Magi: quella stella che accese la Persia

Epifania: La visita dei misteriosi «sapienti» a Gesù in fasce? Le ricerche recenti mostrano che l’episodio ha un profilo storico consistente

(DI BARBARA FRALE – avvenire 5/1/2010)
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erso l’anno 670 a.C. il saggio Adadshum-usur scriveva u­na lettera al suo signore, il potente Assarhaddon che regnava sul popolo degli Assiri; in essa gli e­sprimeva un pensiero teologico complesso, ma di particolare bel­lezza:
  l’Uomo è l’ombra di Dio e gli uomini sono l’ombra dell’Uomo; è il Re che è l’Uomo, come una im­magine perfetta di Dio.
Al centro del suo discorso stava una figura misteriosa, un Uomo con la U maiuscola visto come una specie di essere speciale che fa da ponte fra l’umanità comune e la sfera del divino, diciamo pure un uomo di natura superiore con un piede sul­la terra e l’altro nei cieli. Adad­shum- usur era un astrologo reale, che tradotto nella realtà del tempo significava un grande saggio ovve­ro uno scienziato di primo livello.
  Nel mondo antico e anche nel me­dioevo l’astrologia era qualcosa ra­dicalmente diverso da ciò che è og­gi. Vi entravano da protagoniste la matematica, la geometria, l’astro­nomia, lo studio dei minerali ma anche le cognizioni mediche e le scienze naturali. Infine vi entrava la teologia, la scienza di Dio, che e­ra la somma e il compendio di tut­te
le scienze umane. Adadshum-usur era anche un sa­cerdote dell’antichissima religione di Ahura Mazda, originaria dell’I­ran e della Persia, ma poi diffusasi in tutto il Medio Oriente fino all’A­sia centrale e il Pakistan. Tra la fine del VII e l’inizio del VI secolo a.C. il mazdeismo conobbe una impor­tante riforma ad opera di un sacer­dote di nome Zarathustra, dal qua­le fu in seguito chiamato anche zo­roastrismo. Secondo questa conce­zione all’origine di tutto stava il Dio Supremo o ‘Signore Sapiente’ (appunto Ahura Mazda), una figu­ra divina fatta di luce perfetta che ha creato tutte le cose con bontà e onniscienza infinita; ma il mondo è anche minacciato da uno spirito malvagio, Ahriman, signore delle tenebre e istigatore del peccato.
  Coinvolto ogni giorno in una lotta continua fra il bene ed il male, l’in­tero creato sarà alla fine riscattato e le anime dei peccatori, salvate dalla dannazione eterna, vivranno per sempre dentro corpi che non muoiono. L’apertura dell’era nuova sarebbe venuta all’apparire di Sao­shyant, letteralmente ‘il Salvato­re’, una figura intermedia fra gli uomini e il divino che avrebbe por­tato alla sconfitta del male. E pro­prio a questo Saoshyant, mediato­re speciale fra gli uomini e Dio, pensava probabilmente il saggio A­dadshum- usur quando parlava al suo reale patrono di quel Re che è l’Uomo, come un’immagine per­fetta
di Dio. Circa un secolo più tardi il popolo degli Ebrei si ritrovò in esilio a Ba­bilonia (598-586 a.C.) ad opera del re Nabucodonosor, e qui visse una stagione molto difficile per via del­la condizione di deportati ma an­che per l’avvilimento continuo provocato dalla netta differenza di costumi religiosi: gli Ebrei aborri­vano l’idolatria, veneravano il loro Dio unico Yahwé e lo considerava­no talmente al di sopra degli uomi­ni che proprio in quell’epoca co­minciarono a pensare che fosse ir­riverente addirittura pronunciarne il nome, perciò presero a chiamar­lo ‘Signore’; gli abitanti di Babilo­nia avevano invece idoli ovunque, ve­neravano divinità dalle forme mo­struose e praticava­no la prostituzione sacra. Ma nono­stante tutto vi furo­no anche impor­tanti momenti di incontro e persino un certo dialogo in­terreligioso che probabilmente ar­ricchì entrambe queste culture: di fatto gli studiosi dell’Antico Testa­mento hanno notato come la figu­ra del Saoshyant, il ‘Salvatore’ del­lo zoroastrismo e l’Uomo-Re di cui parlava l’astrologo Adadshum­usur, hanno tanti punti in comune con l’Uomo dell’Eden, un essere perfetto e privo di qualunque pec­cato descritto nel libro del profeta Ezechiele, la personalità religiosa più autorevole fra gli Ebrei depor­tati a Babilonia.
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n realtà il pensiero ebraico pos­sedeva già una lunga tradizione in questo senso, basata sull’i­dea che la salvezza del popolo d’I­sraele sarebbe venuta per l’arrivo di un’era nuova oppure di un per­sonaggio eccezionale: è un filone che percorre tutta la sua storia, e l’insgine storico dell’ebraismo Pao­lo Sacchi lo definice ‘teologia della Promessa’. Nel Deuteronomio sta­va scritto che Dio aveva promesso al suo popolo l’invio di un altro uo­mo straordinario com’era stato Mosè, una guida speciale: «Susci­terò per loro, in mezzo ai loro fra- telli, un profeta come te, porrò le mie parole sulla sua bocca, ed egli dirà tutto ciò gli ordinerò»; nel Li­bro dei Numeri (24, 17) il profeta Balaam figlio di Beor aveva prean­nunciato che l’ascesa di Israele sa­rebbe stata segnata da uno scettro e da una stella, e questo si interpre­tava in genere come la futura na­scita di un grande re. Sembra in­somma che durante l’esilio a Babi­lonia, forse grazie al dialogo inter­religioso con i sacerdoti dello zo­roastrismo, la spiritualità ebraica sviluppò in maniera più netta alcu­ni suoi concetti che in passato era­no rimasti come indefiniti. Fra questi c’era l’idea di un Messia (da
 masiach ,
‘consacrato’), un Unto del Signore che Israele attendeva per uscire dal tempo dell’afflizione e del peccato. Questa figura in pas­sato era vista soprattutto come il fi­glio di una dinastia regale, ma do­po il rientro da Babilonia cominciò ad assumere un profilo sempre più sacro: nel Libro di Daniele , compo­sto nel II secolo a.C., è descritta la figura misteriosa del Figlio dell’Uo­mo, un essere a metà fra l’umano e il divino che siede alla destra di Dio nell’Ultimo Giorno.
  Se è vero che alcuni aspetti della spiritualità ebraica maturarono at­traverso il contatto con la religione dei sacerdoti di Ahura Mazda, non sappiamo invece in quale misura la cultura religiosa di questi ultimi fu influenzata grazie al dialogo con gli Ebrei. Sta di fatto che una fonte greco-orientale del I secolo, più ge­neralmente conosciuta come
van­gelo secondo Matteo, descrive l’arri­vo nella regione della Palestina di alcuni illustri personaggi che erano ‘colleghi’ del saggio Adadshum­usur, vissuto seicento anni prima.
  E curiosamente si erano messi in viaggio perché avevano osservato nei cieli l’apparizione di una stella speciale, una stella che secondo il codice di significati della loro cul­tura
astrologica segnava la nascita di un grande re. La parola greca con cui il vangelo di Matteo chiama questi personaggi, magoi, è un ter­mine etnico preciso usato anche dallo storico greco Erodoto vissuto nel VI secolo a.C.: indicava alcuni membri dell’aristocrazia della Per­sia che erano proprio sacerdoti della religione di Zoroastro, si dedi­cavano agli studi di astronomia e praticavano anche esorcismi. Oggi alcuni studiosi pensano che il rac­conto della visita dei Magi a Gesù nascesse da una interpretazione teologica, cioè volesse sottolineare come il Cristo ignorato o addirittu­ra perseguitato dagli Ebrei (con ri­ferimento alla strage degli inno­centi ordinata da Erode), è invece onorato dalle genti straniere e pa­gane. Le ricerche recenti mostrano però che l’episodio riportato nel
 vangelo di Matteo
non solo è vero­simile, ma rivela anche un profilo storico piuttosto consistente.
 
