NELLA TERRA DI ABRAMO: IL SOGNO DI PACE DEL PAPA

«Gridano le persone in fuga ammassate sulle navi, in cerca di speranza… Tante volte penso all’ira di Dio che si scatenerà con i responsabili dei Paesi che parlano di pace e vendono le armi per fare queste guerre…». Era il 12 giugno 2019 quando il Papa, ricevendo le Opere di aiuto alle Chiese orientali, pronunciò parole vibranti sui mercanti di armi che alimentano le guerre, come quelle che hanno stremato la regione irachena negli ultimi decenni. Francesco espresse chiaramente la volontà di recarsi in Iraq seguendo l’idea di un viaggio nella terra di Abramo che aveva già in testa dall’inizio del 2018. Sempre in quell’occasione aveva affermato che «un pensiero insistente mi accompagna pensando all’Iraq, dove ho la volontà di andare perché possa guardare avanti attraverso la pacifica e condivisa partecipazione alla costruzione del bene comune di tutte le componenti anche religiose della società, e non ricada in tensioni che vengono dai mai sopiti conflitti delle potenze regionali». L’idea di un viaggio in Iraq non è dunque nuova: era però sempre stata rinviata perché sia dal punto di vista politico che della sicurezza non era possibile realizzarla. Ma per arrivare a Baghdad nel marzo 2021 il Papa attraverserà anche il Covid fino a raggiungere Erbil, capoluogo della regione autonoma del Kurdistan iracheno, patria dei rifugiati, patria di quanti sono scappati dalle guerre del terrore jihadista. Andrà a Mosul, a Qaraqosh, nella biblica piana di Ninive, per poi mandare il suo messaggio dalla piana di Ur, legata alla memoria di Abramo, padre nella fede per ebrei, cristiani e musulmani. Sono queste le tappe di un viaggio emblematico e profetico nella cerniera del Medio Oriente, da tempo pensato per superare i mali e «le ombre di un mondo chiuso» e dare seguito tangibile all’enciclica Fratelli tutti. Così che dalle ombre di questi tempi difficili possano aprirsi altre prospettive, considerato anche il contesto geopolitico: la pressione delle tensioni regionali, come quelle tra Iran e Arabia Saudita e quelle globali, a partire dagli Stati Uniti, affinché da questa regione chiave possa fiorire la riscoperta di un destino comune che possa stemperare le contrapposizioni per costruire la fiducia, la pace, la stabilità e la ricostruzione. E poter così superare i fondamentalismi e i settarismi che mettono in crisi la convivenza. Perché anche il futuro della presenza dei cristiani martoriati di questa regione passa per la ricucitura del tessuto interetnico e interreligioso lacerato dai settarismi. Nel segno di Abramo.

In maniera puntuale lo aveva già rilevato il cardinale Louis Raphael Sako, patriarca di Babilonia dei caldei: «Mi sembra che il Papa abbia un progetto, con al centro i Paesi abitati dai musulmani – aveva affermato –. Lui è stato in Egitto, negli Emirati, in Marocco. Una visita in Iraq potrebbe continuare questo progetto. Ad Abu Dhabi ha firmato il ‘Documento sulla Fratellanza umana’ insieme al grande imam di al-Azhar. Qui in Iraq potrebbe parlare anche della paternità di Dio per tutti. Dio è Padre, e noi siamo tutti fratelli non solo in una dimensione esclusivamente umana. Siamo fratelli perché figli di Dio. Proprio questo ci ricorda Abramo, Padre nella fede per tutti noi, ebrei, cristiani, musulmani. Siamo tutti figli della stessa famiglia di Abramo». Questo significa arrivare a Ur dei Caldei, da dove è partito Abramo, un luogo che anche san Giovanni Paolo II sognava di visitare per una preghiera insieme, cristiani e musulmani. Se il Papa ha firmato il ‘Documento sulla Fratellanza umana’ con il grande imam sunnita nel corso del viaggio negli Emirati, la sortita in Iraq potrebbe anche offrire occasioni di incontri ravvicinati con l’islam sciita. Gli sciiti sembrano interessati, si potrebbero proporre documenti condivisi anche con loro. Incontrare poi i rifugiati e le comunità cristiane è la priorità della visita del Papa per «la tragica e ingiusta esperienza di violenza e di terrorismo» che tanti hanno dovuto subire e l’importanza di preservarne la presenza storica, considerata l’emorragia dei cristiani che nel 2003, anno del conflitto che portò alla caduta di Saddam Hussein, erano circa ben oltre il milione mentre oggi sono ridotti a 300mila. Nella sua visita natalizia a Baghdad, portando ai fedeli la vicinanza e l’affetto del Papa, giusto due anni fa il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin li aveva esortati «a continuare a vivere l’appartenenza alla Chiesa e la sua missione con generosità e speranza in questa terra dove è cominciata la storia della salvezza».