Indagine del Censis sulla religiosità

Romani gente di fede. Cattolica naturalmente. Con un deciso ritorno verso forme di religiosità popolare. Detta così sembrerebbe una specie di luogo comune. Che i romani siano di fede cattolica è ovvio più o meno come il fatto che il pallone è rotondo e che non ci sono più le mezze stagioni. Ma a guardar bene i dati diffusi ieri dal Censis – nell’ambito di un percorso tematico che cerca di descrivere da più punti di vista Roma prima del Giubileo straordinario della misericordia – gli aspetti interessanti (in alcuni casi anche sorprendenti) non mancano. A cominciare dalle percentuali di frequenza alla Messa, di confidenza con la preghiera e di consuetudine con i luoghi di culto, sensibilmente più alte di quelle alle quali ci avevano abituati le ricerche sociologiche degli ultimi anni. Il quarto Quaderno Roma verso il Giubileo, pubblicato ieri, afferma infatti che «a Roma il 62,2% dei cattolici va a messa, il 62,1% prega abitualmente, il 41,7% frequenta con regolarità i luoghi di culto, il 39,3% legge testi religiosi, il 23,2% fa pellegrinaggi e il 13,1% svolge regolarmente attività di volontariato in parrocchia».
«Sono numeri– afferma il Censis – che descrivono un tendenziale ritorno alla devozionalità popolare». Soprattutto sono numeri in
controtendenza.
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Che cosa è successo, dunque, per dare corpo a questa rinascita religiosa? Secondo gli autori dell’indagine, la spiegazione principale va cercata in due motivazioni principali. Innanzitutto «nella forza con cui l’attuale pontefice ha ridato vita alla dimensione popolare della fede». E in secondo luogo «nella sottile paura collettiva per l’estremismo islamico, con il conseguente bisogno di ritrovare identità e protezione nella religione dei padri». C’è poi, a latere uno scenario di fondo che – quasi per contrasto – avrebbe determinato il ritorno del pendolo verso posizioni più vicine alla cultura e alla tradizione della Città eterna. Un ritorno che «si spiega anche col fatto che decenni di individualismo, indifferenza, egoismo, nichilismo, narcisismo hanno creato un vuoto di senso che ora spinge a ritrovarsi in una comunità riconosciuta». Tuttavia guardando meglio nelle pieghe della ricerca si vede che non è tutto oro quello che luccica. E che se è da salutare con soddisfazione la tendenza, bisogna saper distinguere anche tra gli aspetti problematici che emergono dai numeri. Innanzitutto l’indagine è stata compiuta su un campione di mille persone, ai quali è stato chiesto di qualificarsi dal punto di vista dell’appartenenza di fede: cattolici, atei, agnostici.

Ma quando nelle pagine della ricerca si parla di «cattolici», bisogna intendere la somma dei credenti-praticanti, dei non praticanti e di coloro che con il cattolicesimo hanno solo un legame di appartenenza culturale. Inoltre, quel 62,2 % che dichiara di andare a Messa, lo fa – precisano dal Censis – in maniera genericamente «abituale», senza ulteriori specificazioni temporali: se cioè la frequenza all’Eucaristia sia giornaliera, settimanale, mensile o più rarefatta. In genere però si tratta di un momento considerato importante per la vita di fede. La Messa domenicale è infatti il culmine della vita cristiana secondo il 30,1% dei cattolici, per il 26,6% è un’esperienza che aiuta a riflettere, per il 20,1% è una pratica di condivisione necessaria alla comunità dei
credenti e solo per l’11,5% è un precetto poco significativo.
Resta dunque il dato positivo di un riavvicinamento che trova nell’’effetto papa Francesco’ una delle sue spinte propulsive più importanti – non a caso, il 77,9% dei romani cattolici considera oggi il pontefice il vero punto di forza del cattolicesimo – e che viene indirettamente confermato anche dalla plebiscitaria richiesta di una Chiesa francescana e umile (93,7%), erede dello spirito del Concilio Vaticano II (88,3%), vicina ai giovani (98,3%) e alle famiglie (97%). E proprio la famiglia, per i romani, resta un valore.
L’80,3% delle coppie coniugate si è sposato con rito religioso (percentuale che sale all’85,5% tra i cattolici) e solo il 19,7% si è unito con matrimonio civile. Per il 34% dei romani, poi, la famiglia è il nucleo fondamentale della società; per il 33,4% è l’unione sacra di un uomo e una donna davanti a Dio e agli uomini (tra i cattolici il dato sale in questo caso al 43,8%). Confortante è anche il fatto che un marginale 5,7% dei romani ritiene che la famiglia sia una istituzione superata, destinata a scomparire.

Mentre tengono anche le tradizioni legate sia alla celebrazione dei sacramenti, sia alle usanze religiose. Quasi tutti i genitori cattolici (il 99%, dato che scende al 43,2% tra i non cattolici) hanno battezzato i figli e la grande maggioranza (il 79,7%) considera il battesimo un sacramento fondamentale che coinvolge l’intera comunità parrocchiale. È ancora molto diffusa anche la prima comunione: il 96,2% dei genitori cattolici (il 31,3% tra i non cattolici) l’ha fatta fare o la farà fare ai figli. A Natale, infine, il 90,8% dei romani cattolici prepara l’albero, il 70% il presepe, il 51,1% va alla messa di mezzanotte. Il ritratto religioso della Roma pregiubilare non sarebbe però completo senza alcuni ‘nei’ che in un certo senso alterano la fisionomia e fanno comprendere quanto ancora siano persistenti e profondi gli effetti della secolarizzazione. Da un lato, infatti il 32,3% dei genitori cattolici registra nel tempo un abbandono della religione da parte dei figli (il che dovrebbe far riflettere sulle vie per la trasmissione della fede), dall’altro si ha in alcuni casi la sensazione di una religiosità da supermercato che prende alcune ‘merci’ dagli ‘scaffali’ e ne rifiuta altre.

«Della religione cattolica – scrive il Censis – non si accetta fino in fondo la morale sessuale: il 73,2 % dei cattolici ritiene che il magistero della Chiesa dovrebbe prendere atto dei cambiamenti sessuali e rivedere le sue posizioni, facendo cadere gli ultimi tabù». Non viene specificato quali, ma non è difficile intuirlo soprattutto se si considera che il 64,3 per cento desidera che vengano riconosciute le coppie omosessuali, sebbene senza matrimonio né possibilità di adottare bambini. Un po’ di meno (56,2 per cento) pensa che i sacerdoti dovrebbero sposarsi e avere figli e il 66,2 per cento che si debba attribuire un ruolo maggiore alle donne nell’organizzazione ecclesiastica. Aspetti questi (soprattutto i riferimenti alla morale sessuale e alle coppie gay) che se non azzerano i dati positivi li rendono comunque più ‘realistici’. Perché anche se si avvicina un Giubileo e c’è un indubbio ‘effetto Papa Francesco’ i problemi non sono affatto scomparsi. E questo non è affatto un luogo comune.

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