L a tradizione cristiana dei se­coli successivi pensò ai Magi come a tre sovrani, interpre­tando in senso letterale il termine di reges che nel mondo antico po­teva anche riferirsi ai capi locali della maggiore nobiltà; e in base al numero dei doni che portavano – oro, incenso e mirra –, si immaginò che fossero tre: Gaspar, Melquior e Beltasar. Secondo la tradizione l’imperatrice Elena madre di Co­stantino, che realizzò una vera campagna di scavi archeologi a Gerusalemme, portò a Costantino­poli le spoglie mortali dei Magi in­sieme ad un frammento della Vera Croce e altre reliquie che aveva tro­vato a Gerusalemme; poco dopo le reliquie furono donate a Eustorgio vescovo di Milano, che nell’anno 344 fece costruire una basilica nel­la città con il desi­derio di esservi poi sepolto per riposa­re presso la tomba dei tre Re. A Milano i Magi restarono per molti secoli, finchè nell’anno 1162 l’imperatore Federico Barbaros­sa sconfisse la città in rivolta e decise di portare con sé le reliquie in Ger­mania, come eccezionale trofeo di guerra. Così le fece trasferire in un prezioso reliquiario e le collocò nel duomo di Colonia, dove si trovano tuttora. La storia dei Magi ha arric­chito tutta la tradizione dell’arte cristiana con l’oro e i colori sgar­gianti dei loro abiti esotici, e ancor oggi essi rappresentano tra le figu­re più belle dei presepi popolari.
  Nell’anno 1270, scrivendo il suo

 Milione ,
il viaggiatore veneziano Marco Polo annotava di aver visita­to a sud di Teheran la tomba di tre antichi sovrani lì sepolti, di cui gli abitanti del luogo non seppero però dargli informazioni. Ancora molti secoli prima, nell’anno 614, la regione della Palestina fu occu­pata dai Persiani di re Cosroe II; sebbene avessero distrutto tutti i luoghi di culto cristiani, risparmia­rono la basilica della natività a Be­tlemme. Sulla facciata della basili­ca c’era un mosaico bizantino che rappresentava l’Adorazione dei Magi: in base alle vesti e agli orna­menti, i Persiani avevano ricono­sciuto che erano grandi nobili della loro gente.
 Lo zoroastrismo attendeva l’inizio di una nuova era in cui Saoshyant, letteralmente «il Salvatore», una figura intermedia fra gli uomini e il divino, avrebbe portato alla sconfitta del male
Sembra che durante l’esilio a Babilonia la spiritualità ebraica abbia sviluppato in modo più netto alcuni suoi concetti che erano rimasti come indefiniti Fra questi l’idea di un Messia