Martiri d’Algeria: un’altra Chiesa è possibile

settimenanews

Riprendiamo dalla pubblicazione I piccoli fratelli di Gesù (n. 41, 1 semestre 2019) la testimonianza di uno di loro, Ventura, sull’evento della beatificazione dei 19 martiri di Algeria. Il decreto è stato approvato da papa Francesco il 26 maggio 2018 e l’azione liturgica è stata celebrata a Orano (Algeria), l’8 dicembre 2018, presieduta dal card. Giovanni Angelo Becciu. L’autore vive in Algeria da diversi anni (cf. SettimanaNews:Martiri di Algeria: ospiti dei fratelli islamiciI martiri di Tibhirine proclamati beati).

I tre Mohamed

Come ogni anno, mi piace farvi visita a Natale e parlarvi di un tema che riguarda tutti noi che viviamo in Algeria. Quest’anno voglio rendervi partecipi della mia passione più grande, che altro non è che di sapermi membro attivo della Chiesa d’Algeria.

Sovente, dopo la celebrazione dell’eucarestia al mio paese natio, in Catalogna, la gente mi dice più o meno delle cose di questo genere: «Ma che cosa fai in Algeria? Non ci sono cristiani e non puoi neppure annunciare Gesù apertamente! Saresti più utile qui che laggiù!». Senza entrare in questa discussione, voglio dire subito che tale questione risponde più alla logica del mercato, dell’efficienza e del risultato… che non alla logica evangelica della gratuità, della presenza e dell’amicizia che la minuscola Chiesa algerina tenta di vivere.

L’8 dicembre 2018, essa ha vissuto un momento indimenticabile con la beatificazione di 19 dei suoi membri; ebbi la fortuna di incontrare alcuni di loro e di essere stato loro amico… Per rispondere alla domanda: «Perché mi aggrappo tanto all’Algeria?», mi servo dell’esempio di tre uomini che, per caso, hanno tutti e tre il medesimo nome: Mohamed.

In ordine cronologico, il primo, Mohamed Benmechay, lo troviamo nel 1959. Il futuro priore del monastero di Tibhirine – Christian de Chargè – è un giovane seminarista e fa il servizio militare in Algeria, a due anni dall’indipendenza del paese. Fa parte di un settore che tenta di ridurre l’enorme fossato che separa gli algerini dal colonizzatore francese.

Christian percorre i villaggi di montagna in compagnia di una guardia campestre che si chiama Mohamed, padre di 10 figli, uomo profondamente religioso. Un giorno, durante un diverbio con i suoi che lo accusavano di tradire il proprio popolo, egli ha preso le difese dell’amico straniero contro quelli che lo volevano uccidere… Il giorno dopo è lui, l’amico algerino, che è stato trovato morto accanto ad un pozzo.

Qualche anno più tardi, Christian scriverà: «Nel sangue di quell’amico, assassinato per non aver voluto scendere a patti con l’odio, ho saputo che la mia chiamata a seguire Cristo si doveva vivere, presto o tardi, nel paese stesso dove avevo ricevuto la prova dell’amore più grande (…) Conosco almeno un carissimo fratello, musulmano convinto, che ha donato la sua vita per amore del prossimo, concretamente, con il suo sangue… Quell’amico che ha vissuto, fino a pagare con la morte, il comandamento unico…».

Musulmani martiri dell’amore

Il secondo Mohamed lo troviamo nel 1993. In verità non si conosce il suo nome, ma mi piace pensare che avrebbe potuto chiamarsi Mohamed.

Negli anni ’90, I’Algeria si radicalizza e c’è una forte avanzata degli “islamisti”. Il 30 ottobre 1993, il Gruppo Islamista Armato (GIA) dichiara guerra agli stranieri che vivono nel paese: «Avete un mese per lasciare l’Algeria. Chiunque va oltre questa data è responsabile della propria morte».

L’ultimato scade il 1° dicembre, data in cui Christian comincia il suo Testamento.

