Magie del Natale in una notte d’inverno

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Natale. Perché gli alberi, perché le luci nelle piazze della città, nel centro dei paesi? Perché facciamo festa? Ricordo un Natale in montagna, quando la neve aveva coperte strade, boschi e case e c’era nell’aria quell’odore di umido fermo, senza vento. Quel silenzio sembrava portasse con sé un timore sconosciuto, un’attesa senza nome, e la casa alla fine di una salita stava raccolta fra gli abeti che avevano i rami appesantiti dalla neve. All’orizzonte le cime più alte della catena di montagne sembravano piegarsi per il freddo verso la valle già scura. Misi una mano sugli occhi e, subito, mi sembrò si alzasse il vento e mi impedisse di salire. Seduta su una grande pietra vidi gli anni passati da tanto tempo quando con due figli bambini andavo correndo sulla neve fino a raggiungere la casa dove il caminetto acceso era il primo abbraccio. L’albero di Natale lì vicino aspettava di essere arricchito dalle palle di vetro e dai fili d’argento che alla sera tutti ridendo e cantando avremmo appeso ai suoi rami. Il presepio allungava i suoi pastori sulla base di pietra del caminetto fino ad arrivare alla piccola capanna di Betlemme, dove il Bambino illuminato dal nostro fuoco acceso sembrava contento di quel calore inaspettato. Santo Natale, si cantava assieme agli amici che amavano la montagna, capivano la ricchezza delle ore di silenzio, ascoltavano l’arrivo della pioggia quasi fosse una musica cantata dalle foglie delle querce. Con loro non c’era bisogno di parlare, bastava accennare ad una canzone e già si alzava il coro dove la gioia di essere in vita tutti assieme verso l’anno nuovo era l’unica ricchezza che si chiedeva. L’albero veniva acceso con tante candeline rosse che si riflettevano sui vetri delle finestre, così sembrava che il loro fuoco accendesse il bosco e desse luce al cielo scuro della notte. Anche le persiane delle finestre della camere da letto non venivano mai chiuse, di modo da vedere le stelle nelle notti d’estate o lo scendere silenzioso della neve nel breve tempo del Natale. Era vivere per pochi giorni con il ritmo della natura e regalare all’anima quella serenità che i nuovi mezzi di comunicazione, che continuiamo a scoprire, hanno la facoltà di allontanare con la serenità e la pace. Tutto questo mi passava davanti agli occhi che tenevo abbassati per non vedere la casa, chiusa e muta per me che non potevo più salire alla sua altezza. Allora le dissi addio con gli occhi chiusi per non far cadere le lacrime. Addio, rendi felici i giovani che apriranno le tue porte, che faranno entrare il sole nelle tue finestre, racconta loro le storie buone e canta sottovoce perché possano dormire le notti d’estate, quando la fantasia scuote l’anima e porta lontano.

Avvenire