Nella letteratura. Un cristiano assurdo

di Sergio Di Benedetto | 04 dicembre 2015 – vinonuovo.it
Davanti al Battista con gli occhi del Celestino V di Ignazio Silone: «Vi sarà sempre qualche cristiano che prenderà Cristo sul serio, qualche cristiano assurdo, come ama dire Bonifacio. Poiché gli stessi che lo tradiscono, non possono distruggere il Vangelo».

silone

C’è una storia che procede sicura: è la storia dei grandi, dei potenti, di quelli che credono di decidere le sorti del mondo. Un imperatore, un governatore, tre re locali, due sommi sacerdoti. È la storia dei titoli e dei nomi altisonanti: 14 nomi propri nelle prime righe del Vangelo della II domenica di Avvento.

E poi c’è la storia nascosta, che abita le periferie del mondo. Un uomo a cui tocca in sorte di ricevere la Parola di Dio nel deserto: il luogo più inospitale che possa esistere. E quest’uomo grida in quel luogo: non in piazza, in città, al tempio, al mercato, ma nel deserto.

Il mondo sembra andare in un’altra direzione, indifferente ai deserti. Eppure la Parola di Dio arriva là dove nulla sembra esserci, perché là c’è qualcuno che la prende sul serio, che crede a quella parola e alla forza che essa possiede. Qualcuno di assurdo, che sta fuori dalle chiese e dai gruppi che contano e che per questo ha il vigore della profezia. Qualcuno che ha il coraggio di annunciare che “ogni uomo” (non solo imperatori, re e sacerdoti) “vedrà la salvezza di Dio”.

«Vi sarà sempre qualche cristiano che prenderà Cristo sul serio, qualche cristiano assurdo, come ama dire Bonifacio. Poiché gli stessi che lo tradiscono, non possono distruggere il Vangelo. Lo possono nascondere, ne possono dare interpretazioni di comodo, ma non distruggerlo. Per cui ogni tanto qualcuno lo riscoprirà e accetterà con animo sereno di andare allo sbaraglio.»

Un cristiano assurdo è al centro de L’avventura di un povero cristiano, l’ultimo libro di Ignazio Silone, “cristiano senza chiesa e comunista senza partito”, come amava definirsi. Al centro la vicenda di Celestino V, santo, al secolo Pietro da Morrone, l’eremita abruzzese eletto Papa che abdica nel 1294 dopo pochi mesi di pontificato e alcuni tentativi poco riusciti di riforma della Chiesa. Dopo di lui arriverà Bonifacio VIII, da Dante collocato nell’Inferno (come severamente pone nell’Antinferno, probabilmente, Celestino).

La figura di Pietro da Morrone è tornata alle cronache nel 2013, dopo le dimissioni di Benedetto XVI. Silone lo riscopre nel 1968, anno quanto mai carico di peso storico: egli segue nella sua drammaturgia la storia dell’elezione e del pontificato, fino alla fuga di Celestino e alla cattura ordinata da Bonifacio VIII, dando veste teatrale agli eventi di quei mesi storici.

Al centro vi è un unico grande tema, incarnato dall’eremita e dai suoi sostenitori: la radicalità evangelica. In quest’ottica può essere letta l’intera narrazione: vi è un uomo che ascolta la Parola di Dio e che crede fino in fondo ad essa, un uomo che vive appartato, in un “deserto”, mentre i potenti litigano sulla spartizione di prebende e posti in prima fila, fino a quando lo Spirito soffia nella sua direzione. In un contesto in cui il tradimento del Vangelo è all’ordine del giorno, l’eremita prende “Cristo sul serio” e si scontra con chi usa quel Cristo per i propri fini. Alla fine verrà schiacciato dagli ingranaggi del potere, che oggi potremmo chiamare “macchina del fango” o scandali di altra natura (nulla di nuovo sotto il sole, purtroppo).

Celestino fa un passo indietro, nella sua umiltà. Ma testimonia che ci sarà sempre qualcuno che crederà radicalmente al Vangelo.

Nel finale, un dialogo drammatico tra Celestino e Bonifacio mette in scena le due opposte concezioni della Chiesa: chi la serve e chi invece si serve di essa. Sono parole che potrebbero essere state scritte pochi giorni fa.

«Se però il cristianesimo viene spogliato delle sue cosiddette assurdità per renderlo gradito al mondo, così com’è, e adatto all’esercizio del potere, cosa ne rimane? Voi sapete che la ragionevolezza, il buonsenso, le virtù naturali esistevano già prima di Cristo, e si trovano anche ora presso molti non cristiani. Che cosa Cristo ci ha portato di più? Appunto alcune apparenti assurdità. Ci ha detto: amate la povertà, amate gli umiliati e offesi, amate i vostri nemici, non preoccupatevi del potere, della carriera, degli onori, sono cose effimere, indegne di anime immortali…»

Giovanni, Celestino, Francesco: ci sarà sempre qualcuno che, in un deserto, in una periferia, prenderà Cristo sul serio e predicherà la conversione e la salvezza.

Ci sarà sempre qualche cristiano assurdo, che ricorderà a tutti che Dio sta nel povero:

«Potrebbe darsi, Santità, che al cospetto di Dio, in questo triste secolo, l’onore del nome cristiano sia affidato a quei poveretti».

In questo triste secolo, in ogni secolo.