevralgica, tanto da diventare, nell’immediato post-concilio, e fino a oggi, una delle priorità nella ricerca dell’unità visibile fra i cristiani. Anche la formazione ecumenica, dunque, “compie” cinquant’anni e merita qualche riflessione. La piena comunione non si realizzerà unicamente grazie allo scambio teologico, che pure ne è un aspetto fondamentale, ma si attuerà solo se le Chiese e comunità ecclesiali cammineranno insieme, se tutto il popolo di Dio procederà verso la comunione viva e vera, in un cammino di grazia e di amore, costruito con il contributo di ciascuno. In questa prospettiva appare assai significativo che il Pontificio consiglio per l’unità, nell’incoraggiare e promuovere la formazione ecumenica – e specificamente il Direttorio del 1993, n. 55 -, richiami il ruolo insostituibile della Chiesa locale, in cui risiede la possibilità concreta che l’invito alla formazione diventi realtà, e luogo privilegiato in cui essa può essere fruttuosamente contestualizzata.
Ritrovare nell’identità dei cristiani l’imperativo dell’amore reciproco, perché, una volta reso saldo e visibile questo amore, possa essere resa sinergica l’opera delle Chiese per promuovere il Regno, è il fine dell’ecumenismo. Ma è ancor prima l’obiettivo della vita di fede e della chiamata a essere testimoni della Resurrezione dinnanzi al mondo. La formazione ecumenica, come formazione al dialogo che pone il perseguimento dell’unità e della comunione al centro del cammino delle Chiese e dei singoli fedeli, è dunque formazione cristiana in senso più autentico.