Nell’arte La Trasfigurazione e il ritorno al Getsemani

Andrea Previtali dà l’impressione di aver scelto la parte finale del racconto, quando il Signore sta per annunciare nuovamente la propria passione, morte e risurrezione

Previtali

 

TRASFIGURAZIONE

(Andrea Previtali, 1513, Milano, Accademia di Brera)

 

«Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo» (Mt 17,1-9)

 

È una Trasfigurazione fuori degli schemi, a dimostrazione della crescente libertà narrativa degli artisti. Se è rimasta la centralità di Gesù, sono però svaniti Mosè ed Elia. E i tre apostoli che Gesù porta con sé si intuiscono appena (in piccolo, sul lato sinistro), dando la sensazione d’essere sulla via del ritorno. O di incamminarsi verso il Getsemani (dove i tre saranno presenti alle sofferenze di Cristo).

Sì, l’artista dà l’impressione di aver scelto la parte finale del racconto, quando il Signore sta per annunciare nuovamente la propria passione, morte e risurrezione.

Non si direbbe, vedendo Gesù sfolgorare per il candore della veste e per il rapporto – sempre nel segno del bianco – con il Padre e lo Spirito Santo. O vedendo quei piedi poggiati su un prato fiorito, analogo a quelli dei mosaici absidali bizantini (ad es. a Ravenna e a Roma)…

Tuttavia la luce bianchissima dell’abito, potenziata dal verde del bosco e dagli azzurri del lago e del cielo, non è serena e si avverte nell’aria la tragedia imminente. La Trinità pare riunita per affrontare insieme gli ultimi giorni del Figlio. E quello che sembra un paradiso terrestre riceve una ferita da quel tronco tagliato, accanto a Gesù, allusivo alla croce.

Prima di dire «Tutto è compiuto», c’è ancora la vita da dare. E lo Spirito da donare, come si legge nel cartiglio sopra la colomba: la Pentecoste ha già inizio il venerdì santo.

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