Il 14 dicembre, dodici lavoratori croati vengono assassinati nel villaggio di Tamesguida, nella piana al di sotto del monastero; avrebbero potuto essere di più se il nostro Mohamed non fosse intervenuto. Gli assassini escono dalla prima baracca lasciandosi dietro 12 cristiani copti sgozzati, quando entrano nella seconda baracca, un musulmano – il nostro secondo Mohamed – blocca il gruppo terrorista dicendo: io sono bosniaco e musulmano». Gli dicono di pronunciare la professione di fede musulmana (la ‘shâhâda), cosa che fa subito e aggiunge: «Qui, siamo tutti musulmani!», e cosi ha salvato i cristiani che si trovavano nella baracca.

P. Claviere

Il terzo Mohamed, Mohamed Bouchikhi, lo troviamo nel 1996: è l’autista del vescovo di Orano, Pierre Claverie. Il sangue dei due si è mescolato nell’attentato della notte del 1° agosto 1966.

Mohamed sapeva di essere minacciato: «Pierre, la settimana scorsa, mi ha detto che la cosa si è fatta troppo pericolosa, che avrei dovuto tornarmene a casa… Gli ho detto che ero conscio del pericolo, ma era fuori discussione che lo potessi lasciare… Non c’è gioia nel morire a venti anni… Ma sarebbe troppo triste che Pierre, che tanto ama l’amicizia, non avesse un amico al suo fianco nell’ora della morte, per accompagnarlo» (da: Pierre e Mohamed ed. EMI).

Qualche giorno prima di morire, il vescovo di Orano aveva confidato ad un amico prete: «Vedi, fosse anche per un solo ragazzo come Mohamed, vale la pena di rimanere in questo paese, anche a rischio della propria vita».

Parlare all’Algeria

Con questi esempi di vite donate, credo che possiate facilmente capire il perché noi siamo così legati all’Algeria e non abbiamo nessuna intenzione di partire! La mia presenza in Algeria non ha nessun merito. Nella vita, tutti cerchiamo la felicità ed è il motivo per cui tutti cerchiamo di vivere là dove ci sentiamo amati e accolti. Nel nostro caso, noi conosciamo dei musulmani disposti a dare la vita per gli amici, senza distinzione di razza, di cultura o di religione… e non esitano a sacrificare tutto per coloro che amano; proprio come fareste voi per i vostri figli se sapeste che sono in pericolo… Per questo la nostra risposta non può essere diversa da quel detto popolare: «L’amore si paga con l’amore!».

Ecco, tutto questo mi porta a parlarvi di una delle mie convinzioni più forti che porto dentro e che è questa: «Un’altra Chiesa è possibile!» Penso che la Chiesa algerina possa aiutare a intravedere i cambiamenti di cui la Chiesa universale ha bisogno. Sì, ciò che vive la nostra piccola e povera Chiesa algerina può essere indice di riferimento e ci può aiutare a uscire dalle nostre abitudini che ci uccidono e ci discreditano di fronte ai nostri contemporanei.

Bisogna dire che, prima della beatificazione, la nostra Chiesa ha avuto molte esitazioni: era la prima volta che un tale evento accadeva in un paese musulmano e si ponevano molti interrogativi: «Cosa sono 19 martiri in confronto ai 150.000-200.000 morti della crisi algerina? Cosa sono i nostri 19, in confronto ai 114 imam morti a causa del loro rifiuto a usare il nome di Dio per giustificare la violenza? Gli algerini non potrebbero prendere questa beatificazione come una provocazione?».

Una cosa era molto chiara: «Non volevamo una beatificazione fra cristiani, poiché questi fratelli e queste sorelle sono morti fra decine e decine di migliaia di algerini» musulmani, ha ricordato l’arcivescovo di Algeri. E questo era chiaro fin dall’inizio.

La veglia di preghiera è stata completamente interreligiosa, intercalando canti cristiani e canti sufi. Il giorno dopo, nella grande moschea, si è reso omaggio alle centinaia di migliaia di vittime e, in modo speciale, ai 114 imam che, ugualmente, sono morti per combattere la violenza. E, se potevano ancora esserci dei dubbi, all’inizio dell’eucaristia della beatificazione, tutta l’assemblea si è alzata per fare un minuto di silenzio in memoria della migliaia di intellettuali, di militari, di artisti, di genitori e di bambini anonimi…» e, subito dopo, il vescovo di Orano ha letto il Testamento spirituale di Mohamed Bouchikhi… La lettura del Vangelo cantato in arabo non lasciava più dubbi: l’Algeria era al centro della celebrazione e non noi, i cristiani di Algeria!

Una Chiesa profezia per tutti

La prima e, forse, la più visibile caratteristica di questa Chiesa algerina, è che essa cammina insieme ad un popolo. Tutti quanti i 19, con frasi differenti, continuavano a ripetere: «Essere con il popolo», «Vivere con il popolo», «Vivere mescolati con le famiglie».

Tibhirine

«Non possiamo abbandonare i nostri vicini» è la risposta che tutti avevano dato quando tutte le comunità erano state invitate a fare un discernimento: «Rimanere o partire?». Nonostante i rischi che c’erano e di cui erano coscienti, è il fattore «popolo» che faceva pendere la bilancia dalla parte del rimanere: «per fedeltà al Maestro!».

Sta di fatto che i diversi giornali locali e internazionali che parlano dei 19 usano i seguenti termini: «martiri della speranza» oppure «martiri della solidarietà» o anche «martiri della carità».

Un’altra caratteristica di questa Chiesa è la sua piccolezza e la sua mancanza di potere: non ha nulla da insegnare e nulla da difendere… Con le mani libere, è un riflesso del Vangelo. Molti di coloro che hanno potuto seguire in televisione i diversi momenti della celebrazione mi hanno fatto notare dei gesti molto semplici ma eloquenti come quello di vedere il vescovo di Orano seduto per terra insieme alla corale sub-sahariana; di vedere il vescovo di Algeri che, ignorando ogni protocollo, al momento della pace scende dall’altare per raggiungere e abbracciare gli imam presenti in mezzo all’assemblea; gli “yuyu” (grido di allegria) delle donne arabe che interrompono spesso la cerimonia ecc… Abbiamo vissuto la “gioia del Vangelo” nella sua forma più pura!

Si avvicina il Natale, però la situazione del paese che ci accoglie, di confessione musulmana, ha fatto sì che la nostra Chiesa dia la preferenza al «mistero della Visitazione» e questa è la terza caratteristica della nostra Chiesa che è in Algeria… Maria corre verso la montagna per aiutare la cugina Elisabetta…: portare Gesù agli altri senza parlare, senza che essi lo sappiano, unicamente con la nostra semplice presenza; mettersi in cammino per incontrare gli emarginati della nostra società (migranti, malati di aids, carcerati, disabili, ammalati ecc…): «Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me!» (Mt 25,40).

Vi saluto con un testo scottante che, secondo me, riassume tutto quello che ho cercato di dirvi. Pierre Claverie, un mese prima di essere assassinato, scriveva: «La Chiesa adempie la sua vocazione e la sua missione quando è presente nelle fratture dell’umanità… In Algeria siamo su una delle linee sismiche che attraversano il mondo: Islam/Occidente, Nord/Sud, ricchi/poveri ecc…. Qui siamo proprio al nostro posto… Siamo qui a causa di questo Messia crocifisso. Non abbiamo nessun interesse da salvare, nessuna influenza da mantenere… Non abbiamo nessun potere, ma siamo qui come al capezzale di un amico, di un fratello malato, in silenzio, stringendogli la mano, asciugandogli la fronte… Credo che la Chiesa di Gesù Cristo muore se non sta sufficientemente vicina alla Croce del suo Signore. La Chiesa si sbaglia e inganna il mondo quando si pone come una potenza tra le potenze… Potrà anche brillare, ma non brucerà del fuoco dell’amore di Dio, “forte come la morte” (Ct 8,6). Dare la propria vita… Una passione di cui Gesù ci ha dato il gusto e ha tracciato il cammino: “Non c’è amore più grande che dare la vita per coloro che si amano”».

Ventura, piccolo fratello di Gesù